lunedì 31 marzo 2008

Who's the next?


Una veloce scorsa ai credit default swaps, un indicatore molto efficace di come il mercato vede la solidità e le prospettive di una entità, che si tratti di una investment bank, di una banca ordinaria (ma ne esistono ancora?), di una compagnia di assicurazione, di un’entità pubblica o di un’impresa industriale, consente di scoprire che, forse, i rumors e le voci che vedono Lehman Brothers o Merrill Lynch fare a breve la fine dell’orso di Stearns sono tutt’altro che campate in aria, in quanto i livelli, rispettivamente, di 271 e di 280 sono giustificabili, per entità così rilevanti, sono quando si è alla frutta e, cioè, un attimo solo prima di portare i libri in tribunale, cosa, peraltro, almeno negli States, in grado di fornire quello stesso grado di protezione di cui stanno godendo le circa ottanta entità operanti nel mortgage che hanno fatto ricorso alla legge fallimentare statunitense da agosto ad oggi.

Per non lasciare troppo sole le due investment bank, è utile ricordare che, sempre in base ai CDS, non se la passano affatto bene neanche Morgan Stanley (188), Citigroup (168,8) e Goldman Sachs (146), mentre è molto istruttivo scoprire, nella tabella pubblicata a pagina 9 dell’inserto economico del corriere della Sera di oggi, che, prima di andare a zampe all’aria, il credit default swap di Bear Stearns era “solo” a 179, mentre è schizzato a 760 solo poche ore prima del salvataggio operato dalla Federal Reserve attraverso il suo nuovo braccio operativo rappresentato dalla investment bank che raccoglie l’eredità dei nipotini del mitico J.P. Morgan e del fondatore della casata dei Rockfeller, un uomo che per decenni è stato incontrastato faro degli atlantici di tutto il mondo occidentale.

D’altra parte, questo rozzo indicatore non fa altro che misurare la temperatura della febbre dei mercati, costituendo, al contempo, una derivata prima di quel tremendo sentimento che è la paura e di quella altra brutta bestia rappresentata dall’ignoranza, due bestie immancabili in ogni crisi finanziaria degna di questo nome, ma che diventano perfide e pessime consigliere quando, come è attualmente il caso, siamo tutti esposti agli alti marosi della tempesta perfetta innescata dai comportamenti dei decision makers delle investment banks e delle altrettanto letali divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali, ovunque queste ultime siano basate.

Così come non è un caso che la temperatura stia ulteriormente salendo anche in Europa, ed è solo di magra consolazione che a farne le spese siano l’extracomunitaria UBS (137, ma protetta da un ratio di capitalizzazione, il Tier 1, pari ancora ad un solido 9) ed un’entità appartenente ad una nazione, la Gran Bretagna, che si tiene pervicacemente ed ostinatamente al di fuori dell’area forse salvifica dell’euro, quale è la Royal Bank of Scotland (127, ma con un Tier 1 a livelli talmente modesti da fare un po’ paura quale è l’attuale 3,3), due banche che si candidano a pieno titolo al gioco che sta impazzando all’ombra del wall ed un po’ ovunque nel mondo e che consiste nello scoprire quale sarà la prossima vittima in ordine di tempo della tempesta perfetta.

Nel frattempo, l’ottimo Mario Draghi, dopo un conclave a porte chiuse che ha visto rinchiusi per oltre 48 ore, non si sa se con o senza pause, i suoi titolati colleghi del Financial Stability Forum, organismo che il giovane Governatore della Banca d’Italia autorevolmente presiede da tempo, ha finalmente benedetto il rapporto finale sulle cause dell’attuale crisi finanziaria, ma, soprattutto sulle ricette per uscirne, rapporto che, come a suo tempo promesso, verrà consegnato al prossimo vertice del G7 vhe si terrà a metà di questo mese, in significativa contemporanea con le assemblee annuali di quel Fondo Monetario Internazionale e di quella Banca Mondiale, la cui costituzione fu decisa già nel corso dei lavori della Conferenza di Bretton Woods, ed i cui vertici e strapagati esperti hanno oramai gettato alle ortiche la tonaca penitenziale ed indefessamente monetarista indossata quando le crisi riguardavano il Sud del mondo, per vestire i più comodi panni di salvatori dei responsabili del moral hazard a spese, si intende, dei poveri contribuenti situati all over the world.

Dell’importante rapporto di Draghi e Company non è dato, ovviamente, di sapere nulla che non siano le informazioni fatte filtrare ad arte dalla stampa maggiormente fidata, ad opera dei giornalisti più embedded disponibili su di un mercato sul quale, come usava dire Luigi XIV, non tramonta davvero mai il Sole, anche perché molte delle misure proposte sono già, o lo saranno a breve, in corso di attuazione, nella speranza di restituire una sorta di credibilità alle istituzioni che dovrebbero vigilare sul corretto funzionamento del mercato finanziario locale o globale e nei confronti dei quali assistiamo ormai da tempo alla più grave lack of confidence mai registrata dalla crisi del 1929.

Ma l’obiettivo vero di Mario Draghi, così come quello di Jean Claude Trichet, di Henry Paulson, dello screditato King della BoE, dell’ancora da reperire Governatore della Bank of Japan e dei loro colleghi di tutto il pianeta è, in realtà, quello di convincere i terrorizzati gestori dei fondi pensione, dei fondi di investimento e gli altri investitori istituzionali a smetterla con il loro prolungato ed alquanto compatto sciopero degli investimenti, sperando che, con regole certamente più severe ed efficaci della gruviera di norme e regolamenti attualmente vigenti, siano disponibili, e con loro l’essenziale parco buoi, a sottoscrivere almeno una parte della montagna di carta precedentemente prodotta proprio dai responsabili dell’azzardo morale.

Il problema sta tutto qua, in quanto risulta difficile credere che esistano in circolazione gonzi e sprovveduti che non richiedano, quanto meno, che, in luogo della cartaccia esistente, vengano offerti titoli emessi da entità realmente a prova di bomba e che gli stessi offrano condizioni e garanzie tale da far dimenticare le troppe “sole” ricevute in passato, il che, almeno allo stato, sembra difficile possa avvenire.

Resto in trepida attesa di quel primo pacchetto di misure e di riforme che, dopo il diluvio di anticipazioni pilotate apparse su tutti i media nello scorso week end, dovrebbe essere solennemente annunciato dal solito Henry Paulson, l’uomo che veramente visse due volte, la prima come indiscusso, strapagato e longevo boss di Goldman Sachs e la seconda al vertice del più importante dicastero del più importante governo di quella che è, e almeno per un po’, resterà la più grande nazione del mondo, sia in termini militari, che politici ed economici.
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AVVISO AI LETTORI
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Ricordo che il video che riporta integralmente il mio intervento al convegno sulla crisi finanziari ed i suoi effetti sociali è liberamente disponibile sul sito di Free Lance International Press http://www.flipnew.org/ nella sezione video, alla voce videoinformazione.