mercoledì 2 luglio 2008

Un italiano torna alla guida della BNL, mentre il Monte dei Paschi di Siena potrebbe presto trovare in Matteo Arpe un amministratore delegato!


La terza ondata della tempesta perfetta in corso evidenziatasi giovedì della scorsa settimana con una delle sedute più difficili per i tre listini principali di Wall Street ha ripreso oggi vigore con una vera e propria alluvione di ordini di vendita cui sembravano contrapporsi ben pochi volenterosi e molto coraggiosi acquirenti, mentre lo stesso scenario si è puntualmente riproposto sul fuso orario americano, con test di importanti supporti che la maggior parte di analisti e degli operatori non prevedeva assolutamente venissero mesi duramente alla prova e, in non pochi casi, clamorosamente infranti.

In considerazione dello stato di prostrazione dei miei pochi ma affezionati lettori, eviterò di entrare troppo nei dettagli di quanto si è verificato nel settore finanziario al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico, se non per segnalare l’ingresso in forze della maggior parte delle compagnie di assicurazione monoliner nell’indice Russell 2000, a causa dell’espulsione dal ben più prestigioso Russell 1000 in occasione della revisione annuale dello stesso indice, anche perché, con l’aria che tira, è difficile prevedere se faranno in tempo a traslocare nell’ancora più ampio ed ovviamente meno prestigioso Russell 3000 prima di subire l’onta del delisting se non del sempre più probabile e definitivo default.

D’altro canto, cosa c’è da aspettarsi da entità che hanno avuto l’indubbio torto di cedere solo pochi anni orsono alle seducenti sirene delle banche di investimento è di quelle più o meno globali, che, sventolando sotto il naso dei vertici delle monoliners altrettanto seducenti rating stellari delle invenzioni prodotte dagli apprendisti stregoni allora indefessamente all’opera nelle scintillanti fabbriche prodotto, li avevano finalmente convinti a non restare confinati nel sicuro recinto delle garanzie prestate ai cosiddetti muni bonds (le emissioni obbligazionari delle varie entità facenti capo alle amministrazioni pubbliche statunitensi di ogni ordine e specie), per entrare nel ben più lucroso business delle garanzie prestate alle emissioni di quei titoli della finanza strutturata che andavano letteralmente a ruba sino a due anni orsono.

Ma ben altre sono le entità operanti nel mercato finanziario globale che sono state messe a dura prove nelle ultime ed alquanto pesanti sedute di borsa, tra le quali non vanno assolutamente dimenticati il colosso creditizio extracomunitario UBS, oramai ai minimi storici sia sulla piazza svizzera che su quella statunitense e che, proprio oggi, ha reso noto che sta per mettere alla porta in ottobre un terzo dei componenti del suo un tempo prestigioso Consiglio di Amministrazione, mentre il suo disperato vertice ancora spera di convincere l’attuale amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ad abbandonare l’obsoleta e decadente produzione di automobili per assumere un ruolo di primissimo piano nella banca della quale è soltanto vice presidente non esecutivo, sperando che sia in grado di ripetere il miracolo realizzato traendo dalle peste la casa automobilistica che solo pochi anni fa era letteralmente sull’orlo del fallimento.

Ignorando, come tutti, le reali intenzioni del fortunato manager, penso sia molto più interessante l’accreditato rumor che vuole la disastrata Lehman Brothers, quarta delle Investment Banks statunitensi, trovare il proprio cavaliere bianco in quella Barclays rimasta per sua fortuna a bocca asciutta nel fallito tentativo di acquisire in modo amichevole l’olandese ABN AMRO, preda strappata brutalmente dalle fauci già aperte della banca britannica dal trio Santander, Fortis e Royal Bank of Scotland autore di un costoso rilancio che avuto, purtroppo per loro, successo e che ha portato bene solo a Botin che si è liberato alla velocità della luce della sua parte del bottino, Antonveneta, riuscendo a rifilarla, al netto di Interbanca, al prode Mussari da poco trasferitosi dalla presidenza della Fondazione Monte dei Paschi di Siena alla analoga carica nell’omonimo gruppo bancario per la non piccola cifra di 9 miliardi di euro, somma peraltro non solo largamente superiore a quanto pagato dal Santander per il tutto, ma che oggi è pari se non superiore alla capitalizzazione di borsa della banca senese e la Fondazione che ritrova impelagata per poco meno del 90 per cento del suo patrimonio in un solo investimento (Banca Monte dei Paschi di Siena, appunto).

Non voglio assolutamente credere alla favola che vorrebbe il presidente della Fondazione senese, Lionello Mancini aggirarsi per le linde stradine della cittadina toscana (68 mila abitanti al più) in caccia di quell’avvocato calabrese che è riuscito a fare in un colpo solo quello che non è riuscito a Giulio Tremonti a colpi di legge, né a quanti mal digeriscono l’esistenza di una finanza rossa con l’ambizione di diventare l’indiscusso terzo polo bancario e assicurativo nel mercato finanziario italiano, alle spalle dei gruppi Intesa-San Paolo e Unicredit Group, per loro parte ancora tramortiti dalle fulminee acquisizioni effettuate nel breve volgere di un week end, mosse delle quali vi è ancora chi si ostina a cercare di scorgere una qualsivoglia logica industriale che non sia il tentativo, questo sì riuscito, di liberarsi in un colpo solo degli invadenti e molto inquietanti soci stranieri stanchi di sedere da anni su uno strapuntino degli organi collegiali pur dispondendo di belle fette dell’azionariato del San Paolo di Torino (il Santander), di Banca Intesa (il Credit Agricole) o di Capitalia (ABN AMRO e nuovamente il Santander che, dopo i blitzkrieg di Passera, Salza, Profumo e Geronzi si è trovato d’un colpo fuori dal mercato creditizio italiano).

Sempre a proposito di banche italiane e di azionisti o proprietari stranieri, è di oggi la notizia che i francesi di BNP Paribas, colosso bancario che, del tutto a sorpresa, aveva posto fine alla lunghissima telenovela di pattisti e contropattisti che avevano ceduto temporaneamente ceduto il passo alla Unipol dell’intraprendente Gianni Consorte e si era vista porgere su un costosissimo piatto d’argento (anche in questo caso del valore di 9 miliardi di euro) il 100 per cento circa della Banca Nazionale del Lavoro, hanno deciso di elevare al rango di amministratore delegato della banca romana l’attuale direttore generale, Fabio Gallia, l’uomo noto per aver rifiutato l’offerta di Cesare Geronzi di assumere analoga posizione in Capitalia al posto del defenestrando Matteo Arpe, peraltro restato miracolosamente al suo posto dopo la provvida intercessione di Colaninno padre che riuscì nell’impresa di ricondurre a più miti consigli l’anziano banchiere di Marino, che, per liberarsi di Arpe, fu così costretto a vendersi la banca all’ex enfante prodige dela finanza italiana, Alessandro Profumo.

Sembra proprio che ogni tessera del complesso puzzle della finanza italiana stia trovando il suo posto, non fosse che il gruppo Monte dei Paschi di Siena, per non parlare poi della omonima Fondazione, si trovi nella scomoda posizione che caratterizza coloro che si ostinano a restare nel bel mezzo di un non si sa quanto profondo guado, troppo grandi per continuare ad essere una banca regionale o pluriregionale, troppo piccoli per poter pensare di competere con le corazzate di Intesa-San Paolo e Unicredit Group che, per quanto da oltre decenni caratterizzate da lavori perennemente in corso, continuano a restare troppo più in alto del loro più immediato competitor, peraltro ancora sprovvisto di un degno amministratore delegato, carica per ora non prevista in quel di Siena, ma che forse potrebbe essere creata ed occupata dal disoccupato di lusso Matteo Arpe.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/