Se c’è una cosa che fenomeni quali la tempesta perfetta insegnano è l’assoluta relatività del tempo, anche perché, mai quando si è in una prolungata fase di difficoltà, ci si rende conto che esistono periodo in cui il tempo corre a grande velocità ed altri nei quali sembra davvero non trascorrere mai, come sta proprio accadendo in questo orribile mese di ottobre, del quale abbiamo appena doppiato la metà, ma nel quale sono già accadute una tale quantità di eventi di grandi dimensioni che è quasi impossibile tenerne il conto, due settimane e mezza nelle quali piani di salvataggio di immense proporzioni sono stati prima affondati, poi approvati ed, infine modificati radicalmente nelle modalità di applicazione e negli obiettivi.
Fa davvero bene George W. Bush, in una delle sue oramai innumerevoli apparizioni su tutti i media disponibili, a ricordare a tutti che la crisi sarà ancora lunghissima e che da finanziaria sta trasformandosi ogni giorno che passa in una crisi dell’economia reale, una crisi che sta letteralmente picconando redditi, investimenti ed aspettative, anche se tutto parte da quel drastico ridimensionamento dell’offerta di credito strettamente legato alle svalutazioni ed alle perdite già contabilizzate ed a quelle che lo saranno non appena sarà possibile capire meglio il contenuto effettivo di molti dei titoli della finanza strutturata passati dai veicoli fuori bilanci agli attivi, si fa ovviamente per dire, delle banche e delle altre entità protagoniste del mercato finanziario globale.
Nel frattempo, non è ancora ben chiaro cosa è successo in Islanda, in quanto non è del tutto chiaro se il default si limiti ad alcuni istituti di credito o se il collasso di queste banche ed i contenziosi in corso con la Gran Bretagna ed altri paesi per la mancata tutela dei depositi dei non residenti rischi di mettere in discussione anche la solidità del non proprio trascurabile debito sovrano.
Il ruolo di assoluto pivot nel piano di salvataggio europeo giocato da Gordon Brown e dal suo consulente che il mondo della finanza lo conosce molto bene e dall’interno, d’altra parte, sta riaprendo anche in Gran Bretagna il dibattito sull’adesione all’euro, cosa praticamente impossibile fino a pochissimo tempo fa, mentre risulta che anche due paesi del Nord Europa non aderenti alla moneta unica, stiano frettolosamente riaprendo il dossier alquanto impolverato e valutando le opportunità offerte dalla protezione dell’euro con occhi molto diversi, il che, trattandosi di una tempesta perfetta che oggettivamente potrebbe rappresentare un colpo mortale all’Europa, conferma davvero che quando la notte si fa più scura è allora che la luce sta per tornare, o, detto con le parole di un monaco giapponese del XIII secolo, da un grande male viene sempre un grande bene!
Credo proprio che la gravità della situazione non sia riscontrabile nell’andamento oramai del tutto imprevedibile dei listini azionari, che al di là di un livello di volatilità mai visto da molti decenni, riesce ad alternare sedute di rialzi record a sedute da profondo rosso altrettanto eccezionale, il che si è verificato in particolare in questa che doveva essere la settimana della riscossa, né che sia legata all’andamento spesso altrettanto volatile delle quotazioni dei titoli pubblici, ma in un mercato del tutto particolare, come lo è quello interbancario, dove si sta registrando una vera e propria resistenza delle grandi banche che svolgono il ruolo di primari dealers rispetto alle inequivocabili indicazioni fornite dalle principali banche centrali con la recente decisione di effettuare, pressoché in contemporanea, un taglio dei tassi che ancora non è stato recepito dall’euribor, ma che vede un LIBOR sul dollaro che si muove a livelli più che tripli di quello fissato dalla Federal Reserve sia per i Fed Funds che per il tasso ufficiale di sconto.
Ma quello che i maggiori banchieri statunitensi assolutamente non sopportano è la radicale revisione del piano Bush-Paulson-Bernspan che, invece di limitarsi a togliere dal loro groppone quelli che tutti ormai chiamano titoli tossici, pretende di acquisire, mediante la sottoscrizioni di azioni privilegiate, poteri di indirizzo e di controllo delle banche stesse, nonché la sospensione di quei bonus e di quelle liquidazioni d’oro che i nostri considerano alla stregua di diritti acquisiti!
Non che i loro colleghi europei nutrano sentimenti diversi, ma le dimensioni delle loro banche sono tali che quella offerta da Brown e compagni è davvero un salvagente difficilmente sostituibile con qualche succedaneo dal più gradevole aspetto, per non parlare poi della crescente consapevolezza che per gli eventuali riottosi la probabilità di fare la fine del potentissimo numero uno della nazionalizzata Royal Bank of Scotland si tradurrebbe in una certezza.
Né va dimenticato che i banchieri francesi, quelli italiani e quelli di altri paesi europei hanno spesso mosso i loro primi passi in banche di proprietà statale o dallo Stato in qualche modo controllate, una prospettiva che, invece, per i banchieri statunitensi rappresenta una vera eresia, se non una sorta di prefigurazione molto fedele di come loro immaginano sia la dittatura del proletariato!
Non a caso è apparso oggi sul web un articolo che dà voce ai malumori di personaggi come John Thain ed altri che preferiscono restare anonimi, una protesta nenanche troppo a mezza voce sui guasti e sui danni che potrebbero venire da una statalizzazione del credito e della finanza, nonché una vera e propria levata di scudi preventiva nei confronti di quelle regole prossime venture che, minacciate da Draghi e Paulson nella famosa cena dei banchieri svoltasi a metà aprile, e scritte nero su biano nel rapporto del Financial Stability Forum, non sono ancora venute alla luce.
La resistenza dei banchieri posti al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico nei confronti delle manovre sui tassi e della stessa moral suasion esercitata dai rispettivi banchieri centrali, nonché la loro dichiarata indisponibilità a mettere in atto comportamenti adeguati a contrastare il crescente fenomeno del credit crunch, sono entrambi fenomeni che dimostrano quanto sia ancora grande la loro inconsapevolezza rispetto alle intenzioni dei politici che puntano a scaricare ogni responsabilità, anche quelle che fanno capo alle disattenzioni del potere esecutivo e legislativo, su quei protagonisti del mondo del credito e della finanza dei quali un tempo erano molto rispettosi ed a volte addirittura timorosi.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.