Con una alquanto drammatica conversione sulla via della City, un molto riluttante Hank Paulson, con a fianco quella che secondo molti potrebbe essere il prossimo ministro del Tesoro statunitense, l’attuale presidentessa del Federal Deposit Insurance Corporation, Sheila Bair, ha dovuto inghiottire il rospo forse più grosso della sua lunghissima carriera di investment banker al top della molto potente ed ancor più preveggente Goldman Sachs, esperienza dalla quale non riesce completamente a distaccarsi anche ora che si trova da due anni a guidare il dicastero del Tesoro, un conflitto interiore che fa sì che la sua voce si spezzi quando deve annunciare ai suoi ex (?) colleghi che “devono” accettare un massiccio investimento in azioni privilegiate da parte dello Stato, un investimento che prevede anche l’opzione all’acquisto di azioni ordinarie per un sesto circa dell’impegno finanziario nelle stesse azioni privilegiate ed accompagnato dal rispetto, a carico delle banche “beneficiate”, di alcune regole in materia di finanziamenti all’economia, alle altre banche e, soprattutto, limiti precisi sul piano della compensation dei top bankers e degli altri dipendenti destinatari di bonus e stock options.
Non deve assolutamente essere stata facile la riunione con i maggiori banchieri statunitensi svoltasi lunedì nel palazzo che ospita gli uffici del ministero del Tesoro, né credo sia stato semplice convincere i massimi esponenti delle nove maggiori banche statunitensi a richiedere “volontariamente” di ricevere i primi 125 miliardi di iniezioni di capitale condizionati, appunto, alle predette norme, disagio perfettamente espresso da quel Wall Street Journal che sarà pure il giornale di bordo della tempesta perfetta, ma rappresenta pur sempre il portavoce di quel Big Business che, ad onta del fallimento sistemico in atto, mal sopporta le ingerenze dello Stato nei propri affari e che sperava veramente che i 700 miliardi del piano Bush-Paulson-Bernspan servissero soltanto a sbolognare una parte dei i titoli tossici attualmente sul loro groppone ad un prezzo multiplo di quello accettato da John Thain di Merrill Lynch, gli ormai famosi 22 centesimi per dollaro, gravati dalle altrettanto celebri clausole onerose, un sacrificio che pure ha consentito a Merrill di non fare la fine di Lehman Brothers ed allo stesso Thain di diventare il capo del Corporate & Investment Banking della salvatrice Bank of America!
In un lunghissimo articolo, disponibile come di raro accade anche gratuitamente sul web, dall’inquietante titolo che più o meno dice che il Diavolo si nasconde nei dettagli del piano di salvataggio, la Bibbia di Wall Street si fa portavoce delle proteste a mezza bocca o ad alta voce espresse da alcuni dei partecipanti alla riunione che non sputano certo sui 25 miliardi di dollari che toccano alle banche maggiori sino ai 3 miliardi previsti per la banca di New York, ma non sopportano quelli che il titolo dell’autorevolissimo quotidiano definisce i dettagli e che loro considerano vere e proprie limitazioni al principio per loro sacro che gli affari li gestiscono loro, così come la compensation, spesso non correlata agli effettivi profitti, mentre sono disponibilissimi a fare a mezzi delle perdite con quello stesso Stato che nella loro visione esiste solo a tale scopo e non certo per insegnare loro come si fa il mestiere del banchiere.
Peccato che anche dopo l’ennesimo e drastico taglio del tasso sui Fed Funds e l’ancor più significativa riduzione di quel tasso di sconto al quale loro riscontano come se fossero soldi veri i titoli tossici presso l’ampia discarica a cielo aperto gestita dalla Fed di New York, i tassi interbancari sul dollaro invece di scendere siano balzati al 4,50 per cento per la scadenza a tre mesi, un tasso triplo rispetto a quello sui Fed Funds ed assolutamente non gradito dalle autorità monetarie che sono perfettamente consce che questo importante spread sta ad indicare che la febbre non solo non è scesa ma si è anzi avvicinata a quei 40 gradi che possono essere molto pericolosi per l’organismo umano e segno inequivocabile che nonostante le migliaia di miliardi di dollari messi a disposizione da governi e banche centrali le banche continuino a non fidarsi assolutamente l’una dell’altra ed, a volte, neanche di sé stesse, soprattutto di quelle zone oscure strettamente interrelate con la finanza strutturata!
D’altra parte, come scrivo da tempo, non è del tutto saggio chiedere il sostegno dello Stato e, quindi, del contribuente a poche settimane dalle elezioni forse più importanti degli ultimi decenni, perché anche un bambino capirebbe che le donne e gli uomini che si giocano la loro rielezione o quelli che allo scranno aspirano sono del tutto disponibili a dare in pasto ad una molto inferocita, ed in modo del tutto bipartisan, pubblica opinione i banchieri, gli assicuratori, gli hedge funders e tutti gli altri rappresentanti del mondo della finanza universalmente visti come i responsabili della più grave crisi finanziaria mai vista dal genere umano!
Né stupisce molto che il vero autore del piano di salvataggio presentato orgogliosamente da quello che sino a pochi giorni orsono era il sicuro perdente delle prossime elezioni politiche in Gran Bretagna, Gordon Brown, sia il ministro della City, un banchiere pentito che presta la sua opera da civil servant a titolo gratuito e che sa perfettamente quali sono le vere cause del marasma attuale e che non si può chiedere ai principali responsabili dello stesso di gestire il difficilissimo percorso che, forse, potrebbe consentire di evitare quel collasso sistemico dell’economia globale sull’orlo del quale siamo secondo l’autorevole opinione del numero uno del Fondo Monetario Internazionale, un clima che, peraltro, ha pesato non poco nel convincere i componenti la giuria che assegna il Nobel Prize per l’economia ad attribuire l’ambitissimo riconoscimento proprio a Paul Krugman, un economista che ha denunciato per tempo gli errori di Bush ed il disastro prossimo venturo (quando lo scriveva da anni nei suoi seguitissimi editoriali sul New York Times) su quel mercato finanziario globale, che lo ricordo per i più distratti, viene da tempo definito dai presidenti della Germania e della Francia come del tutto impazzito.
Una piccola notazione sulle banche italiane, anche perché noto che qualcuno ancora continua a propagare la tavoletta del sistema più solido perché meno evoluto, per ricordare che il gruppo di testa delle banche italiane, nonché le maggiori compagnie di assicurazioni, non si è certo sottratto alle seducenti sirene dell’investment banking, comportamento che ha invece caratterizzato l’unico che di questi strumenti se ne intendeva veramente e, forse proprio per questo, se ne è tenuto caparbiamente alla larga, l’ex amministratore delegato di capitalia, Matteo Arpe!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.