Al pari di un pugile in difficoltà che sente come provvidenziale il suono del gong che gli evita un quasi certo knock out, così le innumerevoli e variegate entità operanti nel mercato finanziario statunitense hanno accolto con estremo sollievo la campanella anticipata di ben tre ore nella seduta di giovedì ed ancor di più la sosta forzata di venerdì. Dovuta al giorno festivo che ricorda l’indipendenza delle colonie inglesi dalla madrepatria in occasione dell’esito vittorioso di quella rivoluzione americana che precede di poco l’altrettanto vittoriosa rivoluzione francese.
Tale sospensione delle contrattazioni sul mercato che rimane tuttora la parte principale del mercato finanziario globale giunge quando è oramai evidente che la tempesta perfetta in corso da quasi un anno (continuo a datare il suo avvio dal blocco del mercato interbancario europeo del 9 agosto del 2007, piuttosto che, come molto commentatori fanno, dal tracollo dei due hedge fund facenti capo all’ormai defunto orso di Stearns avvenuto alla fine di giugno dello stesso anno), lungi dal placarsi, continua ad imperversare con onde via, via più alte e quando gli effetti delle mega svalutazioni sulle banche di tutto il mondo e gli aumenti di capitale non esattamente di pari entità stanno lasciando a secco un numero crescente di imprese che sono come sempre alla ricerca di finanziamenti dalle stesse banche, in quanto è sempre più difficile rifornirsi piazzando titoli della finanza più o meno strutturata che pochi tra gli investitori mostrano di gradire, incuranti del livello elevato dei rendimenti offerti dagli stessi.
La pausa provvidenziale giunge, inoltre, quando, a furia di revisioni nettamente al rialzo, è ormai chiaro a tutti che l’occupazione statunitense perde pezzi e che, non considerando le assunzioni effettuate dal governo federale e dalle innumerevoli entità facenti capo direttamente od indirettamente alla pubblica amministrazione a stelle e strisce, il saldo negativo effettivo risulterebbe di gran lunga superiore ai 72 mila posti di lavoro persi in media ogni mese dai traballanti vagoni della locomotiva americana, così come i valori modesti della crescita USA tenderebbero a zero se non a valori negativi, senza la crescita della spesa pubblica e di quelle legate ai numerosi conflitti in corso nel mondo a causa di un approccio bellicistico dell’attuale amministrazione.
Dopo il meltdown delle finanziarie operanti nell’un tempo scintillante settore del mortage, la maggior parte delle quali sono dall’estate scorsa o fallite o protette dalle richieste dei creditori dai marchingegni della molto accomodante legge fallimentare statunitense, stiamo assistendo allo squagliamento delle quotazioni azionarie delle compagnie di assicurazione monoline, molte delle quali depistate dal prestigioso indice Russell 1000 e degradate al ben più ampio Russell 2000 e che, a furia di downgrade da parte delle tre principali agenzie di rating a livello planetario, rischiano proprio di non fare in tempo a subire l’ulteriore onta del passaggio al Russell 3000, in quanto rischiano seriamente di chiudere prima i battenti o di essere del tutto eliminate dal listino a causa del livello infimo cui sono giunte le quotazioni.
Quanti si aspettavano la pronta discesa in campo del Leone di Omaha, Warren Buffett, o degli altri aspiranti ad occupare lo spazio lasciato libero da MBIA ed Ambac nel lucroso settore delle garanzie prestate alle emissioni delle entità pubbliche statunitensi, sono rimasti certamente delusi, ma è evidente che un uomo prudente come Buffett non può in alcun modo trascurare il piccolo particolare che anche il suo prestigioso fondo Hataway contabilizza perdite nell’ordine del 20 per cento, rimpiangendo forse di non avere unito le sue forze a quelle messe in campo dai ribassisti dichiarati come David Einhorn e lo stuolo di miliardari che imita le sue mosse, un gruppetto che al di là del conseguimento o meno dell’obiettivo finale di vedere fallire un congruo numero di primarie banche di investimento e di banche più o meno globali, hanno già portato a casa profitti record dal considerevole successo parziale delle loro scommesse che mesi orsono sembravano molto azzardate ai più.
Due delle vittime più illustri di questo manipolo di scommettitori, spesso alloggiati in esclusivi resort basati in paradisi tropicali, il colosso creditizio extracomunitario UBS e la quarta ed ultima delle grandi Investment Banks statunitensi, Lehman Brothers, sono giunte ad un tale stato di cottura che circolano ormai con sempre maggiore insistenza i dettagli, incluso il prezzo per azione, delle offerte pubbliche di acquisto, ovviamente a prezzi di assoluto saldo, che molto azzardose altre banche globali starebbero per lanciare nei loro confronti, notizie più che semplici indiscrezioni, ovviamente accompagnate dalle doverose smentite provenienti sia dai possibili acquirenti che dalle speranzose prede.
L’apertura dei mercati di domani sarà preceduta, per ragioni di fuso orario dalla tanto attesa riunione degli otto grandi del pianeta, ai quali sarà presentato il rapporto finale sulla crisi finanziaria elaborato da quel Financial Stability Forum presieduto dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che si è a sua volta premurato di gettare secchiate di acqua gelata sui naufraghi della tempesta perfetta, chiarendo che, pur essendo abituato a missioni impossibili quali privatizzare quasi tutto il privatizzabile della finanza, delle utilities e dell’industria facenti capo un tempo al settore pubblico o compiere un triplo salto mortale dalla direzione generale del Tesoro dello Stato Italiano al vertice europeo di Goldman Sachs, per ripiombare infine, ed in perfetto equilibrio, al posto di numero uno di Palazzo Koch, per i miracoli non si è ancora attrezzato.
Non fanno ben sperare per il clima che si respirerà nell’isola di Hokkaido, le dure parole pronunciate dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, il quale, dopo aver chiarito di non avercela assolutamente con Draghi che, peraltro, ha voluto lui sul finire del 2005 alla guida di Via Nazionale dopo la lunga e non esaltante prestazione di Antonio Fazio, ha tuonato sull’assurdità dell’affidamento dell’incarico di indagare sulle cause ed individuare gli opportuni rimedi alla più grave crisi finanziaria mai verificatasi dalla fine del secondo conflitto mondiale proprio al FSF, in quanto, ha testualmente affermato, una tale scelta equivale a mettere dei topi a guardia del formaggio.
D’altra parte, è difficile dare del tutto torto al fantasioso commercialista e docente di scienza delle finanze da lungo tempo ormai prestato in pianta alquanto stabile alla politica, venendo a sapere che, in una gita fuori porta in quel di Londra, l’ineffabile ministro del Tesoro statunitense ed ex numero uno indiscusso della sempre fortunata e molto preveggente Goldman Sachs, Henry Paulson, non ha saputo indicare una misura una per contrastare quel ruolo che stanno svolgendo le maggiori entità finanziarie del pianeta nell’apparente mistero dei continui record del prezzo del greggio, quando poche settimane orsono il maestro di Tremonti, il professor Franco Reviglio, a sua volta ex ministro e per sette anni presidente dell’ENI, ha dichiarato che basterebbe portare i margini di garanzia per operare, via derivati, sul petrolio a quelli, molte volte superiori, in vigore per potere operare allo scoperto in borsa.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/