Il vero e proprio tracollo dei tre principali indici azionari statunitensi registrato ieri fa definitivamente giustizia del tentativo che Henry Paulson, ministro del Tesoro statunitense, e Christopher Cox (meglio noto come Effe O Ixs) numero uno della potente ma molto distratta Securities and Exchange Commission hanno messo in piedi per mettere le briglia alla crescente schiera dei ribassisti che ormai vedono come un vate indiscusso il multimiliardario ed hedge funder David Einhorn, uno che della tempesta ha capito tutto da subito e che tenne una quasi conferenza stampa nel lontano mese di settembre del 2007 per rendere nota al mondo la sua intenzione di shortare lo shortabile con riferimento ad un numero indeterminato di entità operanti nel mercato finanziario statunitense, vera costola del mercato finanziario globale.
D’altra parte, i limiti temporanei posti alle vendite allo scoperto delle azioni delle diciannove entità più importanti operanti nel settore creditizio e finanziario statunitense, così come l’inclusione in questo gruppo di importanti gruppi bancari basati in Europa, non erano riusciti che a dare una temporanea e molto limitata boccata di ossigeno alle quotazioni di queste banche di investimento, banche più o meno globali, le disastrate e tecnicamente fallite Fannie Mae e Freddie Mac, rialzi pressoché annullati nella sola seduta di ieri, anche per le disastrose notizie provenienti da quello che è ormai definibile come il meltdown del settore immobiliare negli USA ed il balzo in avanti dei sussidi di disoccupazione settimanali, balzati oltre la soglia psicologica delle 400 mila unità e con lo stock delle quattro settimane ormai stabilmente sopra l’altrettanto psicologico livello dei 3 milioni di richiedenti aiuto.
Ma prosegue anche la vera e propria strage di Chief Executive Officer e Chief Financial Officer, mentre conforta molto la notizia che nessuno, tranne il numero uno di quella Lehman Brothers di nuovo a rischio di finire a zampe all’aria, trova il coraggio di toccare le donne e gli uomini che ricoprono il delicatissimo ruolo che nella smania definitoria americana viene definito Chief Operating Officer, figura caratteristica delle Investment Banks e delle divisioni Corporate & Investment banking delle banche più o meno globali, una figura talmente cruciale nella Investment Bank delle Investment Banks, Goldman Sachs, ha deciso di averne ben due, talmente gemelli da meritare lo stesso mega compenso di 70 milioni di dollari complessivi nel corso del 2007.
L’ultima vittima in ordine di tempo è il CFO di Wachovia Bank, reduce da una perdita veramente record nel secondo trimestre di questo orribile 2008, disgrazia non si sa quanto paragonabile con la decisione repentina di assumere come numero uno il braccio destro di Henry Paulson.al Tesoro, ma suo antico partner e sodale sin dai tempi delle comuni avventure corsare ai vertici di Goldman Sachs, un uomo certamente molto abile nel fissare i suoi astronomici compensi prossimi venturi, certamente stellari rispetto ai ben miseri compensi previsti dall’incarico di sottosegretario nel dicastero economico statunitense, ma altrettanto voglioso di mostrare chiari segni di discontinuità gestionale rispetto al suo predecessore Thompson e poco incline a tenersi sul groppone le donne e gli uomini da questi nominati nelle posizioni chiave, così come si è bellamente esercitato nel solito giochetto di appesantire il primo bilancio trimestrale da lui firmato senza colpe, per creare così un’opportuna base per i successivi confronti.
E’ con vero piacere che rendo noto ai miei pochi ma fedeli lettori che la bella, giovane e brava, ma forse troppo loquace e comunicativa, Erin Callan ha riconquistato la posizione di Chief Financial Officer che le era stata bruscamente tolta tra una conference call e la pubblicazione dei dati del secondo e tremendo secondo trimestre di Lehman Brothers, dovendo attendere poco più di qualche settimana per essere assunta, sempre come CFO, di Credit Suisse First Boston.
Ma se una banca svizzera ha fatto un acquisto così interessante, per il colosso creditizio extracomunitario UBS sembra proprio che quella americana stia diventando una terra maledetta, pizzicata per aver favorito l’esportazione illecita di capitali verso accoglienti paradisi fiscali di non meno di 20 mila infedeli contribuenti statunitensi, è sta messa sotto processo dal nuovo sceriffo di New York, il giovane ed ambizioso figlio dell’ex Governatore democratico Mario Cuomo, per avere venduto titoli della finanza strutturata per 37 miliardi di dollari a 50 mila suoi clienti americani nell’inverno 2007, mentre nello stesso periodo i suoi manager si precipitavano a liberarsi di robaccia del genere, cosa che il giovane Cuomo ha trovato non proprio carina e, almeno secondo il suo personale giudizio di procuratore generale, del tutto illegittima.
Le proteste di rito di UBS, You & US, somigliano troppo alle sue proclamazioni di totale estraneità alle esportazioni pilotate di capitale sentite nei mesi scorsi, dichiarazioni che non hanno impedito agli impudenti alti esponenti dell’amministrazione americana che hanno preteso ed ottenuto il rispetto della convenzione di assistenza stipulata nel 2001 con una Confederazione elvetica ansiosa di non finire nella black list dei Paesi le cui banche non guardano in faccia a nessuno ma prendono soldi proprio da tutti, tipacci compresi, così come non ha stupito l’autonoma decisione di UBS di rinunciare a svolgere negli Stati Uniti d’America la delicata attività di spallonaggio che tanto ha fatto infuriare il Fisco americano che, in questo, non è certo secondo alla determinatissima Frau Merkel, una che un altro po’ muoveva guerra ai principati del Liechtenstain e di Montecarlo, fermando per ora i carri armati ed accontentandosi dei risultati dell’alacre lavoro dei suoi 007.
Certo, come sostengono in forma anonima gli alquanto disperati investment bankers, non è facile in un’attività di gestione dei patrimoni che riguarda ammontari complessivi che, a livello mondiale, si aggirano intorno alla astronomica cifra di 150 mila miliardi di dollari distinguere facilmente i buoni dai cattivi, ma suggerirei loro di stare attenti alle persone dal marcato accento russo, colombiano, afgano, ai tanti dittatori degli stati più o meno di bananas, ai ben vestiti e spesso titolati mercanti di armi, ai nuovi ricchi dei paesi dell’Est Europa e via discorrendo, anche perché, mediante un’opportuna ed attenta selezione della clientela, si può forse tutelare meglio la reputazione del buon nome dell’istituzione finanziaria cui si appartiene e non si crea disagio tra gli “onesti” miliardari che non amano proprio essere accomunati a questa creme de la creme del riciclaggio internazionale del denaro di provenienza dubbia se non del tutto illecita.
Tra le tante forme di attivismo della “nuova” Banca d’Italia vi è, peraltro, quella stimolata dall’inchiesta Alce Nero disposta dagli inquirenti della Procura di Forlì, ben supportati dagli uomini della Vigilanza e da quelli del riformato Ufficio Italiano dei Cambi, un organismo alla cui guida è stato chiamato l’uomo che ha vanificato le trame di Consorte, Fiorani e dei furbetti del quartierino e che non ha trovato carino che le banche italiane avessero omesso di classificare le numerosissime banche e finanziarie della Repubblica di San Marino non come controparti estere quali sono, ma come finanziarie italiane per le quali non è richiesta la segnalazione all’UIC, che, lo ricordo ai più distratti, svolge per l’Italia il medesimo ruolo che L’FBI svolge negli Stati Uniti d’America.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno.