Nella puntata di ieri, sabato 8 marzo, ho volutamente lasciato in fondo due notizie di notevole importanza per l’economia statunitense, a sua volta cruciale nell’attuale fase della tempesta perfetta, notizie che testimoniavano l’ampliarsi dell’emorragia di posti di lavoro dopo almeno cinque anni di continua crescita e il vero e proprio crollo dell’altrettanto strategico indicatore rappresentato dal Consumer Confidence, giunto ai primi di marzo ad una lettura pari a 33 punti, mentre era a 92 nel marzo dell’anno scorso.
Scusandomi con i lettori del sito della UILCA e con quelli di Flipnews per il disallineamento delle apparizioni delle puntate del Diario, un disallineamento dovuto semplicemente al fatto che questo blog è aggiornato anche durante il week end ed i giorni festivi, mentre gli altri due siti sono, almeno in genere, alimentati nei soli giorni lavorativi (la puntata di oggi e quella di ieri, ad esempio, appariranno lunedì, una come puntata ordinaria e l’altra come speciale stock options e sistema incentivante), ma ricordo che su entrambi i siti è riportato, al termine della puntata, il link con il blog.
Ho già ricordato nei mesi scorsi l’importanza strategica del Non Farm Payrolls e le principali caratteristiche di questa che è, indubbiamente, la notizia economica delle notizie economiche, un dato dal quale gli analisti e gli operatori traggono le principali indicazioni sull’andamento dell’economia statunitense che, non smetterò mai di ripeterlo, è quella maggiormente monitorata da una quantità di dati di fonte pubblica e privata che, per cadenza e ricchezza informativa, non ha pari al mondo, una quantità ed una qualità di notizie che divengono, tuttavia, alquanto imbarazzanti nel corso di una crisi finanziaria, figuriamoci durante una tempesta perfetta, perché rendono molto arduo il lavoro degli analisti un po’ compiacenti con il potere economico e politico, per non parlare di quella strana razza rappresentata dai giornalisti embedded.
Ebbene, dopo un lungo periodo nel quale la crescita delle buste paga nei settori anticiclici, quali sanità, scuola, ristorazione e settore governativo aveva compensato e, a volte, più che compensato la perdita sempre più consistente di posti di lavoro nel settore manifatturiero, in quello finanziario, nell’edilizia e via discorrendo, in gennaio in modo alquanto soft prima ed in febbraio in modo più netto il giocattolo si è rotto e le pur consistenti assunzioni nel primo blocco di settori è stato letteralmente travolto dalle ancor più consistenti perdite verificatesi nel secondo.
Ma vi è un aspetto della notizia diffusa venerdì, prima dell’apertura dei mercati, che ha colpito l’immaginazione dei più sensibili tra gli analisti ed i commentatori economici ed è rappresentata dalla vera e propria fuga in massa dal mercato del lavoro statunitense dei cosiddetti scoraggiati, 450 mila donne ed uomini che non si vogliono più sottoporre all’attesa spesso vana di un posto di lavoro che o non si riesce proprio a trovare, oppure non è assolutamente all’altezza del curriculum e delle competenze di colei o colui che si affanna da mesi, se non da anni, a cercare un’occupazione adeguata alle proprie aspirazioni ed ai propri titoli.
Risiede solo in questo l’anomale, seppur marginale, riduzione del tasso di disoccupazione dopo due mesi consecutivi che hanno visto la perdita di 85 mila posti di lavoro, ma si tratta a mio avviso, di un fenomeno addirittura più preoccupante della pur grave ondata di licenziamenti sottesa nei dati, anche perché è coeva al tracollo delle aspettative dei consumatori, quelle degli imprenditori, peraltro, non vanno assolutamente meglio, aspettative sempre più fosche e fondate principalmente sul vero e proprio meltdown del settore immobiliare, sull’ormai quasi impossibilità di ottenere nuovo credito o di ripagare quello già ottenuto, sulla esplosione del fenomeno dei pignoramenti e delle relative messe all’asta, che vanno, peraltro, sempre più a vuoto, della casa o dell’appartamento così faticosamente acquisiti, spesso investendo in essi il frutto dei risparmi accumulati in un’intera vita lavorativa.
Ricordavo ieri le parole rivolte ai tre multimilionari ex numeri uno di tre importanti istituzioni creditizie statunitensi dal presidente dell’organismo del Congresso che sta svolgendo un’accurata indagine sulla crisi finanziaria in atto e sulle sue cause, quando ha affermato che loro e le loro banche sono totalmente disconnessi dalla realtà, una frase forse ad effetto e mossa da biechi fini elettorali legati alle elezioni prossime venture, ma di rara efficacia e capacità di sintesi.
Già, perché la seduta di venerdì dell’organismo parlamentare USA che ho avuto modo di commentare ampiamente nella puntata di ieri, ha messo il dito nella piaga di un sistema, quale è il mercato finanziario globale con i suoi attori, comprimari e le sue vittime, che, come altrettanto efficacemente ha sostenuto il bellicoso presidente francese, Nicolas Sarkozy, è ormai letteralmente impazzito, un sistema che vede top manager strapagati mentre sono in carica, coperti d’oro quando vengono cacciati ed un sistema complessivo di benefit & compensation a sua volta disconnesso, in tutto od in parte, dagli effettivi risultati della banca, della compagnia di assicurazione o della corporation che si trova, per amore o per forza, ad erogarli.
Pur avendo in odio il moralismo d’accatto o legato a squallidi calcoli opportunistici, credo proprio che uno dei punti dell’agenda del Governatore Mario Draghi, nella sua qualità di presidente pro tempore del Financial Stability Forum, sia quello di proporre, nella riunione di aprile del G7 nel corso della quale dovrà tenere la sua tanto attesa relazione sulle cause della tempesta perfetta ed i rimedi da adottare per evitare che si ripeta in futuro, su questo spinoso e sgradito argomento almeno quanto ha chiesto accada nelle banche da lui istituzionalmente sorvegliate, e, cioè, che siano le assemblee a decidere sui compensi extra dei vertici e che gli stessi siano legati a solidi e sostenibili risultati di medio lungo periodo, in luogo di quelli a breve e brevissimo termine attualmente previsti, spesso risultati all’apparenza molto brillanti che si rivelano poi avere un effetto boomerang sui bilanci aziendali, per non parlare degli effetti drammatici registrati in questi anni sul fronte della reputazione aziendale.
Quando, nella sua prima apparizione come Governatore della Banca d’Italia, il professor Draghi, ebbe ad includere il rischio reputazionale come avente gran rilievo tra i tanti rischi che caratterizzano il mestiere del banchiere, mi trovai a scrivere che un buon numero degli astanti mise all’opera un nugolo di solerti collaboratori perché spiegassero, dopo lunghe ed approfondite ricerche, cosa intendesse Draghi con questo benedetto e sconosciuto rischio reputazionale, un termine, almeno a loro memoria, mai apparso nei verbali dei consigli di amministrazione o in quelli dei comitati esecutivi.