Se il buongiorno si vede dal mattino, l’anticipazione sul calo degli occupati nel settore privato nel mese di giugno elaborato da un centro di ricerca specializzato, Automatica Data Processing, lascia prevedere che il Non Farm Payrolls, il dato che viene considerato in assoluto come quello maggiormente price sensitive nella larga messe delle informazioni statistiche disponibili negli USA, che verrà reso noto oggi potrebbe risultare anche più negativo delle già non rosse previsioni, in quanto il calo di 79 mila addetti segnalato da ADP si pone ad un livello di quattro volte circa superiore rispetto alle previsioni degli analisti.
Nel frattempo, il Federal Bureau of Investigations ha reso noto che l’hedge funder Samuel Israeli, che aveva fatto perdere le sue tracce per non scontare la condanna riportata per un buco da 500 milioni di dollari e che aveva cercato di far credere ad un fantomatico suicidio, è da ieri sotto la custodia degli agenti federali che, dopo la sua scomparsa avevano organizzato quella che verrà ricordata come la più grande caccia all’uomo in un caso di criminalità finanziaria, il tutto con grande soddisfazione dei futuri imputati che rischiavano seriamente di vedersi affibbiare cauzioni stratosferiche dopo il clamore suscitato dal tentativo di Israeli di sottrarsi ad una condanna a venti anni di carcere cui si aggiungerà un ulteriore periodo di detenzione quando verrà condannato per non aver ottemperato agli obblighi previsti dal regime di libertà su cauzione.
Come ho avuto più volte modo di ricordare, la tempesta perfetta sta portando con sé pesanti strascichi giudiziari, sia per la frenetica attività del pool investigativo che vede operare fianco a fianco agenti dell’FBI, del fisco, della SEC e di un numero imprecisato di donne ed uomini di altre agenzie federali che stanno agendo su input di numerose procure distrettuali, sia da una vera e propria proliferazione di class action messe in piedi da nugoli di avvocati a tutela di investitori che, almeno secondo la tesi dei ricorrenti, sarebbero stati frodati da banche di investimento e da banche più o meno globali mediante la vendita di titoli della finanza strutturata aventi caratteristiche ben diverse da quelle previste nelle brochure relative ai titoli stessi.
Giocando fuori casa, il ministro del Tesoro statunitense, Henry Paulson, ha sostenuto ieri che non è più dilazionabile il rafforzamento dei poteri delle autorità di vigilanza sulle diverse e variegate entità operanti nel mercato finanziario globale, facendo, ovviamente, riferimento a quel libro dei sogni di oltre 200 pagine presentato nei mesi scorsi tra squilli di tromba e suon di fanfare, un insieme di misure che, a detta dei più ottimisti, richiederà più di una legislatura per vedere finalmente la luce.
Nel frattempo, per non sbagliare, è ripresa la vendita di più o meno tutto il vendibile da parte degli esasperati operatori che sembrano sempre più consapevoli del fatto che né i governi, né le banche centrali dei paesi maggiormente industrializzati sembrano avere neanche la più vaga idea di quello che è necessario fare per fronteggiare quella che ormai tutti definiscono la più grave crisi finanziaria dalla fine del secondo conflitto mondiale, terminando un’apparentemente inarrestabile discesa dei listini azionari che procede di pari passo con variazioni giornaliere di titoli delle banche di investimento e di quelle commerciali, per non parlare delle disastrate monoliners, di notevole entità e spesso di segno opposto, con effetti micidiali sull’indice di volatilità (VIX) che si pone ormai a livelli nettamente superiori di quelli toccati a cavallo dello scoppio della bolla speculativa del Nasdaq.
L’entità del mercato finanziario che sta vivendo le oscillazioni più vistose nelle ultime sedute è certamente Lehman Brothers, che, data per quasi svenduta alla britannica Barclays all’alquanto vile prezzo di 15 dollari per azione, ha avuto ieri uno scatto di reni che ha spinto verso l’alto le quotazioni di poco meno del 10 per cento, oscillazioni violente forse legate ad esigenze di ricopertura della sempre più folta schiera di giocatori impegnati avedere realizzata la loro scommessa sull’identità della seconda Investment Banks destinata a tirare le cuoia, scommettitori che, evidentemente, non sono caratterizzati dal sangue freddo di David Einhorn e di quel pugno di miliardari suoi emuli che in questo rischioso ma molto redditizio gioco si stanno esercitando con costanza e perizia da poco meno di un anno.
Ma a tagliare per prima il traguardo potrebbe essere l’extracomunitaria UBS che non sa più a che santo votarsi da quando il consiglio di amministrazione ha educatamente detto di no alla proposta dell’ex amministratore delegato Arnold Luqman che, a nome di un folto gruppo di azionisti, ha proposto di splittare la divisione Corporate & Investment Banking allo scopo di evitare che portasse con sé a fondo quel che resta di uno dei giganti mondiali del credito, limitandosi, molto farisaicamente, a ridurre le attività finanziarie e, soprattutto, a svuotare in modo significativo le sale operative, mediante il licenziamento più o meno in tronco di migliaia delle donne e degli uomini che ivi operavano.
Ma il colpo di grazia per UBS è venuto dalla scoperta della mega rete di consulenti che sono stati impegnati a tempo pieno per anni ad aiutare facoltosi clienti statunitensi a portare al sicuro ed al riparo dagli occhi indiscreti del fisco americano ingentissime somme di denaro, in spregio ad un accordo di collaborazione sottoscritto tra gli Stati Uniti d’America e la Confederazione elvetica che prevedeva l’obbligo per le banche svizzere di segnalare al fisco movimenti di capitali effettuati allo scopo di eludere le tasse, collaborazione che soltanto ora UBS inizierà a prestare dando così un colpo mortale alla sua fama di riservatezza che tanta parte ha avuto nel portare i patrimoni in gestione sino alla stratosferica cifra di 2 mila miliardi di dollari, somme provenienti da un numero di paesi di poco inferiore a quelli rappresentati alle Nazioni Unite.
Pur non essendo in grado di verificare l’attendibilità delle voci che vedevano in soli 80 miliardi di dollari la somma offerta dalla Hong Kong Shanghai Banking Corporation per acquisire l’intero capitale di UBS, ritengo che si tratterebbe di un’offerta fin troppo generosa per una banca di cui è realmente impossibile valutare l’effettivo stato di salute, sarebbe meglio dire di malattia, così come confermo il giudizio a suo tempo espresso sulla assoluta non convenienza per HSBC di imbarcarsi in una simile avventura dopo aver gestito in modo quasi perfetto i notevoli guai esistenti in casa propria.
Nel frattempo, il petrolio ha infranto a New York la soglia dei 143 dollari al barile, mentre i tassi euribor continuano a stare in cielo e nella scadenza ad un anno sembrano ipotizzare almeno quattro rialzi da un quarto di punto del tasso di riferimento da parte della BCE, così vi è poco da stupirsi se l’euro sta seriamente riprovando a testare il massimo storico posto a 1,60 dollari, mentre la valuta statunitense testa verso il basso la soglia dei 105 yen.
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/