La grave crisi di liquidità e di prospettive di Bear Stearns, ufficialmente scoppiata nella notte tra giovedì a venerdì della settimana scorsa, ha trovato nella tarda serata di domenica e, come annuncia una nota dell’Associated Press diffusa sul web alle 3 e 31 del mattino di oggi (ora italiana), il board di Bear ha accettato l’offerta di acquisto avanzata da J.P. Morgan-Chase, il cavaliere bianco scelto immediatamente dalla Fed per lanciare venerdì stesso una ciambella di salvataggio da 30 miliardi di dollari verso le mani protese dalla quinta banca di investimento statunitense, già in quelle ore tecnicamente fallita.
Ovviamente, le condizioni dell’offerta sono durissime per l’acquisita, in quanto le azioni della storica banca (fu fondata a New York nel 1923) verranno pagate solo 2 dollari, contro i 57 di giovedì e gli stessi 30 della chiusura di venerdì, per non parlare dei 150 toccati un anno fa, con un esborso previsto per J.P. Morgan di appena 236,2 milioni, ma, d’altra parte, anche all’ombra del Wall vale il molto romano guai ai vinti, mentre continua a non valere il “chi rompe paga e i cocci sono suoi”, in quanto, alla fine di questa come delle storie precedenti, il rischio se lo è assunto la Fed di New York per la bellezza dei 30 miliardi di dollari prestati da Morgan ma garantiti sino all’ultimo soldo dalla succursale newyorkese della banca centrale guidata da Bernspan e, quindi, va in capo ai contribuenti statunitensi tutti, nessuno si senta escluso.
Come ci ricordava ieri, nel suo efficace editoriale sulle pagine economiche de La Repubblica, “Peppino Turani” (che ringrazio per l’evidente attenzione a questo blog che gli è stato da me segnalato nei mesi scorsi e per la qual cosa ha avuto la bontà di inviarmi un e-mail di ringraziamento che ho, ovviamente incorniciato), Ben Bernanke, da placido studioso dell’economia e docente nella prestigiosa Università di Princeton, sarebbe il maggiore esperto mondiale delle crisi finanziarie e, per quella che lo stesso Turani definisce un vera e propria nemesi storica, si è visto catapultato alla guida della Fed proprio alla vigilia della tempesta perfetta.
Non ho mai dubitato dei titoli accademici e del valore di studioso di Bernspan, ma credo, invece, che il problema stia proprio nel fatto che una persona abituata a meditare nel suo studiolo o passeggiando per i viali del prestigioso campus non sia esattamente quello che ci vuole per dipanare la matassa realmente ingarbugliata della finanza strutturata, un gomitolo di dimensioni difficilmente immaginabili e che ci ha messo oltre venti anni a formarsi, sotto la guida amorevole di Alan Greenspan, un uomo che all’attività di ottimo musicista alternava gli impegni connessi a quella presidenza della Federal Reserve di cui è stato insignito per poco meno di venti anni, rompendo definitivamente con il noioso e rigido approccio seguito da quel Paul Volker che ora tutti rimpiangono e che andò via sbattendo rumorosamente la porta contro le interferenze della politica e degli interessi molto vestiti della finanza statunitense e globale.
Per rendere meglio il concetto dell’inadeguatezza di Bernspan a guidare la Fed, mi vedo costretto ad usare una metafora: sarebbe come affidare una prestigiosa orchestra ad uno studioso di musica o una vettura di formula uno a chi sa tutto di classifiche, team e quant’altro, ma non ha nemmeno la patente per guidare una semplice autovettura o affidare un caccia dell’aeronautica militare statunitense ad uno come George W. Bush, come purtroppo è accaduto nel 2003, anche se in quel caso, vi era un esperto pilota pronto a prendere i comandi per evitare di schiantare il velivolo nella fase di atterraggio sul ponte della portaerei Indipendence sul quale già campeggiava, sotto l’abile regia dello spregiudicato Karl Rove, lo striscione con la scritta “Mission accomplished”.
Non pago di aver fatto da levatrice di una acquisizione lampo fatta in totale spregio dei diritti degli azionisti che hanno visto polverizzarsi in poche ore quel che restava del proprio investimento e senza nemmeno il pannicello caldo dell’usuale scambio di carta contro carta recentemente utilizzato da Bank of America in occasione del salvataggio dell’ormai esausta Countrywide, Bernspan ha annunciato di aver fatto un altro passo verso le richieste delle banche USA e globali, riducendo, al di fuori del meeting che si terrà martedì, il tasso ufficiale di sconto dal 3,50 al 3,25 per cento, mentre, nelle convulse fasi della trattativa tra le due banche, aveva autorizzato l’immissione, a garanzia, di una vera montagna di titoli della finanza strutturata facente capo in precedenza a Bear Stearns.
Già, perché non credo di aver sottolineato a sufficienza come l’istituto presieduto dall’ineffabile Jimmy Cayne e guidato da Alan Schwartz, pur essendo solo la quinta delle Big Five, ha svolto un ruolo di primo piano nell’impacchettamento di titoli della finanza strutturata, titoli spesso talmente complessi ed astrusi da aver richiesto l’assunzione di uno stuolo di spacchettatori, impegnati da mesi, giorno e notte, nel capirci qualcosa in quello che gli ingegneri della fabbrica prodotto di Bear avevano combinato e dei quali le famiglie reclamano almeno qualche notizia sulla sopravvivenza in vita, ingrate per gli altissimi compensi orari percepiti dai loro congiunti.
Per allentare un po’ la tensione, vi ricordo che Jimmy, nelle citate ore convulse notturne era altrove, impegnato nel campionato USA di bridge, nel quale si è classificato buon quarto, ripetendo così la brillante performance di giugno del 2007, quando, mentre due hedge funds di Bear si liquefacevano, il nostro era impegnato in altre partire a carte e si impegnava a fondo sul green, in quanto, pur essendo allora impegnatissimo nelle due cariche di Chairman e CEO di Bear, risulta essere anche, nonostante la veneranda età, un ottimo golfista.
Credo proprio che, anche stavolta, nessuno sarà chiamato a pagare per l’ennesima presa in giro degli azionisti e del mercato finanziario globale tutto, così Schwartz non verrà arrestato per avere detto, mercoledì, in diretta televisiva che i rumors sul pessimo stato della liquidità della sua banca, né tale sorte toccherà all’ex numero uno che ha diffuso un comunicato stampa rassicurante in relazione ad una banca che non frequenta più da anni, mentre Jimmy si era già dato latitante dai suoi doveri in advance.
Nel frattempo l’euro è a 1,59 dollari, mentre la valuta statunitense sta testando verso il basso quella soglia dei 95 yen che avevo previsto a fine 2007 come obiettivo dell’intero 2008, mentre è facile intuire dove andranno oggi le borse, il petrolio, l’oro e gli altri sempre più richiesti metalli preziosi.
Ovviamente, le condizioni dell’offerta sono durissime per l’acquisita, in quanto le azioni della storica banca (fu fondata a New York nel 1923) verranno pagate solo 2 dollari, contro i 57 di giovedì e gli stessi 30 della chiusura di venerdì, per non parlare dei 150 toccati un anno fa, con un esborso previsto per J.P. Morgan di appena 236,2 milioni, ma, d’altra parte, anche all’ombra del Wall vale il molto romano guai ai vinti, mentre continua a non valere il “chi rompe paga e i cocci sono suoi”, in quanto, alla fine di questa come delle storie precedenti, il rischio se lo è assunto la Fed di New York per la bellezza dei 30 miliardi di dollari prestati da Morgan ma garantiti sino all’ultimo soldo dalla succursale newyorkese della banca centrale guidata da Bernspan e, quindi, va in capo ai contribuenti statunitensi tutti, nessuno si senta escluso.
Come ci ricordava ieri, nel suo efficace editoriale sulle pagine economiche de La Repubblica, “Peppino Turani” (che ringrazio per l’evidente attenzione a questo blog che gli è stato da me segnalato nei mesi scorsi e per la qual cosa ha avuto la bontà di inviarmi un e-mail di ringraziamento che ho, ovviamente incorniciato), Ben Bernanke, da placido studioso dell’economia e docente nella prestigiosa Università di Princeton, sarebbe il maggiore esperto mondiale delle crisi finanziarie e, per quella che lo stesso Turani definisce un vera e propria nemesi storica, si è visto catapultato alla guida della Fed proprio alla vigilia della tempesta perfetta.
Non ho mai dubitato dei titoli accademici e del valore di studioso di Bernspan, ma credo, invece, che il problema stia proprio nel fatto che una persona abituata a meditare nel suo studiolo o passeggiando per i viali del prestigioso campus non sia esattamente quello che ci vuole per dipanare la matassa realmente ingarbugliata della finanza strutturata, un gomitolo di dimensioni difficilmente immaginabili e che ci ha messo oltre venti anni a formarsi, sotto la guida amorevole di Alan Greenspan, un uomo che all’attività di ottimo musicista alternava gli impegni connessi a quella presidenza della Federal Reserve di cui è stato insignito per poco meno di venti anni, rompendo definitivamente con il noioso e rigido approccio seguito da quel Paul Volker che ora tutti rimpiangono e che andò via sbattendo rumorosamente la porta contro le interferenze della politica e degli interessi molto vestiti della finanza statunitense e globale.
Per rendere meglio il concetto dell’inadeguatezza di Bernspan a guidare la Fed, mi vedo costretto ad usare una metafora: sarebbe come affidare una prestigiosa orchestra ad uno studioso di musica o una vettura di formula uno a chi sa tutto di classifiche, team e quant’altro, ma non ha nemmeno la patente per guidare una semplice autovettura o affidare un caccia dell’aeronautica militare statunitense ad uno come George W. Bush, come purtroppo è accaduto nel 2003, anche se in quel caso, vi era un esperto pilota pronto a prendere i comandi per evitare di schiantare il velivolo nella fase di atterraggio sul ponte della portaerei Indipendence sul quale già campeggiava, sotto l’abile regia dello spregiudicato Karl Rove, lo striscione con la scritta “Mission accomplished”.
Non pago di aver fatto da levatrice di una acquisizione lampo fatta in totale spregio dei diritti degli azionisti che hanno visto polverizzarsi in poche ore quel che restava del proprio investimento e senza nemmeno il pannicello caldo dell’usuale scambio di carta contro carta recentemente utilizzato da Bank of America in occasione del salvataggio dell’ormai esausta Countrywide, Bernspan ha annunciato di aver fatto un altro passo verso le richieste delle banche USA e globali, riducendo, al di fuori del meeting che si terrà martedì, il tasso ufficiale di sconto dal 3,50 al 3,25 per cento, mentre, nelle convulse fasi della trattativa tra le due banche, aveva autorizzato l’immissione, a garanzia, di una vera montagna di titoli della finanza strutturata facente capo in precedenza a Bear Stearns.
Già, perché non credo di aver sottolineato a sufficienza come l’istituto presieduto dall’ineffabile Jimmy Cayne e guidato da Alan Schwartz, pur essendo solo la quinta delle Big Five, ha svolto un ruolo di primo piano nell’impacchettamento di titoli della finanza strutturata, titoli spesso talmente complessi ed astrusi da aver richiesto l’assunzione di uno stuolo di spacchettatori, impegnati da mesi, giorno e notte, nel capirci qualcosa in quello che gli ingegneri della fabbrica prodotto di Bear avevano combinato e dei quali le famiglie reclamano almeno qualche notizia sulla sopravvivenza in vita, ingrate per gli altissimi compensi orari percepiti dai loro congiunti.
Per allentare un po’ la tensione, vi ricordo che Jimmy, nelle citate ore convulse notturne era altrove, impegnato nel campionato USA di bridge, nel quale si è classificato buon quarto, ripetendo così la brillante performance di giugno del 2007, quando, mentre due hedge funds di Bear si liquefacevano, il nostro era impegnato in altre partire a carte e si impegnava a fondo sul green, in quanto, pur essendo allora impegnatissimo nelle due cariche di Chairman e CEO di Bear, risulta essere anche, nonostante la veneranda età, un ottimo golfista.
Credo proprio che, anche stavolta, nessuno sarà chiamato a pagare per l’ennesima presa in giro degli azionisti e del mercato finanziario globale tutto, così Schwartz non verrà arrestato per avere detto, mercoledì, in diretta televisiva che i rumors sul pessimo stato della liquidità della sua banca, né tale sorte toccherà all’ex numero uno che ha diffuso un comunicato stampa rassicurante in relazione ad una banca che non frequenta più da anni, mentre Jimmy si era già dato latitante dai suoi doveri in advance.
Nel frattempo l’euro è a 1,59 dollari, mentre la valuta statunitense sta testando verso il basso quella soglia dei 95 yen che avevo previsto a fine 2007 come obiettivo dell’intero 2008, mentre è facile intuire dove andranno oggi le borse, il petrolio, l’oro e gli altri sempre più richiesti metalli preziosi.