venerdì 18 luglio 2008

Basterà l'audace mossa di Effe O Ixs?


Dove non hanno potuto il presidente George W Bush o il sempre più stonato duo formato dall’ineffabile Bernspan ed il banchiere d’affari prestato alla politica, Henry Paulson, è, invece, almeno per il momento riuscito il sinora evanescente e molto assente Effe O Ixs, al secolo Christopher Cox, un uomo che si è improvvisamente ricordato di essere il capo supremo della potente Securities and Exchange Commission e di avere la possibilità di porre, anche senza preavviso alcuno, quelle regole che non aveva voluto o saputo introdurre quando il tiro al piattello esercitato per mesi e mesi da David Einhorn e dai suoi emuli altrettanto miliardari si esercitava nel relativamente economico e molto redditizio gioco al ribasso nei confronti delle alquanto traballanti entità a vario titolo operanti nel mercato finanziario globale.

In un mercato che sembra rifiutare con ostinazione degna di miglior causa l’introduzione di qualsivoglia restringimento della libertà di azione di speculatori di ogni risma, in nome, ovviamente, della sacra iniziativa individuale, molti degli abitanti ai piani alti delle Investment Banks e delle banche più o meno globali, per non parlare poi degli ormai tremebondi vertici delle semipubbliche Fannie Mae e Freddie Mac o di quelli ormai vicini al collasso che dirigono le disastrate compagnie monoliner, per l’introduzione di limiti molto stringenti per la vasta schiera dei giocatori d’azzardo che amano avventurarsi nella vendita allo scoperto di azioni di banche, compagnie di assicurazione o quant’altro, senza ovviamente possederne alcuna, ma semplicemente sfruttando le disponibilità, spesso illimitate o quasi, delle linee di credito committed di cui dispongono.

Certo, l’aver limitato a sole diciannove entità, statunitensi ma anche europee, queste nuove e più stringenti regole ha fatto storcere più di un naso a quanti ritengono che le regole servano e siano, anzi, davvero indispensabili, ma che le stesse debbano valere nei confronti di qualsiasi entità, a prescindere dalla dimensione o dalla contingenza, in base ad un elementare principio di parità di trattamento che se è valido in ogni campo, lo è, ovviamente, ancora di più quando si tratta di azioni di società quotate su di un unico mercato.

La puntata di ieri presentava il limite di essere stata scritta a mercati statunitensi appena aperti e quando non era ancora chiara la tempistica delle nuove regole imposte dalla Sec, per cui non ho potuto dare conto del significativo rimbalzo di Fannie Mae e di Freddie Mac, né di quello registrato da Lehman Brothers, MBIA od Ambac, solo per citare le società più bersagliate negli ultimi tempi dai ribassisti tra le diciannove presenti nella lista prontamente diffusa dagli uffici dell’organismo federale impegnato, sinora non troppo duramente, nel verificare la correttezza degli scambi e l’assenza di posizioni privilegiate o per possesso di informazioni non note al grande pubblico o per bere e proprie scorrettezze commesse dagli intermediari.

Sarà un caso, ma l’ira di Effe O Ixs, un personaggio non proprio noto per il suo coraggio, è avvenuta nello stesso giorno in cui i due numeri uno della defunta Bear Stearns e della più che traballante Lehman Brothers hanno reso noto di aver denunciato tutta una serie di misure manipolative del mercato commesse ai loro danni dalla potente e molto preveggente Goldman Sachs, una banca che si vanta di essere una sorta di porta girevole da cui entrano ed escono quasi incessantemente ministri delle finanze, governatori di banche centrali o, addirittura primi ministri di governi di paesi più o meno democratici, una banca di investimenti che, in particolare dalla sua base di Londra, avrebbe giocato un ruolo rilevante nele giornate che hanno preceduto l’affondamento dell’orso di Stearns e che avrebbe unito le sue forze a quelle di David Einhorn e compagni nel tentativo di ripetere la loro impresa ai danni della malcapitata Lehman Bros., a sua volta caratterizzata dallo stesso pazzesco livello di leverage rinvenibile in Bear, un livello, peraltro, non molto difforme da quello di Morgan Stanley, Merrill Lynch o della stessa Goldman Sachs.

Come ha avuto modo nei giorni scorsi di dire, peraltro senza riscuotere molto successo tra i legislatori in scadenza cui si rivolgeva, Bernspan, è giunta l’ora di ricondurre sotto le stesse regole vigenti per le banche commerciali anche le Investment Banks, sinora vigilate dalla sola Sec, anche per il non secondario argomento che avendo le stesse chiesto ed ottenuto di accedere alla ampia discarica a cielo aperto gestita dalle donne e dagli uomini della Fed di New York vagonate di titoli della finanza strutturata cedute praticamente alla pari e sotto l’unica condizione di pagare un tasso di interesse de 2,25 per cento (in realtà negativo per il 2,75 per cento ove espresso in termini reali), risulta ovvio e quasi implicito che debbano sottostare alle stesse regole in termini di limiti operativi e di capitalizzazione che riguardano da sempre Citigroup o Bank of America, giù, giù sino all’ultima banca operante nel mercato statunitense.

Quanto reggerà l’esile diga eretta in una sola notte da Effe O Ixs? Non credo molto, anche perché, pur essendo stata messa la museruola ai più scalpitanti tra i ribassisti operanti sulla piazza newyorkese o all over the world, i problemi alla base della crisi finanziaria in corso restano più o meno tutti sul tappeto, per il semplice motivo che non è ancora chiaro, né credo proprio che lo sarà per lunghissimo tempo, chi pagherà il conto della montagna di titoli della finanza strutturata che è pari a non meno di cinque volte il prodotto interno lordo degli Stati uniti d’America, credit default swaps ovviamente esclusi.

Né altrettanto sembra chiaro quale sarà la sorte dei 5.200 miliardi di dollari di GSE in circolazione e che zavorrano, come si è scoperto in questi giorni, i conti delle banche disseminate un po’ in tutto il mondo, titoli che non possono in alcun modo ricevere realmente la garanzia federale, pena lo sballamento totale del tetto all’indebitamento pubblico statunitense stabilito tempo per tempo dal Congresso ed attualmente posto a 9 mila dollari già tutti bellamente impegnati dai preesistenti debiti contratti da un amministrazione americana che ha dissipato in soli otto anni i successi conseguiti in questo campo da Bill Clinton nel corso dei due precedenti mandati presidenziali.

Non è peraltro un caso se il mercato ha salutato come un successo il vero e proprio tonfo degli utili conseguiti nel secondo trimestre di questo veramente orribile 2008 da J.P. Morgan-Chase, che lo ricordo per chi si è sintonizzato solo ora sul Diario della crisi finanziaria, è considerata l’entità che ha retto meglio agli alti marosi della tempesta perfetta e che, pur riuscendo a contenere molto bene la flessione dei ricavi, ha dovuto registrare un calo del 53 per cento degli utili, passati da oltre 4 miliardi a poco più di 2 miliardi di dollari, ma l’euforia per questo tonfo appena superiore alle previsioni opportune degli analisti embedded è durato lo spazio di un mattino, così come il tentativo di ripetere il rally di ieri sembra già infrangersi sulle perplessità degli operatori che si sono francamente stancati di essere considerati degli imbecilli che si nutrono delle veline del Governo o delle varie entità operanti nel mercato finanziario, mentre permane la situazione di stallo esistente da diversi giorni nel mercato interbancario, una situazione che vede una sorta di paralisi delle applicazioni, al punto da non riflettersi nemmeno più in un rialzo dei tassi.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno.