martedì 1 gennaio 2008

Un bilancio del 2007 e previsioni per il 2008


Prendendo per buona l’idea che il passaggio dal 31 dicembre al primo di gennaio rappresenti realmente l’attraversamento di una sorta di confine tra due situazioni diverse tra di loro, l’anno passato e quello che si apre, è possibile esercitarsi in una sorta di bilancio del 2007 ed azzardare qualche previsione per il 2008, anche perché il secondo dei due esercizi che propongo mi fa tornare indietro di dieci anni, a quando, cioè, ero chiamato a fare le previsioni sui cambi ed i tassi di interesse nell’ambito della divisione finanza di una grande banca italiana.

Devo dire che le analisi di quanto è avvenuto nell’anno che si sta chiudendo, almeno quelle che ho avuto modo di leggere navigando sul web, non mi soddisfano molto, in particolare quelle che osservano l’andamento delle principali borse mondiali in base alla differenza tra i valori medi e quelli specifici di fine anno e quelli che si registravano all’inizio dell’anno stesso, metodo certamente ortodosso, ma difficilmente applicabile in un anno che ha visto sorgere una tempesta perfetta, una tempesta che, peraltro, è ben lungi dall’esaurire i suoi effetti.

Seguirò, pertanto, un approccio alternativo, che consiste nel confrontare i dati di fine anno dai massimi toccati nel corso dello stesso, massimi che, fatte salve rarissime eccezioni, si collocano tutti nel primo semestre e, con riferimento alle entità che popolano il mercato finanziario globale, risultano concentrate nei primi tre mesi dell’anno.

Un esempio illustrerà, spero efficacemente, la diversa metodologia seguita ed è rappresentato da due listini asiatici, Hang Seng e Shanghai Composite, che, in base al metodo ortodosso hanno chiuso l’anno, rispettivamente, in rialzo del 39 e addirittura dell’88 per cento, mentre hanno perso nell’ultimo giorno di contrattazione , rispetto ai massimi toccati nel 2007, il 13 ed il 14 per cento.

Applicando lo stesso metodo alle principali entità del mercato finanziario statunitense, è possibile stilare una graduatoria negativa delle banche, una graduatoria che vede al vertice Countrywide con un –81 per cento, seguita da Sallie Mae in flessione del 66 per cento, da Freddie Mac con –52 per cento, da Bear Stearns che cede il 50 per cento, da Citigroup in flessione del 49 per cento, dalla disastrata Merrill Lynch con –47 per cento, Fannie Mae in calo del 46 per cento, Wachovia Bank con –26 per cento, Bank of America con –25 per cento, JPM in flessione del 19 per cento e la pur potente e preveggente Goldman Sachs che lascia sul terreno il 16 per cento.

E’ ovvio che si tratta di una graduatoria tutt’altro che esaustiva, anche perché mancano all’appello decine e decine di entità che hanno fatto ricorso ala protezione della legge fallimentare statunitense ed altre che sono state omesse per motivi di spazio, mentre, per quanto riguarda le due maggiori compagnie di assicurazione impegnate nel fornire garanzie alle emissioni obbligazionarie, MBIA e Ambac (che dal prossimo anno avranno come temibile concorrente il leone di Omaha, Warren Buffett), si può dire che sono in flessione del 76 e del 74 per cento, rispettivamente, nei confronti dei massimi segnati nell’anno che si chiude.

Segnalavo qualche tempo fa che l’intero settore delle costruzioni viaggia con flessioni medie dei valori azionari recenti rispetto ai massimi segnati nell’anno che si aggiravano intorno al 40 per cento e confesso di non averli aggiornati, anche perché suggestionato dagli ultimi dati molto negativi relativi al settore immobiliare, dati che non vengono scalfiti dal ruggito del coniglio delle vendite di case esistenti che, in novembre, segnala un +0,4 rispetto al mese precedente, ma un ben più solido meno 20 per cento nei confronti dello stesso mese del 2006.

Non intendo annoiarvi con l’applicazione del metodo sopra descritto alle banche ed agli altri soggetti finanziari operanti nell’area euro ed in Gran Bretagna o in Svizzera, segnalando, tuttavia, che le flessioni non si discostano da quelle riscontrabili al di là dell’Oceano Atlantico, sia nei valori medi che nelle punte, con l’eccezione della solita Northern Rock ancora sottoposta ad accanimento terapeutico e che ha perso il 93 per cento circa rispetto ai massimi segnati nell’anno.

Un discorso a parte lo merita il dollaro che, secondo i dati diffusi ieri dal Fondo Monetario Internazionale, vede la sua quota nelle riserve valutarie mondiali a poco più del 63 per cento, nel frattempo giunte a superare la soglia dei 6 mila miliardi di dollari, il 75,5 per cento delle quali appannaggio dei paesi in via di sviluppo che, in soli quattro anni, hanno accresciuto le loro disponibilità di 2.654 miliardi di dollari; nell’anno che si chiude il dollaro ha perso l’11 per cento nei confronti dell’euro ed il 24 per cento nei confronti di un paniere composto dalle valute delle13 principali valute sulla base dell’interscambio commerciale.

Venendo alle previsioni, inizierò proprio dalle questioni valutarie che, nelle preoccupazioni delle banche centrali, hanno quasi superato le questioni legate alla liquidità interbancaria ed al credit crunch in generale, per dire che gli afflussi massicci dei fondi governativi asiatici ed arabi in soccorso delle banche statunitensi e delle banche globali basate altrove non devono indurre a ritenere che questo fenomeno, peraltro destinato a continuare nel 2008 e forse anche negli anni successivi, distoglierà i tesorieri di questi megafondi messi in piedi ormai da quasi tutti i paesi esportatori da quella graduale ma inesorabile diversificazione verso l’euro e le altre principali valute che, assieme alla non risolta questione della posizione debitoria netta degli USA, è alla base del declino inesorabile del dollaro che potrebbe toccare, l’anno prossimo, il livello di 1,60-1,70 contro l’euro e sfondare decisamente verso il basso la soglia dei 100 yen per dollaro.

La questione cruciale, tuttavia, è legata alla possibilità di trovare, nell’anno che si apre, una via d’uscita rispetto alla perdurante disaffezione degli investitori di ogni ordine e rango nei confronti dei titoli della finanza strutturata, vera causa dell’attuale e perdurante crisi finanziaria, una disaffezione che non potrà essere contrastata se non dall’adozione di nuove regole e di una maggiore trasparenza, eventualità queste viste come il fumo negli occhi dai banchieri di tutto il mondo, ma, ahimé, non fortemente propugnate dai governi e da quelle banche centrali che pur hanno potuto toccare con mano che la maggior parte dei volumi della finanza strutturata erano allocati presso organismi costituiti a bella posta per essere sottratti alla loro vigilanza.

Così come credo che l’occasione rappresentata dall’appuntamento di primavera del Financial Stability Forum presieduto dall’italiano Mario Draghi verrà vanificata in larga misura, per l’ottima ragione che, come non hanno imposto regole agli hedge fund, tanto meno decideranno di imporre regole alle banche e alle compagnie di assicurazioni.

1 commento:

Radisol ha detto...

Il nuovo anno all'insegna del crac finanziario

Quando i nostri lettori leggeranno il primo numero dello Strategic Alert del nuovo anno, le misure prese dai banchieri centrali per prolungare l’agonia del sistema finanziario con illimitate iniezioni di liquidità staranno per scadere, e inizierà una fase totalmente imprevedibile, in cui continuerà la disintegrazione del sistema con un altro grande tracollo tra gennaio e febbraio.

Le iniezioni di liquidità di Natale e Capodanno devono essere rifinanziate dopo il 3 gennaio, ma nelle ultime due settimane sono aumentate le perdite del sistema. Tali perdite richiedono ulteriori iniezioni di liquidità, che possono rapidamente giungere a ordini di grandezza superiori a quelle già effettuate, alimentando la spirale iperinflazionistica della speculazione sulle materie prime e sui generi alimentari basata sull’effetto leva. Al contempo, col nuovo anno, le misure previste da Basilea 2 entreranno in vigore anche negli Stati Uniti, conferendo alla situazione maggiore imprevedibilità: i crediti non verranno più elargiti sulla base dei criteri di capitalizzazione, ma sulla base dei rating, in una situazione in cui il rating AAA non vale più niente.

Come ha ribadito più volte l’economista e leader democratico Lyndon LaRouche, se i governi continueranno a tollerare questa politica, saranno destinati a cadere per aver ceduto la sovranità ai predatori finanziari. I predatori stanno già studiando gli statuti delle banche centrali per trovare il sistema di giustificare un rifinanziamento generalizzato. Stando al Daily Telegraph del 27 dicembre, gli insider stanno studiando un memorandum preparato da membri dello staff della Federal Reserve, in cui si esamina “che cosa si possa fare secondo lo statuto della Federal Reserve nel caso in cui fallisca tutto il resto.” Stando alla sezione 13 dello statuto, la Fed può prendere misure di emergenza nel caso in cui le banche diventino “riluttanti o non disponibili” a concedere crediti. In tal caso, può autorizzare la banca a “concedere il prestito a chiunque assumendosene ella stessa il rischio” e questo aprirebbe tutti i boccaporti senza ritegno, conducendoci “tra la Scilla della stretta creditizia e i Cariddi dell’inflazione”.

In un briefing allo staff dell'EIR il 28 dicembre, la presidente del Movimento Solidarietà tedesco Helga Zepp LaRouche ha sottolineato che in Europa, col sistema dell’Euro e della banca centrale europea, non esiste un provvedimento paragonabile a quello previsto dalla Fed. Questo significa che il patto di stabilità previsto dal trattato di Maastricht potrebbe costringere i governi ad aumentare le tasse e ridurre drasticamente la spesa in fase di recessione, pur di rifinanziare gli hedge funds.

Fonte: http://www.movisol.org
31.12.07