Come non mi stancherò mai di ripetere, se c’è una persona informata dei fatti in relazione alla tempesta perfetta, questi è proprio Henry Paulson, brillante banchiere d’affari di lungo corso, prestato dal giugno 2006 alla politica, in quanto è pro tempore il ministro del Tesoro degli Stati Uniti d’America, dopo essere stato per lunghissimo tempo l’indiscusso numero uno, accorpava, infatti, la poltrona di Chairman e quella di CEO di Goldman Sachs, ed era talmente vulcanico negli anni ruggenti della finanza facile da rendere necessaria la presenza in Goldman non di uno, sebbene addirittura di due Chief Operating Officer, due persone, a loro volta, talmente sovraffaticate da rendere necessaria una compensation complessiva molto elevata, che ha toccato, nell’orrido 2007, un livello che sfiora i 70 milioni di dollari per ciascuno, una retribuzione ben superiore a quella riservata al pur bravissimo e preveggente David Viniar, che, però, di questa regina indiscussa delle CIB delle CIB, è soltanto il CFO.
Ebbene, le dure, quasi impietose, parole espresse da Paulson davanti ad una commissione del Congresso statunitense che non so più se definire inquieta o furiosamente arrabbiata per il meltdown del settore immobiliare e per la peristente tempesta perfetta sui mercati finanziari statunitensi e globali, hanno anticipato di poche ore la più grande applicazione dello sportello-discarica della Federal Reserve da parte dei suoi ex colleghi posti ai vertici delle Investment Banks statunitensi, i quali non hanno avuto timore alcuno nel portare la loro carta straccia agli uomini di Bernspan, ricevendone in cambio sonanti titoli del Tesoro USA per ben 75 miliardi in un solo giorno allo stratosferico tasso dello 0,33 per cento, anche se gli sventurati ne avevano chiesti 86 di miliardi e sempre di dollari.
Molti, io compreso, si erano stupiti per la promessa che suonava molto come una minaccia sul prossimo assoggettamento delle Big Five, ormai tristemente diventate Big Four, agli stessi “rigori” in termini di vigilanza cui sono da sempre assoggettate le commercial banks statunitensi da parte della Fed, ma, alle orecchie esercitate ed attente dei banchieri di investimento e di affari queste apparentemente dure parole sono suonate come una musica, in quanto più che la durezza di Bernspan e complici temono molto di più il ben più severo giudizio dei mercati che, solo ieri, stava per ridurre il loro numero addirittura a tre, a causa di rumors e voci sempre più insistenti sulle difficoltà in cui si troverebbe, sempre per ragioni di liquidità, Lehman Brothers.
A questi operatori diventati improvvisamente più che sospettosi, infatti, non sono bastate la raffica di dichiarazioni della impavida portavoce della prestigiosa casa di investimenti, né quelle provenienti direttamente dai vertici della casa, in quanto, dopo essere tonfata del 10 per cento in pochi minuti ed aver recuperato la metà delle perdite nelle ore successive, l’azione ha desolatamente chiuso in flessione di poco meno del 9 per cento, tornando poi, nelle tese ore dell’after hours, a sfiorare nuovamente il livello di perdite registrato nella mattinata, mentre gli stessi operatori, per non sapere né leggere né scrivere, hanno bastonato in modo equanime l’intero comparto finanziario, credo proprio nessuno escluso.
Per chi l’avesse persa, segnalo nuovamente l’avvincente e comprensiva intervista della solita Maria Bartiromo, una che in quanto a embedded non è seconda a nessuno ed è, anzi, secondo le solite malelingue anche molto involved anche sul piano strettamente personale al punto da finire anche, e da protagonista, sulle riviste specializzate in gossip sentimentali, alla disperata CFO di Lehman, l’eroica Erin Callan, eloquentemente intitolata “Back from ugly monday”, un’intervista nelle quale troverete la risposta alla domanda sul perché queste donne e questi uomini devono essere così tanto remunerati: provate voi a fare quello che fanno loro e a dormire tranquillamente la notte!
C’è, purtroppo, una semplice domanda che la brava e spigliata Maria si guarda bene dal fare alla desolata Erin ed è la seguente: che differenza c’è, in termini di solidità patrimoniale, di leverage e, soprattutto, di montagna di titoli della finanza strutturata, tra la sua banca e l’orso di Stearns che ha appena stirato le gambe ed è finito nella maggiormente solide braccia dei nipotini delle casate dei Morgan e dei Rockfeller a prezzi, pur dopo la quintuplicazione della risibile offerta iniziale, da vero saldo?
Dopo aver appreso ieri da Wally, vezzeggiativo molto usato all’ombra del Wall per definire l’informatissimo, quasi preveggente, Wall Street Journal, che ben 49 hedge funds sono andati a zampe all’aria nel 2007, mandando in fumo poco meno di 19 miliardi di dollari, abbiamo appreso ieri da Thomson Financial che, nel primo trimestre del 2008, il settore del Merger & Acquisition è tonfato esattamente di un terzo in termini di volume rispetto allo stesso periodo del 2007, mentre nel solo settore delle acquisizioni il calo è stato del 77 per cento, flessione spiegata dagli espertissimi di Thomson, udite, udite!, per la difficoltà dei private equity, ma non solo loro, nel trovare denaro facile ed a buon mercato, come era facile in un recente passato alle nostre alquanto desolate ed a rischio povere locuste, abituate ad acquisizioni multimiliardarie senza mai metterci un soldo del loro.
Che dire della conferma giunta, sempre ieri, della striminzita crescita del PNL statunitense nel quarto trimestre del 2007, inchiodato allo 0,6 per cento annualizzato già reso noto un mese fa, se non che, da una analisi frettolosa delle componenti, scopriamo che vi è stata una vera e propria distruzione di ricchezza, che ha pesato poco meno del 2 per cento, legata alla gestione delle scorte di prodotti desolatamente invenduti, mentre l’inflazione core si è portata dal 2 per cento della prima lettura al 2,5 per cento della seconda, con buona pace dei tassi di Bernspan, ormai al di sotto dell’inflazione core di 25 punti base, mentre, rispetto al tasso di inflazione vero, sono inferiori di quasi due punti percentuali, il che escluderebbe, se vi fosse una vera banca centrale, qualsiasi attesa di nuove riduzioni dei tassi che, invece, ci saranno e come se ci saranno.
Parlare a questo punto dei tassi interbancari sull’euro e le altre valute, mi sembra un po’ impietoso per i nervi dei miei pochi lettori, ma il dovere di cronista della tempesta perfetta mi impone di segnalare l’ennesimo rialzo dei tassi ad uno e a tre mesi registrato anche ieri, così come è doveroso segnalare che, esaurita una breve fase di consolidamento, l’euro e lo yen si apprestano a dare l’assalto alle importanti soglie psicologiche degli 1,60 dollari contro euro e dei 95 yen contro dollaro, con buona pace dei desiderata un po’ out of the money dei banchieri centrali che si ostinano a mettersi contro vento, apparentemente immemori delle amare lezioni del passato, con l’aggravante che non vi è alcun appuntamento previsto né al Plaza, né in nessun altro hotel del pianeta in grado di modificare realmente la situazione.