Nel sempre più improbabile gioco della spiegazione dell’andamento dei mercati azionari world wide, fa un po’ sorridere la motivazione attribuita ieri da più di un analista per il mini rimbalzo finale dei tre listini principali di Wall Street che, dopo aver subito come quelli europei una vera e propria alluvione di ordini di vendita che li ha spinti sin dalle prime battute ad un calo medio dell’uno per cento, hanno invertito la rotta per chiudere, seppur non di molto, al di sopra delle chiusure registrate lunedì.
Ebbene, la spiegazione sarebbe che il gigante automobilistico General Motors, che ha appena toccato nelle scorse sedute una quotazione azionaria che si pone al minimo degli ultimi 57 anni, avrebbe evitato di essere sorpassato al primo posto dalla aggressiva casa giapponese Toyota, solo perché i cali delle vendite in giugno di quest’ultima sono state del 21 per cento, mentre quelle di GM sono calate “solo” del 18 per cento, il tutto in un mese che ha visto un calo complessivo delle vendite di auto e trucks cifrabile in un disastroso 18,3 per cento che la dice lunga sull’impatto psicologico derivante dallo sfondamento della soglia dei 4 dollari al barile per la benzina, mentre il gasolio tale soglia la ha già superata da un pezzo.
La vera notizia, più che il mancato sorpasso della Toyota sulla General Motors, è rappresentata dallo sciopero del borsellino degli infuriati automobilisti che, in non pochi casi, siedono al volante di auto di gigantesche dimensioni che non ne vogliono sapere di fare più di 3-4 chilometri con un litro di benzina e che, altrettanto spesso, sono costretti a spostamenti per raggiungere il posto di lavoro che appaiono inimmaginabili alla maggior parte dei molto più pigri abitanti della vecchia Europa, abitudini che costano ormai un occhio mentre le rate del mutuo salgono alla velocità della luce e il posto di lavoro diviene sempre più traballante, per non parlare poi della crescita apparentemente inarrestabile dei prezzi al consumo al netto di quegli ex food ed ex oil che fecero dire ad un premio Nobel per l’economia che potrebbero giusto essere applicati ad esseri non viventi o ad extraterrestri.
Per avere un’idea del punto cui siamo tristemente ma forse inevitabilmente giunti, basti pensare che quella Lehman Brothers i cui dirigenti non fanno altro che lamentarsi dell’ostinazione di David Einhorn e dei tanti suoi emuli nell’esercitarsi da nove mesi nel gioco al ribasso starebbe, secondo voci sempre più insistenti, per essere venduta al colosso britannico Barclays ad un prezzo alquanto vile di 15 dollari per azione, un livello che forse neanche Einhorn, dal suo esotico ma ipertecnologico resort avrebbe mai osato immaginare quando, nel lontano settembre del 2007, mise nel mirino Lehman e numerose altre entità operanti nel mercato finanziario globale e che ha già nel suo carniere i resti dell’orso di Stearns abbattuto a metà marzo di questo anno bisesto e molto, ma molto, funesto.
E’ la finanza, bellezza! Verrebbe da dire, facendo il verso a quella vasta schiera di neoliberisti ad oltranza che, ai primi marosi della tempesta perfetta, si sono istantaneamente convertiti allo statalismo più sfrenato e che sarebbero ora perfettamente disposti a vedere casa Bianca e Governo esercitarsi in un bel piano quinquennale di brescneviana memoria, salvataggi di banche e compagnie di assicurazione inclusi, cosa che preme loro ben più di quelle quisquiglie e pinzellacchere rappresentata dalle milioni di case americane messe brutalmente all’asta o dei milioni di posti di lavoro che rischiano di essere persi quando alla terza e micidiale ondata della tempesta perfetta seguirà la quarta e poi la quinta e così via.
Per non sapere né leggere né scrivere, gli operatori hanno ripreso ieri a picchiare duro sulle compagnie di assicurazione monoliner, dall’altro ieri entrate in forze, fatte salve poche e lodevoli eccezioni, nell’indice Russell 2000, a causa dell’espulsione dal ben più prestigioso Russell 1000 in occasione della revisione annuale dello stesso indice, espulsinoe che ha spinto l’azione della pluridegradata Ambac a riuscire a stento a tenersi appena al di sopra di una quotazione di un dollaro, conservando poco più dell’uno per cento del valore massimo toccato nell’ormai lontanissimo inizio del 2007.
Quello che continua a stupire è l’indifferenza verso il vero e proprio meltown di questo settore mostrato da Effe O Ixs, l’uomo che ancora è a capo della Securities and Exchange Commission, pur avendo dato innumerevoli prove di totale inettitudine nel prevenire la crescita esponenziale di comportamenti scorretti se non illegali messi in atto dai vertici delle società, comportamenti che non sono certo inediti ma che assumono ben altra valenza a fronte della caduta di fiducia verticale da parte dei risparmiatori e degli investitori verso la quasi totalità delle entità operanti nel mercato finanziario globale.
La ormai quasi certa decisione che il neotemplare Board della Banca Centrale Europea prenderà domani in materia di tassi, apre uno scenario tale da fare tremare i polsi, in quanto la decisione di Trichet e soci non potrà non avere una tremenda influenza sulle decisioni di un Bernspan che non vede l’ora di riprendere la sua identità di Ben Bernanke, ansioso come è di mostrare al mondo intero che non ha trascorso invano una vita a studiare, insegnare e, si spera proprio, saper gestire le crisi finanziarie, inclusa quella più grave e profonda mai intervenuta negli oltre sessanta anni trascorsi dalla fine della seconda guerra mondiale.
L’impatto traumatico dei rialzi sul debilitato organismo del mercato finanziario globale è certamente difficile da stimare, ma è certo che la corda del boia non farà del bene né alle alquanto depresse economie dei paesi maggiormente industrializzati, né, tantomeno, ai disastrati bilanci delle famiglie, molte delle quali, almeno negli Stati Uniti d’America, hanno perso la casa, il lavoro, spesso li hanno persi entrambi, né viste le differenze nei livelli iniziali, aiuterà a calmierare un euro che potrebbe a breve portarsi di un balzo al di sopra di quegli 1,60 dollari che tanto avevano fatto strillare i governi europei e che spingono ora persino la Germania a cercare, vi assicuro del tutto invano, di fermare la mano di un Trichet ansioso di dimostrare che la sua BCE non ha proprio nulla di invidiare alla Bundesbank.
In uno scenario simile non potranno che accelerarsi, in Europa ed in Italia, quei processi di concentrazione ed ulteriore ristrutturazione in corso nei sistemi bancari ed in campo assicurativo, dando un ulteriore impulso, nel nostro paese, a quel lungamente meditato percorso che dovrebbe vedere la nascita intorno al Monte dei Paschi di Siena in attesa di una guida autorevole e che forse ha già un nome ed un cognome di quel terzo polo bancario ed assicurativo di cui vi è veramente bisogno.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/