mercoledì 16 luglio 2008

Bush chiede al Congresso di nazionalizzare Fannie Mae e Freddie Mac!


Con la schiettezza che lo contraddistingue quando si trova a parlare dell’unica materia che conosce per esperienza personale, a parte il suo essere reborn in Christ che lo ha salvato dall’alcolismo che ha accompagnato buona parte della sua vita, il presidente degli Stati Uniti d’America, George W Bush, ha affrontato oggi di petto la questione della necessità assoluta di nazionalizzare le tecnicamente fallite Fannie Mae e Freddie Mac, mandando letteralmente all’angolo gli equilibrismi inconcludenti dell’ormai rodato duo Bernspan-Paulson, due inveterati liberisti che non riescono, neanche sotto tortura, a pronunciare l’odiato termine che ricorda la Vecchia Europa ed i suoi, chissà per quanto, generosi sistemi di welfare e la sua propensione a tenere sempre un piede pubblico in qualsivoglia settore dell’economia, soprattutto quando vi è un serio rischio per la sopravvivenza delle aziende e per l’occupazione.

D’altra parte, il penoso show dell’ex professore di Princeton in piena crisi di identità e dell’investment bunker da due anni travestito da ministro del Tesoro USA non aveva in alcun modo sottratto le due entità semipubbliche impegnate direttamente o indirettamente per 5.200 miliardi di dollari nel settore del mortgage ed esposte, per una cifra più o meno pari, mediante quei GSE che solo una superstizione dura a morire faceva ritenere garantiti dal Tesoro statunitense al pari dei Treasury Bonds (peraltro inferiori per entità ai GSE) alla ripetizione della pioggia di vendite, con significative perdite per i ritardatari, verificatesi ieri dopo la debacle registrata nella seduta di venerdì scorso.

Non che le pur chiare parole dell’ancor per pochi mesi comandante in capo della portaerei America che, ad onta della massiccia stazza, sta ondeggiando come un fuscello sotto gli alti marosi della tempesta perfetta, siano realmente servite oggi a fare recuperare i corsi azionari delle due entità da qualche giorno sotto il tiro incessante della speculazione ribassista, con volumi di vendita ancora da paura e prezzi, ad un’ora dalla fine delle contrattazioni, che ancora registrano flessioni a due cifre, anche se la big figure potrebbe, in chiusura, essere uno, invece del due persistente e derivante dal fatto che si oscillato per tutta la giornata intorno a flessioni del 20 per cento.

Quello che neanche Bush in persona poteva, infatti, promettere era che gli azionisti avrebbero conservato almeno parte dell’infimo valore attuale delle proprie azioni e che le stesse non avrebbero fatto la fine di quelle IndyMac, fallita miserevolmente pochi giorni fa lasciando agli azionisti il classico pugno di mosche in mano, o di quelle dell’orso di Stearns, pagate a 9 dollari e spiccioli dai nipotini di John Pierpoint Morgan e da quelli del capostipite dei Rockfeller, un valore che era meno di un ventesimo di quello toccato ai massimi delle ultime 52 settimane, prospettiva che non fa certo fremere di gioia i piccoli investitori e i ben più grandi investitori istituzionali che di azioni delle due entità avevano inzeppato i robusti portafogli.

L’evaporazione degli integralisti del neoliberismo è, peraltro, una delle caratteristiche distintive della tempesta perfetta in corso da poco meno di un anno, una conversione improvvisa sulla via della bancarotta che ha contagiato paludati economisti, autorevoli opinionisti e perfino la Bibbia del capitalismo finanziario, quel Wall Street Journal, oramai trasformatosi nel giornale di bordo della più profonda e prolungata crisi finanziaria mai intervenuta dalla fine del secondo conflitto mondiale, anche perché rischiano sempre più seriamente di inaridirsi le fonti delle prestigiose chair universitarie, delle sovvenzioni al libero pensiero del fondamentalismo economico liberista e le generose elargizioni ai giornalisti embedded ed ai loro editori, privati di nome ma molto disponibili di fatto.

Nel frattempo, l’euro è tornato d’un balzo a testare verso l’alto la barriera psicologia degli 1,60 dollari già messa a dura prova all’inizio di questo veramente orribile 2008, anno bisesto e molto funesto, mentre il petrolio ha registrato un deciso calo di 7 dollari al barile, anche in relazione alla convinzione sempre più diffusa, e sponsorizzata oggi dallo stesso Bernspan, di un forte rallentamento della domanda statunitense, europea e persino asiatica di greggio e delle altre materie prime, derrate alimentari comprese.

Ma una ben più consistente doccia fredda è venuta dall’emulo di Greenspan che non vede l’ora di tornare nei suoi panni di mite ma severo conoscitore delle crisi finanziarie di ogni epoca, quando il presidente della Federal Reserve ha fatto capire anche ai sordi che, a fronte di un inflazione da prezzi all’ingrosso appena al di sotto del 10 per cento anno su anno ed all’indomani della divulgazione del dato che vede i prezzi all’import cresciuti, sempre su base annua, del 20 per cento circa, la strada del rialzo dei tassi di interesse è di fatto già imboccato e che il problema non è più il se la fed rialzerà, ma del quando avvierà la fase restrittiva, per quanto tempo la stessa proseguirà e quale sarà il livello finale del tasso sui Fed Funds e del tasso ufficiale di sconto che rappresenta il ticket che le banche di investimento, le banche commerciali e da ieri anche Fannie Mae e Freddie Mac devono pagare per scaricare le centinaia di tonnellate di titoli della finanza strutturata nell’ampia discarica a cielo aperto gestite giorno e notte dalle donne e dagli uomini della Fed di New York.

L’esercito sterminato di ribassisti incalliti si sta, peraltro, talmente concentrando sulle new entry fannie Mae e Freddie Mac, che entità sotto tiro ininterrotto da mesi, come Lehman Brothers, MBIA ed Ambac, hanno potuto oggi tirare fiato, registrando rimbalzi significativi delle loro più che depresse quotazioni, anche se i difensori schierati nelle trincee sanno perfettamente che questa non è che una delle tante pause derivanti dalla necessità di effettuare le opportune ricoperture tecniche e per rivedere le tattiche e le strategie di quel pugno di miliardari che hanno David Einhorn come punto di riferimento assoluto, anche se non tutti, come David, dispongono di un esclusivo resort in un affascinante paradiso tropicale.

Fa fatto molto rumore il suggerimento che un quotato analista operante all’ombra del Wall ha voluto regalare ai disperati top manager di Lehman, banca che, almeno a suo avviso, dovrebbe essere oggetto di un take over totalitario con successivo delisting, una mossa volta ad evitare che l’operatività della quarta banca d’investimento statunitense e la sua preziosa liquidità continuino ad essere strettamente correlate alle paurose oscillazioni di borsa che il titolo sta subendo da mesi.

Continua l’attivismo degli ispettori di Mario Draghi, alle cui gesta il quotidiano La Repubblica ha dedicato un’intera pagina a firma di Andrea Greco, giornalista non inviso ad Alessandro Profumo, ed è di ieri la notizia dei venti rilievi che il capo della Vigilanza, Anna Maria Tarantola ha personalmente comunicato ad un attonito CdA della Banca Popolare di Milano, rilievi tutti incentrati sull’annoso problema della governance dell’istituto di Piazzetta Meda, con i relativi incartamenti depositati nella cassaforte del presidente Mazzotta e con esplicito divieto di farne copia.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ , mentre rendo noto che sono stati pubblicati nei giorni scorsi gli atti dello stesso convegno.