Pur essendomi occupato più volte della strategia implicita che traspare dalle dichiarazioni e dalle azioni concrete del nuovo Governatore della Banca d’Italia, il professor Mario Draghi, accolgo volentieri lo stimolo che mi proviene da alcuni miei lettori, interessati a comprendere l’impatto che le mosse di Draghi, l’approccio non proprio friendly del tre volte ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, nonché l’attivismo del presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, possono avere sul settore creditizio italiano, un settore che sta vivendo la parte più difficile della terza fase del lunghissimo processo di ristrutturazione e concentrazione proprio mentre si fanno più alti i marosi della tempesta perfetta in corso da poco meno di un anno e che inizia sempre più a fare sentire i suoi effetti anche sul meno aperto tra i sistemi creditizi dei paesi maggiormente industrializzati e che è poi anche quello che trae la sua forza relativa proprio dal relativamente basso impegno nel più generale processo di finanziarizzazione spinta verificatosi a livello planetario negli ultimi decenni.
Non avendo qui lo spazio per ripercorrere le tappe del processo di privatizzazione e ristrutturazione del sistema bancario italiano avviatosi con i primi provvedimenti presi negli anni Ottanta e proseguito con la legge Amato-Carli ed le successive misure adottate negli anni Novanta, mi vedo costretto a rinviare il lettore alle analisi contenute nel rapporto sul credito pubblicato da me curato ed apparso in un numero monografico (n° 68 del 1993) della rivista Sviluppo, a quanto ho scritto in materia su quotidiani e riviste (in particolare su Il Manifesto, Politica ed Economia, Rinascita, Capitale Sud ed altre riviste specializzate), nonché a quanto prodotto dall’Ufficio Studi della UILCA dal 1998 ad oggi e presente anche nelle tesi e negli atti dei Congressi da allora svoltisi.
Sempre per concentrarmi sui passaggi essenziali di quest’ultima e difficilissima fase, suggerirei a quanti sono sinceramente interessati a comprendere quanto sta avvenendo oggi e, soprattutto, cosa potrebbe accadere domani nel molto articolato panorama delle banche italiane a dare uno sguardo preventivo a quella decine di puntate del Diario della crisi finanziaria nelle quali ho già anticipato alcuni scenari riferiti a singoli gruppi creditizi o grandi banche operanti in Italia, a prescindere dal fatto che la proprietà di queste entità sia riconducibile ad azionisti italiani o stranieri, caso quest’ ultimo sempre più raro, in quanto una delle caratteristiche distintive della terza fase è rappresentata proprio dalla messa in atto di due grandi operazioni fulminee, Intesa-San Paolo di Torino ed Unicredit-Capitalia, volte, al di là delle affermazioni di facciata, ad escludere dalla stanza dei bottoni il Credit Agricole ed il Santander nel primo caso e ABN AMRO e sempre il Santander nel secondo, mission, peraltro, perfettamente accomplished!
Mi scuso per la lunga, ma doverosa premessa, e passo al sodo, indicando la principale novità rappresentata dall’approccio seguito da Mario Draghi sin dai primi giorni del suo insediamento a Palazzo Koch nella sottolineatura da lui fatta nella sua prima uscita pubblica sulla necessità di inserire a pieno titolo tra i rischi propri dell’attività bancaria quello che è denominato rischio reputazionale, nonché la riaffermazione della necessità, favorita dai nuovi sistemi di contabilità (IAS), dalle stringenti previsioni dell’accordo denominato Basilea 2 e da quanto previsto dalla MIFID, di attrezzarsi su questioni affatto secondarie come il risk management, l’assett & liabilities management, la compliance ed una maggiore attenzione alle ricadute delle norme che tempo per tempo il legislatore italiano e le buone pratiche internazionali impongono ad un settore che, almeno sino ad oggi, sembra mal sopportare le prescrizioni in termini di maggiore efficienza, maggiore trasparenza, ma, soprattutto, maggiore attenzione alle effettive esigenze del cliente, che sia questi una persona fisica, un’impresa o un’entità della Pubblica Amministrazione.
Ovviamente, queste parole sono, o avrebbero dovuto essere, musica per le orecchie delle tante e non sempre trasparenti associazioni dei consumatori/risparmiatori, di un ministro che, almeno così raccontano le cronache, come primo atto al suo terzo insediamento sulla scrivania che fu di Quintino Sella, ha riposizionato il molto simbolico barattolo di pelati Cirio e che, nelle sue due precedenti esperienze nel dicastero di Via XX Settembre è stato il maggior propugnatore dell’adozione di una vera legge per la tutela del risparmio, poi affossata in Parlamento da una intesa realmente bipartisan che ha portato, nel dicembre del 2005, alla promulgazione di un testo che è una vera gruviera con molti più buchi che formaggio; parole che sono suonate musica anche per quel Catricalà cui la suddetta legge ha avuto almeno il merito di affidare poteri di indagine e di sanzione sul settore creditizio, d’intesa ovviamente con la Banca d’Italia, poteri ostinatamente negati al suo ottimo predecessore, Tesauro, e dallo stesso Catricalà più volte, ma sempre invano, reclamati.
Chi ha avuto modo di leggere il primo rapporto dell’apposito Dipartimento dell’Antitrust, diretto dall’ottimo Calabrò Jr., ha subito capito che quelle di Antonio Catricalà non erano mere richieste di aumento del suo perimetro di controllo, ma l’esigenza molto sentita di rispondere ai comportamenti ancora da oligopolio collusivo messi atto da un numero sempre più ristretto di banche che controllano, via concentrazioni sempre più aggressive, la quota maggioritaria del mercato del credito, comportamenti che a suo tempo lo stesso Antonio Fazio fu costretto a sanzionare, nell’ormai celebre procedimento nei confronti di quella che si autodefiniva Associazione degli amici della banca, un club nel quale erano allora presenti esponenti delle prime trenta banche e che, come peraltro la Loggia P2, non ha mai cessato di operare in altra forma, favorito, anzi, dal fatto che i primi due gruppi creditizi italiani hanno raggranellato centinaia di banche e casse di risparmio, riducendo così il numero dei partecipanti agli incontri e lo stesso costo delle telefonate necessarie.
Come ama spesso ricordare, Mario Draghi unisce alle esperienze brillanti di civil servant quelle, altrettanto se non più brillanti (almeno così si dice nell’ambiente), di investment banker, testimoniate dalla sua performance al vertice europeo e nell’esecutivo mondiale di Goldman Sachs, per cui non può essere accusato di essere mosso da sentimenti ostili e pregiudiziali nei confronti dell’attuale establishment bancario, ma è certamente mosso dal sacro fuoco di volere vedere l’adozione delle best practices internazionali anche in casa nostra, attraverso il rispetto di quelle poche regole sopravvissute al più generale processo di deregolamentazione intervenuto a partire dalla metà degli anni Ottanta e che, a sua volta, ha consentito di finanziarizzare il finanziarizzabile.
Se qualcuno pensa che per Draghi, Tremonti e Catricalà tutto si riduce ad un problema di furore consumeristico, rischia di non cogliere l’esigenza di un’innovazione profonda nella governance dei grandi gruppi creditizi e nelle banche italiane, un processo che, oggi inizia ad essere chiaro ai più, passa necessariamente per la soluzione di problemi quali l’anomalia presente nel settore delle banche popolari, in particolare delle più grandi e quotate in Borsa, del rapporto tuttora esistente tra Fondazioni e banche da queste più o meno controllate e, the last but non the least, la necessità molto sentita di mettere il cliente e le sue esigenze realmente al centro delle preoccupazioni dei banchieri; ma di questo parlerò nella seconda parte che apparirà domani, anche perché, come Giulio Andreotti, credo proprio che ad ogni giorno basti veramente la sua pena!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno.