mercoledì 30 luglio 2008

Il mercato sembra credere all'ultima trovata degli uomini di Goldman Sachs!


Mentre restano in attesa della arma fine di mondo annunciata dal loro indiscusso punto di riferimento Henry Paulson, le donne e gli uomini posti al vertice delle Investment Banks e delle banche commerciali più o meno globali hanno alzato ieri efficaci barriere difensive in quello che doveva essere l’ultimo giorno (ma che, invece è stata prorogata sino al 12 agosto prossimo venturo) di efficacia della norma temporanea escogitata da Effe O Ixs nei confronti dell’orda di ribassisti guidata da David Einhorn, effettuando massicci acquisti di azioni proprie che hanno spinto ad un netto rialzo le quotazioni che erano giunte ormai troppo in basso e rischiavano seriamente, almeno nei casi più disperati di giungere ad un punto di non ritorno.

Che poi, alla fine della fiera, sia gli indici azionari di Wall Street che le quotazioni delle entità finanziarie siano tornati pressappoco ai livelli precedenti al crollo di lunedì questo sembra non importare assolutamente a nessuno, se non ai pochi che si ostinano a tenere d’occhio l’indice di volatilità, giunto a livelli che segnalano inequivocabilmente l’approssimarsi di nuovi rovesci nelle sedute a venire.

Se visitate le pagine finanziarie dei siti economici statunitensi, troverete che solo qualche sparuta voce si ostina ad affermare che i covered bonds prossimi venturi altro non sono che una riproposizione di quei titoli della finanza strutturata che da un anno nessuno vuole proprio più e che il fatto che debbano rimanere inchiodati al bilancio della banca emittente non cambia di molto la loro pericolosità legata alle sorti di un fenomeno sottostante, non importa che si tratti di un mutuo o di qualsivoglia altro, in quanto resta il fatto che non viene meno l’insopprimibile voglia delle banche di traslare su altri il rischio derivante dalle proprie scelte creditizie, un vizio che ha portato loro fortuna per oltre venti anni, ma che adesso sembra proprio non trovare la solita folla di gonzi pronti ad abboccare all’amo più o meno luccicante.

D’altra parte, ad un certo punto della breve storia successiva all’avvio della tempesta perfetta, fu proprio uno di questi banchieri globali, credo proprio si trattasse del numero uno della Deutsche Bank, a dire che, in un modo o nell’altro, gli investitori avrebbero dovuto riprendere a fare il loro mestiere e riprendere a comprare quanto veniva prodotto dagli apprendisti stregoni della sua come delle altre banche e poco importa che da quella sua voce dal sen fuggita siano trascorsi almeno sei mesi e che di acquirenti con la sveglia al collo e vogliosi di prendere per diamanti le perline loro offerte non se ne vedano proprio all’orizzonte né al di là né al di qua dell’Oceano Atlantico.

Quello che sembra, invece, sempre più a rischio di deflagrazione della bolla speculativa relativa sembra proprio essere il mercato del petrolio, così come quello delle altre materie prime e delle derrate alimentari, con il prezzo del barile che ha chiuso con un’ulteriore flessione di 2 dollari al barile, portando a 25 dollari la discesa rispetto al massimo toccato poche settimane orsono, ma che nel corso della seduta è arrivato a perdere anche 4 dollari, alla luce di considerazioni sull’effettivo stato non esaltante della domanda a livello mondiale, considerazioni che non erano diverse quando vi era una gara tra previsori a chi sparava il prezzo prossimo venturo più alto, gioco che è divenuto esilarante quando sono scesi in campo gli esponenti dei maggiori paesi produttori di greggio che sembravano scambiare per realtà i loro più che comprensibili desideri.

Anche se, nel caso del petrolio e dei suoi derivati, non si è giunti ai disordini che hanno caratterizzato i paesi in via di sviluppo per ragioni legate al folle innalzamento dei generi alimentari di prima necessità, va comunque considerato che una sorta di sciopero della benzina si è verificato anche nei paesi maggiormente industrializzati, ma quello che ha fatto veramente impressione, e che ha fatto seriamente preoccupare i petrolieri, è stato un, seppur timido, impatto sullo stile di vita dei solitamente onnivori consumatori statunitensi che hanno cominciato a prediligere i risparmiosi modelli di piccola cilindrata e mandato a picco le vendite di quei giganteschi SUV o gipponi i cui consumi tanto fanno inorridire noi europei e i giapponesi.

Ma anche il sempre più netto rallentamento dell’export asiatico, nonché lo stop forzato della circolazione e dell’attività di migliaia di fabbriche operanti nell’area di Pechino per evitare che le gare olimpiche si svolgano in un nebbione, sta finalmente riconducendo a più miti consigli gli investitori istituzionali e le banche di ogni ordine e grado che pensavano, a spese del resto dell’umanità, di rifarsi almeno in parte delle perdite ingentissime che hanno già contabilizzato, ma ancor più di quelle che verranno alla luce nei prossimi trimestri.

Quello che, invece, gli operatori non vogliono proprio sentire sono i sempre più chiari segnali provenienti da una pattuglia sempre più folta di membri con diritto di voto nel Federal Open market Commitee della Fed che dicono, un giorno sì e l’altro pure, che non si possono più frapporre indugi rispetto alla necessità di rialzare i tassi di interesse, perché ormai è chiaro a tutti che l’onda lunga del rialzo dei prezzi, anche ove scoppiasse la bolla speculativa sul petrolio, minaccia sempre di più la stabilità dello stesso sistema sociale, né è tollerabile una situazione che vede i tassi del mercato monetario ufficiali negli Stati Uniti d’America negativi di 300 punti base.

La nuova idea di Paulson lascia molto più tiepidi i banchieri europei che sembrano molto più consapevoli del fatto che l’era della finanziarizzazione selvaggia sta ormai volgendo al termine e che sembrano molto più interessati a rifocalizzare le banche da essi gestite verso le molto più sicure attività retail, pur essendo allo stesso modo consapevoli che non è facile che sia possibile evitare i contraccolpi pesanti delle scelte sbagliate fatte nel recente passato, contraccolpi che si tradurranno inevitabilmente in un’accelerazione del processo di concentrazione in corso, un processo spietato e che impedisce di capire sin d’ora chi saranno i vincitori e che gli sconfitti.

Venendo alle cose di casa nostra, quella a cui stiamo per assistere in Mediobanca potrebbe essere la classica scena del canto del cigno, una scena che rischia seriamente di vedere come protagonista l’anziano banchiere di Marino, Cesare Geronzi, uno che non sembra essere del tutto consapevole di occupare la poltrona di presidente del Consiglio di Sorveglianza solo per decisione altrui, ma che, anzi, sembra credere di essere ancora saldamente assiso al timone della sua Capitalia, cosa che fa certamente infuriare l’ex enfant prodige della finanza italiana, Alessandro Profumo, che sembra proprio deciso ad approfittare di questa alzata di ingegno di Geronzi per regolare antiche pendenze non sanate dal matrimonio fulmineo tra la sua Unicredit e la stessa Capitalia, un matrimonio che ha contribuito non poco al vero e proprio meltdown della quotazione dell’azione in Borsa, passata da 7,75 a meno di 4 euro.

Di questa ennesima baruffa tra banchieri approfitterà certamente il Governatore della Banca d’Italia, che pure avversando il duale all’amatriciana, sembra sempre più intenzionato a favorire l’uscita di buona parte di coloro che sono legati alla lunga era della gestione Fazio, così come appare deciso a sbarrare la strada al ritorno dei protagonisti dell’era dei furbetti del quartierino.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno.