Una delle caratteristiche della tempesta perfetta vigorosamente ed indefessamente in corso è quella di rispettare quasi alla lettera il detto tanto caro alla volpe che si rifiutò ostinatamente di finire in pellicceria come molto incautamente profetizzò a suo tempo Bettino Craxi riferendosi all’inossidabile Giulio Andreotti, e cioè che ad ogni giorno basta la sua pena.
A conferma di ciò basta ripercorrere a ritroso le ultime sedute della borsa di New York, che, ad onta di quanto ritiene Attali, continua ad essere il cuore pulsante, anche se un po’ malandato di questi tempi, del mercato finanziario globale, per rilevare che, dopo il calo fortissimo che ha colpito giovedì scorso l’intero comparto finanziario ed il mancato recupero tanto atteso per venerdì, oggi è stata la volta dello squagliamento ulteriore dei titoli di MBIA ed Ambac, le due maggiori monoliners statunitensi che hanno ormai definitivamente perso il massimo rating da tutte e tre le agenzie di rating ed attendono pazientemente un’ulteriore raffica di downgrade che dovrebbero portarle al rango degli junk bonds (titoli spazzatura) che appare più consono al loro stato di compagnie tecnicamente fallite e prossime a subire anche l’onta del delisting che il Nyse sarà costretto presto a decretare se il meltdown delle relative quotazioni azionarie si protrarrà al ritmo attuale per qualche settimana ancora.
Mentre a Manhattan si ode distintamente lo sbattere delle ali dei numerosi e qualificati avvoltoi che non aspettano altro che sia pronunciato il de profundis sulle due principali monoliners e sul codazzo di società della specie che già sono gratificate da rating prossimi ai minimi previsti dai criteri di classificazione di Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch’s, nugoli di analisti stanno fondendo le calcolatrici ed i personal computers per calcolare, seppur in modo molto approssimativo, l’impatto che il default prossimo venturo di questo comparto avrà sui conti già non in salute delle banche di investimento e non, delle compagnie di assicurazione, dei fondi di investimento e dei fondi pensione, tutte entità che si erano fidate della tripla A degli emittenti e delle compagnie garanti ed avevano fatto a suo tempo letteralmente a gara per acquistare i titoli “sicuri”della finanza strutturata escogitati dagli apprendisti stregoni delle fabbriche prodotto delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali.
Se si incontrassero, Warren Buffett e David Einhorn potrebbero certamente brindare al successo delle rispettive scommesse, mosse definite un po’ azzardate quando vennero annunciate tra settembre e dicembre del 2007, ma che, alla luce degli sviluppi successivi non del tutto sorprendenti per due uomini d’affari di successo così diversi tra di loro, potrebbero tranquillamente essere definite, nell’orribile gergo delle dealing e trading rooms, dei veri e propri calci di rigore tirati a porta vuota.
Come ricordavo nell’articolo che ha dato il via all’avventura editoriale del Diario della crisi finanziaria redatto il 3 settembre del 2007 e pubblicato il giorno successivo sul sito della UILCA, su Flipnews e sul quotidiano online Rosso di Sera, che poi non era in realtà che una rielaborazione di articoli redatti negli anni precedenti, uno degli elementi di maggiore criticità dei mercati finanziari locali e globali è rappresentato dalla evidente asimmetria informativa esistente tra i grandi operatori (siano essi banche, compagnie di assicurazione, hedge funds, fondi di investimento e fondi pensione) ed i pesci piccoli, spesso di dimensioni non superiori ai microrganismi che formano, per non parlare della disponibilità e della conoscenza di quegli strumenti derivati che, opportunamente maneggiati, consentono con una spesa relativamente modesta di proteggere opportunamente anche le scommesse più azzardate.
Eppure, una delle caratteristiche distintive della tempesta perfetta in corso è rappresentata proprio dal fatto che, forse per la prima volta da decenni, qualcosa è andato storto nel solito gioco della trasmissione del cerino accesso dai pesci grandi a quelli piccoli, se non minuscoli, in quanto la serie a catena di default dello strato intermedio delle finanziarie prevalentemente, se non esclusivamente, operanti nel gigantesco settore del mortgage statunitense, nonché le accomodanti previsioni della legge fallimentare vigente nella più potente nazione del pianeta, hanno fatto sì che il cerino acceso restasse, direttamente o via SIV e Conduit, nelle mani delle entità di ogni ordine e grado operanti nel mercato finanziario statunitense ed in quello globale, con ripercussioni addirittura maggiori nelle altre aree maggiormente industrializzate che in quegli Stati Uniti d’America dove tutto aveva avuto inizio.
Non può che confortarmi il fatto di essere stato raggiunto da una foltissima schiera di analisti e giornalisti nella landa alquanto desolata nella quale mi trovo da quasi un anno (sarebbero oltre tre se si considera che il nocciolo delle argomentazioni da me esposte nel settembre del 2007 era stato da me illustrato nello scenario economico che introduceva le tesi del 3° Congresso della UILCA e svoltosi nel giugno del 2006, scenario che in realtà non faceva altro che riproporre in modo aggiornato quanto avevo sostenuto in “Accordi di cambio e speculazione, un nuovo approccio teorico”, apparso nell’autunno del 1993 nel quinto fascicolo della rivista Minerva Bancaria), anche se mi permetto di obiettare al bravissimo Federico Rampini e ad altri commentatori che questa dovrebbe essere la terza e non la seconda maxi ondata della maggiore e più profonda crisi finanziaria mai sperimentata dal secondo dopoguerra del XX secolo, in quanto ritengo che la prima si sia verificata tra il 9 agosto e la metà di settembre del 2007, mentre la seconda è avvenuta a cavallo del salvataggio in extremis dell’orso di Stearns finito in pasto a J.P. Morgan-Chase.
Poiché è di palmare evidenza che il lupo perde il pelo ma non il vizio, ritengo di altrettanto assoluta evidenza che il disperato tentativo di trasferire buona parte delle perdite subite da banche di investimento, banche più o meno globali, compagnie di assicurazione, fondi di investimento e fondi pensione alle donne e gli uomini che popolano il pianeta, mediante un uso spregiudicato degli strumenti derivati relativi al petrolio ed alle altre materie prime, derrate alimentari comprese, sia destinato a fallire miseramente e quasi inevitabilmente, attraverso lo scoppio violento della gigantesca bolla speculativa che ha, sino ad ora, messo letteralmente in ginocchio prima i più poveri della Terra e poi le classi medie in via di progressivo impoverimento degli stessi paesi maggiormente industrializzati, a causa di una forma moderna di aggiotaggio virtuale ma dalle conseguenze molto concrete ed in non pochi casi drammatiche per le incolpevoli vittime cui spesso non è restata che la strada della rivolta contro governi del tutto impotenti a fronteggiare un attacco mosso da decine di migliaia di operatori alle dipendenze del capitale finanziario basato nei cinque continenti.
Non so quale sarà la risposta che i capi di stato e di governo dei paesi del G8 forniranno a questa situazione drammatica, ma credo di poter dire che questa è proprio una di quelle volte in cui le donne e gli uomini da loro governati non potranno che essere contenti di non essere nei panni dei loro leaders, né in quelli dei banchieri centrali chiamati a suggerire una soluzione quale che sia pur di uscire dall’angolo in cui ci ha cacciati la finanziarizzazione spinta e la deregolamentazione.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/