Se la particolareggiata ricostruzione apparsa venerdì in tarda serata sull’edizione online di Business Week fosse veritiera, non vi è dubbio che la notte tra giovedì e venerdì al quartier generale di Bear Stearns a New York sia stata di quelle memorabili e rappresenterà uno di quegli avvenimenti che passeranno certamente dalla cronaca alla storia di questa tempesta perfetta.
Secondo Mattew Goldstein, infatti, dopo una telefonata alquanto concitata tra il nuovo CEO di Bear, Alan Schwartz, ed i vertici della Federal Reserve nel pomeriggio di giovedì, un nugolo di funzionari della Fed di New York sono stati spediti di corsa nel prestigioso edificio che ospita gli uffici della banca fondata nel lontano 1923 ed hanno trascorso l’intera notte a verificare i libri per fornire ai loro superiori la certezza che, oltre alla paurosa crisi di liquidità, la banca non fosse già tecnicamente fallita.
Non è chiaro se un altrettanto nutrito di esperti di J.P. Morgan-Chase abbia raggiunto le due squadre già al lavoro nel corso della stessa notte o al mattino del giorno dopo, ma sta di fatto che la chiamata di soccorso è giunta ai piani alti dell’unica tra le Big Five statunitensi ad essere uscita sostanzialmente indenne dalla crisi finanziaria in corso e che i vertici di questa hanno deciso di aderire alla richiesta di lanciare a Bear una sostanziosa ciambella di salvataggio, dietro opportuna garanzia ottenuta dalla Fed che avrebbe espletato fino in fondo il suo ruolo di prestatore di ultima istanza.
In perfetta analogia con il caso Socgen, l’annuncio ufficiale del financial bailout in corso è giunta ad oltre cinque giorni dai primi e circostanziati rumors sulle difficoltà incontrate da Bear Stearns nell’ottenere la necessaria liquidità sui mercati interbancari, con l’aggravante di una rassicurante intervista televisiva rilasciata da Schwartz in persona alla rete via cavo CNBC nella giornata di mercoledì 12 e la riesumazione del mitico Alan “Ace” Greenberg, in passato storico numero uno di Bear, che da una località non meglio precisata, ma posta a distanza di sicurezza dall’epicentro degli avvenimenti, ha rilasciato un comunicato nel quale, sostanzialmente, affermava che tutto andava per il meglio.
Non credo sia superfluo ricordare che, agli albori della tempesta perfetta, erano state proprio le difficoltà di due hedge funds di Bear Stearns ad agitare le acque dei mercati interbancari e che il precedente Chairman e CEO della stessa Bear, James Cayne, fu costretto a fare in fretta e furia le valigie, peraltro traboccanti di dollari ed argenteria, per aver preferito, in quelle torride ed esiziali settimane, trascorrere il suo tempo lontano dall’ansiogeno quartier generale della sua banca, in quanto impegnato in interminabili partite di pocker e in quelle estenuanti tenzoni di golf, nel corso delle quali, passeggiando sul green si discute con le persone giuste del proprio futuro professionale (spero proprio che per il candido Cayne non ve ne sia proprio nessuno).
Cosa sia accaduto dopo il comunicato ufficiale alquanto indecente rilasciato ieri è ormai storia, con l’azione sprofondata nel giro di pochi minuti di poco meno del 54 per cento, lasciando in mano ai panicati azionisti l’equivalente di un pugno di mosche, ma questo è il mercato, bellezza!
D’altra parte, era facile che questo si dicesse ieri, all’ombra del Wall, nei conciliaboli di quanti quelle azioni non possedevano, mentre impazzava la corsa alla chiusura delle linee di credito da parte delle poche banche che non sapevano già e l’altrettanto affannosa corsa allo scontatissimo ritiro dei depositi garantito dalla maxi iniezione di liquidità effettuata dal prossimo acquirente della banca disastrata, la già citata J.P. Morgan, quella banca, prima del merger con Chase Manhattan, fondata dal mitico John Pierpoint Morgan, lo spregiudicato ma abilissimo banchiere che aveva tolto Wall Street dalle peste nella tempesta perfetta del 1907 e quando la Fed, per fortuna aggiungo io, ancora non esisteva, e lo fece staccando suoi assegni personali garantiti dal carico d’oro ospitato dalla capienti stive del transatlantico Lusitania in procinto di attraccare nel porto di New York.
Vorrei solo fare notare che, se la ricostruzione dettagliata del bravo Goldstein non è alquanto manipolata, che l’ineffabile Bernspan e i suoi complici avrebbero agito, e su richiesta, solo quattro giorni dopo la tempesta di rumors tutt’altro che peregrini ed infondati circolanti negli ambienti giusti e provenienti dalle persone giuste, mostrando nei fatti che il nostro candido professore di Princeton non solo si colloca ampiamente behind the curve, ma interpreta il ruolo di vigilatore dei mercati quasi fosse un pompiere che in luogo di accorrere al primo segnale di fumo attende placidamente in caserma che qualche fortunato sopravvissuto all’incendio decida di chiamarlo, accorrendo solo dopo aver ben ponderato ed essersi opportunamente consultato sul da farsi.
Caro professore, io non sono nessuno e non ho alcun titolo per dirglielo, ma credo proprio che, nel suo caso ed in quello dei suoi altrettanto inutili e inutilmente pagati colleghi, l’unica frase adatta ed espressa nel suo fin troppo diffuso idioma sia quella che dice: “the sooner you leave, the better”!
Aspetto con tutti gli altri che lei abbassi improvvisamente di un punto o più l’ormai negativo in termini reali tasso sui Fed Funds, così come sono quasi certo che, anche stavolta, lo farà in videoconferenza, sarebbe meglio se lo facesse senza utilizzare il video ma solo la cornetta del telefono, permettendomi di darle anche un consiglio: stacchi il telefono muto che mette in comunicazione unidirezionale con lei quell’inquilino della Casa Bianca che tanto le somiglia nei ragionamenti e nei comportamenti.
Vorrei proprio dire che quella di Bear Stearns rappresenta l’alfa e l’omega della tempesta perfetta, ma, purtroppo, mi vedo costretto a dire che non siamo che agli inizi di un effetto domino che rischia seriamente di non trovare capienti prestatori di ultima istanza, anche alla luce della fitta ragnatela di rapporti di debito e credito che lega tra loro le banche di tutto il mondo e che, non solo attraverso il volano delle compagnie monoline, tocca anche le compagnie di assicurazione, per non parlare poi di quegli attori dell’economia reale che non sanno veramente più a che santo votarsi per ottenere credito, pur essendo spesso disposti a non discutere sul prezzo dello stesso.
Per dovere di ufficio, rendo noto che Martin Feldstein, ottimo economista e potentissimo presidente del National Bureau of Economic Research, ci informa che la recessione abita già tra di noi e che potrebbe essere la più dura dalla fine del secondo conflitto mondiale; ben arrivato tra noi bistrattati epigoni della mitica Cassandra, Dear Martin!
Secondo Mattew Goldstein, infatti, dopo una telefonata alquanto concitata tra il nuovo CEO di Bear, Alan Schwartz, ed i vertici della Federal Reserve nel pomeriggio di giovedì, un nugolo di funzionari della Fed di New York sono stati spediti di corsa nel prestigioso edificio che ospita gli uffici della banca fondata nel lontano 1923 ed hanno trascorso l’intera notte a verificare i libri per fornire ai loro superiori la certezza che, oltre alla paurosa crisi di liquidità, la banca non fosse già tecnicamente fallita.
Non è chiaro se un altrettanto nutrito di esperti di J.P. Morgan-Chase abbia raggiunto le due squadre già al lavoro nel corso della stessa notte o al mattino del giorno dopo, ma sta di fatto che la chiamata di soccorso è giunta ai piani alti dell’unica tra le Big Five statunitensi ad essere uscita sostanzialmente indenne dalla crisi finanziaria in corso e che i vertici di questa hanno deciso di aderire alla richiesta di lanciare a Bear una sostanziosa ciambella di salvataggio, dietro opportuna garanzia ottenuta dalla Fed che avrebbe espletato fino in fondo il suo ruolo di prestatore di ultima istanza.
In perfetta analogia con il caso Socgen, l’annuncio ufficiale del financial bailout in corso è giunta ad oltre cinque giorni dai primi e circostanziati rumors sulle difficoltà incontrate da Bear Stearns nell’ottenere la necessaria liquidità sui mercati interbancari, con l’aggravante di una rassicurante intervista televisiva rilasciata da Schwartz in persona alla rete via cavo CNBC nella giornata di mercoledì 12 e la riesumazione del mitico Alan “Ace” Greenberg, in passato storico numero uno di Bear, che da una località non meglio precisata, ma posta a distanza di sicurezza dall’epicentro degli avvenimenti, ha rilasciato un comunicato nel quale, sostanzialmente, affermava che tutto andava per il meglio.
Non credo sia superfluo ricordare che, agli albori della tempesta perfetta, erano state proprio le difficoltà di due hedge funds di Bear Stearns ad agitare le acque dei mercati interbancari e che il precedente Chairman e CEO della stessa Bear, James Cayne, fu costretto a fare in fretta e furia le valigie, peraltro traboccanti di dollari ed argenteria, per aver preferito, in quelle torride ed esiziali settimane, trascorrere il suo tempo lontano dall’ansiogeno quartier generale della sua banca, in quanto impegnato in interminabili partite di pocker e in quelle estenuanti tenzoni di golf, nel corso delle quali, passeggiando sul green si discute con le persone giuste del proprio futuro professionale (spero proprio che per il candido Cayne non ve ne sia proprio nessuno).
Cosa sia accaduto dopo il comunicato ufficiale alquanto indecente rilasciato ieri è ormai storia, con l’azione sprofondata nel giro di pochi minuti di poco meno del 54 per cento, lasciando in mano ai panicati azionisti l’equivalente di un pugno di mosche, ma questo è il mercato, bellezza!
D’altra parte, era facile che questo si dicesse ieri, all’ombra del Wall, nei conciliaboli di quanti quelle azioni non possedevano, mentre impazzava la corsa alla chiusura delle linee di credito da parte delle poche banche che non sapevano già e l’altrettanto affannosa corsa allo scontatissimo ritiro dei depositi garantito dalla maxi iniezione di liquidità effettuata dal prossimo acquirente della banca disastrata, la già citata J.P. Morgan, quella banca, prima del merger con Chase Manhattan, fondata dal mitico John Pierpoint Morgan, lo spregiudicato ma abilissimo banchiere che aveva tolto Wall Street dalle peste nella tempesta perfetta del 1907 e quando la Fed, per fortuna aggiungo io, ancora non esisteva, e lo fece staccando suoi assegni personali garantiti dal carico d’oro ospitato dalla capienti stive del transatlantico Lusitania in procinto di attraccare nel porto di New York.
Vorrei solo fare notare che, se la ricostruzione dettagliata del bravo Goldstein non è alquanto manipolata, che l’ineffabile Bernspan e i suoi complici avrebbero agito, e su richiesta, solo quattro giorni dopo la tempesta di rumors tutt’altro che peregrini ed infondati circolanti negli ambienti giusti e provenienti dalle persone giuste, mostrando nei fatti che il nostro candido professore di Princeton non solo si colloca ampiamente behind the curve, ma interpreta il ruolo di vigilatore dei mercati quasi fosse un pompiere che in luogo di accorrere al primo segnale di fumo attende placidamente in caserma che qualche fortunato sopravvissuto all’incendio decida di chiamarlo, accorrendo solo dopo aver ben ponderato ed essersi opportunamente consultato sul da farsi.
Caro professore, io non sono nessuno e non ho alcun titolo per dirglielo, ma credo proprio che, nel suo caso ed in quello dei suoi altrettanto inutili e inutilmente pagati colleghi, l’unica frase adatta ed espressa nel suo fin troppo diffuso idioma sia quella che dice: “the sooner you leave, the better”!
Aspetto con tutti gli altri che lei abbassi improvvisamente di un punto o più l’ormai negativo in termini reali tasso sui Fed Funds, così come sono quasi certo che, anche stavolta, lo farà in videoconferenza, sarebbe meglio se lo facesse senza utilizzare il video ma solo la cornetta del telefono, permettendomi di darle anche un consiglio: stacchi il telefono muto che mette in comunicazione unidirezionale con lei quell’inquilino della Casa Bianca che tanto le somiglia nei ragionamenti e nei comportamenti.
Vorrei proprio dire che quella di Bear Stearns rappresenta l’alfa e l’omega della tempesta perfetta, ma, purtroppo, mi vedo costretto a dire che non siamo che agli inizi di un effetto domino che rischia seriamente di non trovare capienti prestatori di ultima istanza, anche alla luce della fitta ragnatela di rapporti di debito e credito che lega tra loro le banche di tutto il mondo e che, non solo attraverso il volano delle compagnie monoline, tocca anche le compagnie di assicurazione, per non parlare poi di quegli attori dell’economia reale che non sanno veramente più a che santo votarsi per ottenere credito, pur essendo spesso disposti a non discutere sul prezzo dello stesso.
Per dovere di ufficio, rendo noto che Martin Feldstein, ottimo economista e potentissimo presidente del National Bureau of Economic Research, ci informa che la recessione abita già tra di noi e che potrebbe essere la più dura dalla fine del secondo conflitto mondiale; ben arrivato tra noi bistrattati epigoni della mitica Cassandra, Dear Martin!