A due giorni dall’ennesimo maxitaglio del tasso sui Fed Funds e del tasso ufficiale di sconto, permane uno stato alquanto confusionale dei mercati, che sembrano incerti sulle reali prospettive dell’economia statunitense e, ancor di più, dello strategico settore finanziario, situazione che spinge gli operatori a fare ciò che sanno fare meglio, ossia il cosiddetto mordi e fuggi.
Esercitandosi in questa tattica da scalpers, molto simile al surf sulle onde del Pacifico o alle tecniche della guerriglia, operatori di ogni standing e di ogni età stanno mettendo a serio rischio le loro ed altrui coronarie, facendo assomigliare sempre di più i grafici che rappresentano le sedute delle borse statunitensi e di quelle locate altrove a una sorta di percorso da montagne russe, con ribassi e rialzi di notevole entità che si susseguono a giorni alterni, ma anche con una volatilità intraday che consente guadagni quotidiani, ma anche perdite, di notevole entità.
L’altro aspetto che va sottolineato è la quasi totale autonomizzazione del mercato azionario dalle notizie economiche che, ieri, vedevano un balzo in avanti dei nuovi sussidi di disoccupazione, il quinto dato negativo del superindice, e, sul fronte positivo, solo un parziale ridimensionamento del rosso profondo dell’indice Fed di Philadelphia, ma, ai naufraghi alquanto disperati della tempesta perfetta, tutto ciò non ha impedito di spingere con decisione al rialzo i listini e di scommettere con forza su buona parte delle entità operanti nel mercato finanziario, basandosi anche sul fatto che le relative quotazioni erano giunte ormai a livelli da vero saldo.
Riluttanti ad esercitarsi in questo sport, i più anziani ed avveduti operatori europei hanno ignorato bellamente quella che potrebbe rivelarsi come l’ennesima falsa partenza ed hanno spinto decisamente al ribasso i listini di loro pertinenza, prestando, inoltre, maggiore ascolto al netto peggioramento delle previsioni economiche sfornate, quasi in simultanea, dall’OCSE e da quel Fondo Monetario Internazionale che pensavamo, o speravamo, fosse in via di smantellamento a causa della furia riformatrice del suo nuovo numero uno di cittadinanza francese, che, almeno al momento, dubito sia riuscito a spostare anche solo una pianta nei corridoi del prestigioso palazzo che ospita centinaia e centinaia di economisti che suggerisco di continuare a pagare anche bloccando le pubblicazioni dei testi derivanti dalle loro immani fatiche.
Allo stesso modo in cui ignora bellamente il quadro fosco dell’economia statunitense scaturente dalla pioggia fitta di dati provenienti dall’economia reale, così la folla sterminata di operatori ed analisti sembra non curarsi affatto del fatto che le disavventure di Bear Stearns nascevano da una struttura operativa, da un livello di leverage e da un’operatività estremamente simili a quelle, tanto per dire, di Morgan Stanley, di Lehman Brothers o di Merrill Lynch, con la sola, oltremodo lodevole, eccezione di quella J.P. Morgan-Chase che, non proprio a caso, è stata chiamata a salvare, con totale garanzia da parte della Fed, il tecnicamente fallito orso di Stearns a prezzi che, apparentemente ma forse solo apparentemente, appaiono di assoluto saldo.
Sempre con riferimento al comparto delle principali investment banks, quelle CIB delle CIB che da Big Five si sono già ridotte a Big Four, non si trova più un analista finanziario che ricordi che la flessione sensibilissima dei ricavi evidenziati dai recenti dati trimestrali (da-17 a-50 per cento) sarebbe stata ancora maggiore se non avesse funzionato, ancora una volta, quella vera e propria ciambella di salvataggio rappresentata dalle opportune previsioni di FAS e FASB che prevedono la possibilità, censurata dall’insolitamente solerte Moody’s, di considerare ricavi il mark to market negativo dei titoli della finanza strutturata ancora largamente in possesso delle suddette case di investimento.
Né sono servite ad un redde rationem notizie quali il tiraggio selvaggio delle committed lines bancarie da parte della finanziaria CIT, che, con l’acqua ormai oltre la gola, ha tirato 7,3 miliardi di dollari che le banche concedenti con ogni probabilità non rivedranno mai più, o le voci sempre più insistenti sulle difficoltà di cassa incontrate da quella pattuglia di mortgage lenders non ancora ricorse alle comode protezioni previste dalla legge fallimentare statunitense.
In un numero crescente di contee dello Stato della California, che, lo ricordo per gli amanti delle statistiche, è caratterizzato da un PIL superiore a quello dell’Italia, è ormai del tutto impossibile ottenere un mutuo, in quanto, al solo inserimento del codice postale, l’operazione si blocca pressoché in automatico, a prescindere dalla solidità, solvibilità e garanzie offerte dal richiedente il mutuo medesimo, una circostanza che rappresenta l’ennesima conferma stupidità degli approcci quantitativi religiosamente seguiti dalle banche statunitensi, e spesso da quelle altrove basate, metodi ed approcci che hanno giocato un ruolo di rilievo nella genesi dell’attuale tempesta perfetta.
L’apparentemente strano comportamento dei mortgage lenders è legato al fatto che, nelle scorse settimane, sono stati cancellati 9.600 codici postali dall’elenco di quelli meritevoli di garanzia da parte delle a loro volta tecnicamente fallite compagnie monoline, che, ancora a loro volta, seguono alla lettera il detto che vuole che chi si è scottato si trovi ad avere paura pure dell’acqua tiepida.
Ricordo con affetto gli sforzi di un’alta burocrate dell’amministrazione federale statunitense che, nel lontano mese di settembre del 2007, cercò di fare capire ai suoi superiori ed ai banchieri che era oltremodo necessario un approccio che partisse proprio dallo smantellamento di sistemi basati sui credit scores o su altri automatismi, favorendo il ritorno all’antica arte dell’affidamento basata sulle informazioni, ma anche su quel fiuto che è stato per secoli alla base dell’arte del banchiere, finendo, tuttavia, per scoprire che la saggezza femminile e la propria profonda competenza professionale poco potevano di fronte all’arroganza ed al pregiudizio ancora largamente dominanti tra gli uomini al potere nella politica così come nella finanza.
Non è il primo, né, purtroppo, sarà l’ultimo caso di discriminazione ad alto livello, anche sono certo che le uniche speranze di uscire dalla tempesta perfetta consistono nell’affidarsi proprio alla comprovata capacità delle donne di gestire meglio degli uomini le situazioni di difficoltà quali sono quelle nelle quali siamo attualmente immersi.
Esercitandosi in questa tattica da scalpers, molto simile al surf sulle onde del Pacifico o alle tecniche della guerriglia, operatori di ogni standing e di ogni età stanno mettendo a serio rischio le loro ed altrui coronarie, facendo assomigliare sempre di più i grafici che rappresentano le sedute delle borse statunitensi e di quelle locate altrove a una sorta di percorso da montagne russe, con ribassi e rialzi di notevole entità che si susseguono a giorni alterni, ma anche con una volatilità intraday che consente guadagni quotidiani, ma anche perdite, di notevole entità.
L’altro aspetto che va sottolineato è la quasi totale autonomizzazione del mercato azionario dalle notizie economiche che, ieri, vedevano un balzo in avanti dei nuovi sussidi di disoccupazione, il quinto dato negativo del superindice, e, sul fronte positivo, solo un parziale ridimensionamento del rosso profondo dell’indice Fed di Philadelphia, ma, ai naufraghi alquanto disperati della tempesta perfetta, tutto ciò non ha impedito di spingere con decisione al rialzo i listini e di scommettere con forza su buona parte delle entità operanti nel mercato finanziario, basandosi anche sul fatto che le relative quotazioni erano giunte ormai a livelli da vero saldo.
Riluttanti ad esercitarsi in questo sport, i più anziani ed avveduti operatori europei hanno ignorato bellamente quella che potrebbe rivelarsi come l’ennesima falsa partenza ed hanno spinto decisamente al ribasso i listini di loro pertinenza, prestando, inoltre, maggiore ascolto al netto peggioramento delle previsioni economiche sfornate, quasi in simultanea, dall’OCSE e da quel Fondo Monetario Internazionale che pensavamo, o speravamo, fosse in via di smantellamento a causa della furia riformatrice del suo nuovo numero uno di cittadinanza francese, che, almeno al momento, dubito sia riuscito a spostare anche solo una pianta nei corridoi del prestigioso palazzo che ospita centinaia e centinaia di economisti che suggerisco di continuare a pagare anche bloccando le pubblicazioni dei testi derivanti dalle loro immani fatiche.
Allo stesso modo in cui ignora bellamente il quadro fosco dell’economia statunitense scaturente dalla pioggia fitta di dati provenienti dall’economia reale, così la folla sterminata di operatori ed analisti sembra non curarsi affatto del fatto che le disavventure di Bear Stearns nascevano da una struttura operativa, da un livello di leverage e da un’operatività estremamente simili a quelle, tanto per dire, di Morgan Stanley, di Lehman Brothers o di Merrill Lynch, con la sola, oltremodo lodevole, eccezione di quella J.P. Morgan-Chase che, non proprio a caso, è stata chiamata a salvare, con totale garanzia da parte della Fed, il tecnicamente fallito orso di Stearns a prezzi che, apparentemente ma forse solo apparentemente, appaiono di assoluto saldo.
Sempre con riferimento al comparto delle principali investment banks, quelle CIB delle CIB che da Big Five si sono già ridotte a Big Four, non si trova più un analista finanziario che ricordi che la flessione sensibilissima dei ricavi evidenziati dai recenti dati trimestrali (da-17 a-50 per cento) sarebbe stata ancora maggiore se non avesse funzionato, ancora una volta, quella vera e propria ciambella di salvataggio rappresentata dalle opportune previsioni di FAS e FASB che prevedono la possibilità, censurata dall’insolitamente solerte Moody’s, di considerare ricavi il mark to market negativo dei titoli della finanza strutturata ancora largamente in possesso delle suddette case di investimento.
Né sono servite ad un redde rationem notizie quali il tiraggio selvaggio delle committed lines bancarie da parte della finanziaria CIT, che, con l’acqua ormai oltre la gola, ha tirato 7,3 miliardi di dollari che le banche concedenti con ogni probabilità non rivedranno mai più, o le voci sempre più insistenti sulle difficoltà di cassa incontrate da quella pattuglia di mortgage lenders non ancora ricorse alle comode protezioni previste dalla legge fallimentare statunitense.
In un numero crescente di contee dello Stato della California, che, lo ricordo per gli amanti delle statistiche, è caratterizzato da un PIL superiore a quello dell’Italia, è ormai del tutto impossibile ottenere un mutuo, in quanto, al solo inserimento del codice postale, l’operazione si blocca pressoché in automatico, a prescindere dalla solidità, solvibilità e garanzie offerte dal richiedente il mutuo medesimo, una circostanza che rappresenta l’ennesima conferma stupidità degli approcci quantitativi religiosamente seguiti dalle banche statunitensi, e spesso da quelle altrove basate, metodi ed approcci che hanno giocato un ruolo di rilievo nella genesi dell’attuale tempesta perfetta.
L’apparentemente strano comportamento dei mortgage lenders è legato al fatto che, nelle scorse settimane, sono stati cancellati 9.600 codici postali dall’elenco di quelli meritevoli di garanzia da parte delle a loro volta tecnicamente fallite compagnie monoline, che, ancora a loro volta, seguono alla lettera il detto che vuole che chi si è scottato si trovi ad avere paura pure dell’acqua tiepida.
Ricordo con affetto gli sforzi di un’alta burocrate dell’amministrazione federale statunitense che, nel lontano mese di settembre del 2007, cercò di fare capire ai suoi superiori ed ai banchieri che era oltremodo necessario un approccio che partisse proprio dallo smantellamento di sistemi basati sui credit scores o su altri automatismi, favorendo il ritorno all’antica arte dell’affidamento basata sulle informazioni, ma anche su quel fiuto che è stato per secoli alla base dell’arte del banchiere, finendo, tuttavia, per scoprire che la saggezza femminile e la propria profonda competenza professionale poco potevano di fronte all’arroganza ed al pregiudizio ancora largamente dominanti tra gli uomini al potere nella politica così come nella finanza.
Non è il primo, né, purtroppo, sarà l’ultimo caso di discriminazione ad alto livello, anche sono certo che le uniche speranze di uscire dalla tempesta perfetta consistono nell’affidarsi proprio alla comprovata capacità delle donne di gestire meglio degli uomini le situazioni di difficoltà quali sono quelle nelle quali siamo attualmente immersi.