Come anticipavo ieri, il sostanziale stallo degli indici azionari statunitensi, uno stallo seguito alle pesanti perdite in Asia e le sensibili flessioni dei listini europei, è molto più eloquente di quanto possa apparire a prima vista, anche perché le notizie provenienti dall’economia reale USA sono state tutt’altro che positive, con una pesante conferma in serata di quanto dicevano la permanenza dell’indice ISM nell’area recessiva e la pesante flessione della spesa per costruzioni, conferma proveniente dalle vendite di auto e truck sul suolo statunitense in un mese di febbraio che le case automobilistiche vorrebbero dimenticare in fretta, alla luce delle forti flessioni pressoché generalizzate sia per le marche statunitensi che per quelle straniere, unica eccezione la Honda che archivia il mese con un brillante rialzo del 5 per cento.
Certo, chiudere in flessione, seppur di poco, la seduta che doveva far dimenticare lo scivolone di venerdì scorso non promette nulla di buono, ma il problema non è tanto in questo, quanto nel fatto che si sta diffondendo tra i già angosciati operatori l’idea di una sempre più percepibile lack of governance che è l’ultima cosa che gli stessi vorrebbero in una crisi finanziaria iniziata quasi sette mesi orsono e della quale nessuno è realmente in grado di prevedere gli sviluppi e, soprattutto, di intravedere la luce in fondo al tunnel nel quale ci troviamo.
In un’interessante intervista concessa alla CNBC a seguito della tradizionale assemblea convocata per esaminare i risultati della sua Berkshire Financials, il leone di Omaha (Nebraska), Warren Buffett si è detto convinto che siamo ormai in fase recessiva e che questo, al di là della tecnicalità dei due trimestri consecutivi di crescita negativa del prodotto nazionale lordo, è una considerazione basata sul senso comune, proprio quel senso comune troppo a lungo assente dai mercati finanziari globali, impegnati ad effettuare una scommessa dopo l’altra, sino a riempire il pianeta di carta dai contenuti tecnici sempre meno comprensibili e che il mercato non vuole e non può assorbire più.
Da fonti interne al disastrato mondo delle monoline, è pervenuta la notizia che, con uno scatto di orgoglio certamente degno di miglior causa e molto pericoloso stando a bordo di navi esposte agli alti marosi della tempesta perfetta, è stata respinta venerdì scorso la mega offerta di Buffett di acquisire bond municipali e di altre entità pubbliche per 800 miliardi di dollari, offerta che è stata nuovamente avanzata ieri, ma che, secondo il saggio Buffett, non verrà certo replicata all’infinito.
Sarebbe ingiusto per i disperati Chairman e CEO di MBIA ed Ambac non riconoscere che quelle di Buffett e dello squalo miliardario Ross sono, in realtà, offerte che, ove accettate, porterebbero le due monoline e le altre loro disastrate consorelle a perdere il meglio del loro portafoglio ed a vedere crescere la quota sul totale delle garanzie prestate in favore delle emissioni dei titoli della finanza strutturata che le sciagurate compagnie hanno accettato di assicurare non tanti anni orsono e che ora rappresentano il problema dei problemi, perché, lo ripeto, è ormai un’impresa pari a quella di Diogene e della sua lanterna trovare qualche investitore istituzionale o membro del sempre affollato parco buoi che voglia saperne delle diavolerie inventate dallo stuolo di apprendisti stregoni che un tempo affollavano le fabbriche prodotto dei segmenti di Corporate & Investment Banking delle banche e delle compagnie di assicurazione globali.
Le previsioni sul comparto assicurativo nel suo complesso formulate nell’intervista citata da Warren Buffett non sono del resto certo rosee, anche perché è sempre più forte l’impatto sull’importante ramo danni derivante dal fatto che le catastrofi naturali stanno affligendo gli Stati Uniti e buona parte del pianeta per il terzo anno consecutivo e, mentre Buffett parlava, il Nord dell’Europa era alle prese con un uragano che, a giudicare dall’iniziale, dovrebbe essere il quinto degli ultimi dodici mesi.
Non voglio iscrivermi alla schiera dei catastrofismi che vedono la tempesta perfetta inserirsi nei disastri ecologici ed ambientali scaturenti da un modello di sviluppo che in ogni modo può essere definito tranne che utilizzando il termine sostenibile, anche perché mi occupavo di questo venticinque anni orsono traducendo e commentando libri quali Seven Tomorrows o i rapporti riservati al presidente degli Stati Uniti d’America sui temi climatici ed ambientali, nonché recensendo i rapporti elaborati da premi Nobel per quel Club di Roma presieduto ed animato dall’indimenticabile Aurelio Peccei, un imprenditore laureato in ingegneria che a questi temi dedicò buona parte di una vita intensa e che è quasi riduttivo definire come eccezionale.
E’ comunque certo che questa profonda e prolungata crisi finanziaria pone interrogativi e suscita inquietudini che vanno ben al di là delle questioni legate ad un sistema finanziario globale che, come ha brillantemente ed autorevolmente detto il presidente francese, Nicolas Sarkozy, è ormai impazzito, preso in una morsa che vede imperanti ed imperversanti l’avidità, la logica dei risultati di brevissimo termine ed una totale non comprensione dei mostri che gli scienziati rinchiusi nei suoi laboratori stavano producendo, al punto di dover poi assumere altri scienziati al solo fine di rendere comprensibili anche alle fragili menti dei numeri uno di banche e compagnie di assicurazione le caratteristiche, i rischi e, soprattutto, il residuo mark to market di quelle astruse diavolerie.
Sia detto per inciso, non si hanno da tempo notizie di questi spacchettatori, impegnati, pare, in turni di 24 ore in luoghi dove non giunge la luce del Sole, aventi come unico svago i colloqui, spesso alquanto tempestosi, con CEO, CFO, COO sempre più ansiosi e preoccupati che vorrebbero sapere nel più breve tempo possibile notizie essenziali per la durata dei rispettivi e strapagati incarichi, per cui rivolgo sommessamente un invito ai loro temporanei datori di lavoro, giustamente strapagato: liberateli tutti!
Cresce nel frattempo, al di là ed al di qua dell’Atlantico, il nervosismo delle banche centrali e dei regolatori impegnati, sui rispettivi versanti, a cercare di dare un po’ d’ordine ai mercati finanziari ed ai singoli operatori, così non stupisce che l’U.S. Office of the Comptroller of Currency abbia reso noto di aver richiesto, sempre venerdì scorso, a nove banche importanti nel disastrato settore del mortgage di fornire, su base mensile, tutte le informazioni in loro possesso sui mutui residenziali dalle stesse entità erogati.
La perentoria richiesta del OCC statunitense è stata rivolta a Bank of America, Citigroup, Wachovia Bank, Wells Fargo, National City, HSBC, First Horizon, JPM-Chase e US Bancorp, ossia il meglio del sistema bancario americano con l’aggiunta della britannica HSBC.