Temevo proprio che le quattro puntate pubblicate sino ad ieri sullo sforzo, compiuto nei rispettivi ambiti di responsabilità, dal Governatore della Banca d’Italia, Merio Draghi, il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, ed il, per la terza volta, ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, per affrontare le molteplici criticità tuttora esistenti nel settore creditizio italiano a quasi venti anni dall’avvio del processo di privatizzazione e ristrutturazione del sistema bancario italiano non avrebbe suscitato l’interesse dei lettori nei 28 Paesi che, oltre che dall’Italia, si collegano quotidianamente al blog, ma la lettura delle statistiche gratuitamente offertemi dal mio provider Google mi hanno convinto che l’interesse di quanti operano all’estero per le vicende italiane è reale ed attento, anche alla luce dell’integrazione crescente esistente nell’ambito del mercato finanziario globale.
Prevengo l’obiezione relativa all’eccessiva attenzione alle mosse di Draghi rispetto a quelle degli altri due protagonisti del tentativo di utilizzare lo scenario offerto dalla terza fase del processo di ristrutturazione in corso nel sistema creditizio per “picconare” gli elementi residui di oligopolio collusivo tuttora esistenti nel settore creditizio italiano, ma questo diverso peso nasce dalla evidente differenza di ruolo esistente tra le tre cariche da essi ricoperte, nonché dalla determinazione che Mario Draghi ha dimostrato, sin dal giorno del suo insediamento a palazzo Koch, nel tentativo di riformare in primo luogo l’istituzione che è chiamato a dirigere, compiendo al contempo ogni sforzo volto a convincere, con le buone o con le cattive, gli un po’ riottosi vertici dei principali gruppi creditizi e grandi banche operanti in Italia che non è più possibile pensare che il nostro mercato finanziario possa funzionare in modo troppo difforme da quanto accade nei principali mercati finanziari europei, statunitensi ed asiatici.
Il presidente dell’Antitrust, invece, deve parlare attraverso le istruttorie relative ad ipotizzate infrazioni della forma concorrenziale del mercato, cosa che sta attivamente facendo da quando la legge per la tutela del risparmio licenziate dal Parlamento agli sgoccioli del 2005, pur nelle più volte da me segnalate imperfezioni ed omissioni, ha attribuito all’Authority da lui presieduta tale competenza, impegno che si è concretizzato nei giorni scorsi nell’avvio di quattro indagini distinte sul comportamento delle quattro maggiori entità bancarie operanti in Italia in relazione ad eventuali omissioni informative nei confronti della clientela sulla più volte segnalata commissione di massimo scoperto, una questione richiamata appena pochi giorni prima dal Governatore Draghi nel corso del suo intervento pronunciato in occasione della recente assemblea dell’ABI.
Come ho avuto modo di ricordare, Catricalà e gli altri membri dell’Antitrust si sono dotati di un dipartimento diretto dal giovane Calabrò, figlio d’arte in quanto il padre presiede con piglio decisionista un’altra importante Authority, e composto da un nucleo di esperti che hanno prodotto, alcuni mesi orsono, un pregevole e significativo primo rapporto sulla forma di mercato esistente nel settore creditizio che è stata certamente di grande utilità ai commissari per una comprensione migliore delle dinamiche esistenti nel settore, nonché dare loro elementi di carattere più scientifico sul grado di concorrenza che caratterizza allo stato le banche italiane e quelle poche realtà straniere che, come si suole dire, applicano alla lettera il detto che afferma che “quando sei a Roma, fai come i romani”, cosa che peraltro sostengo sin dal rapporto sul credito nel Mezzogiorno ospitato, nel lontano 1992, nel numero monografico che la rivista Sviluppo edita dall’allora Carical, oggi confluita in Carime, volle dedicare all’argomento, mentre qualcosa di più specifico sugli aspetti finanziari seguiti alla deregolamentazione è contenuta in “Accordi di cambio e speculazione; un nuovo approccio teorico” presente nel numero 5, settembre-ottobre 1993, della Rivista Bancaria-Minerva Bancaria, che ospitava, nello stesso numero saggi di Piero Barocci, allora ministro del Tesoro, Antonio Fazio, Governatore della Banca d’Italia, Giampiero Cantoni, allora presidente della Banca Nazionale del Lavoro ed altri contributi.
Tra le possibili dimenticanze, potrebbe esservi anche quella relativa all’egregio lavoro svolto dalla Consob guidata da Lamberto Cardia, un’istituzione che è l’equivalente della potente, anche se di recente un po’ distratta, Securities and Exchange Commission presieduta da Effe O Ixs (al secolo, Chistopher Fox), e che ha redatto delle conclusioni di una indagine svolta nei confronti di Unicredit che verranno ricordate per lungo tempo con timore negli ambienti bancari, anche perché accompagnatorie e giustificatorie di provvedimenti sanzionatori nei confronti di Alessandro profumo, Ceo di Unicredit prima e di Unicredit Group oggi, e di qualche decina di top manager e manager del gruppo con sede a Piazza Cordusio, Milano (Italia).
Con una scelta editoriale un po’ perfida nei confronti dell’ex enfante prodige della finanza italiana, all’epoca dell’uscita dell’articolo da poco convolato a nozze con l’anziano banchiere di Marino, Cesare Geronzi, il settimanale L’Espresso, in un articolo da me ampiamente citato in una precedente puntata del Diario della crisi finanziaria, ha riportato una vagonata di virgolettati della delibera sanzionatoria della Consob che evidenzia comportamenti non proprio commendevoli attribuibili ad esponenti di Unicredit in relazione alla vendita di derivati a clientela corporate ed a varie entità della Pubblica Amministrazione e che ha fornito alla brava e pluripremiata Gabanelli di realizzare una puntata di Report particolarmente ben costruita ed efficace, nonché la realizzazione di alcuni sequel coronati da altrettanto successo che hanno chiamato in causa anche altre banche italiane, nonché suscitato ampie ed articolate ispezioni della Vigilanza della Banca d’Italia presso Unicredit Group ed altre tre grandi entità bancarie di grandi dimensioni operanti nel nostro Paese.
Qualcuno si stupisce per il fatto che l’attività ispettiva della Banca d’Italia sia così intensa negli ultimi due anni e sia giunta anche a violare, per la prima volta dal 2000, quello che a torto è stato per lungo tempo considerato un tempio inviolabile della finanza italiana, quella Mediobanca con sede in piazzetta Cuccia, attualmente presieduta, per espresso desiderio di Profumo, dall’anziano banchiere di Marino e che, almeno stando alle anticipazioni di numerosi quotidiani finanziari italiani, sta preparandosi ad abbandonare il duale all’amatriciana per tornare al Consiglio di Amministrazione di tipo tradizionale, con annesso Comitato Esecutivo e Collegio Sindacale, con una mossa che solo apparentemente potrebbe apparire come un ritorno all’antico ma che, sempre stando ai giornali, rientrerebbe nei desiderata del giovane e preparato Governatore di Bankitalia.
Agli indubitabili meriti delle donne e degli uomini validamente guidati da Anna Maria Tarantola va dato, inoltre, atto di una notevole preparazione nell’affrontare l’evoluzione dei prodotti finanziari di ultima generazione, invenzioni degli apprendisti stregoni delle fabbriche prodotto delle Investment Bank e delle divisioni di Investment & Corporate Banking delle banche più o meno globali incluse, va aggiunto l’apprezzamento per il nuovo approccio in termini di controlli seguito da Draghi, un approccio che vede un ruolo molto più attivo delle entità vigilate, mediante l’adozione di strutture e strumentazioni volte ad impedire quella pioggia di non so o non sapevo, nonché le provvidenziali amnesie che spesso caratterizzavano i top manager sotto ispezione, se non sotto indagine.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno.