sabato 12 gennaio 2008

Salvatori e salvati, vinti e vincitori

Come era largamente prevedibile, l’acquisizione di Countrywide, leader con 1.300 miliardi di dollari di attivo nel settore dei mutui più o meno residenziali, da parte di Bank of America è stata immediatamente seguita dall’annuncio dei colloqui volti al salvataggio di un’altra importante entità del mortgage, Washington Mutual, questa volta da parte di J.P. Morgan-Chase, così come è certo che siamo solo all’inizio delle danze e si tratterà di un ritmo alquanto frenetico perché il numero delle sedie disponibili è molto scarso.

I termini del merger tra Bank of America e Countrywide sono, peraltro, più che eloquenti e testimoniano dello stato assolutamente prefallimentare del gigante di Calabasas (California), in quanto si tratta di un’operazione basata sullo scambio azionario e che valuta l’intera Countrywide 4 miliardi di dollari e individua il valore dell’azione a poco più di 7 dollari, un ottavo circa di quanto quotava nei primi mesi del 2007.

Presentando l’operazione, il numero uno di Bank of America, Ken Lewis, non ha nascosto i rischi cui va incontro la seconda banca americana, anche alla luce del fatto che diventare di un colpo ed in questa fase il maggior operatore dei mutui statunitensi e sfiorare il limite federale del 10 per cento del totale dei depositi bancari non è cosa che può far dormire sonni tranquilli, ma, d’altra parte, questa è la finanza, bellezza!.

Quello che non si poteva chiedere a Lewis era di tenersi lo screditato Angelo P. Mozilo, un uomo che vanta una tale serie di rischi legali suoi personali e della compagnia che ha fondato negli anni Sessanta da aver reso necessaria una specifica appostazione tra i costi del deal.

Per anticipare il lavoro, ricordo che vi è un’altra entità a rischio, quella Merrill Lynch che si è liberata del suo potentissimo numero uno ma non delle sue eredità e sarà, secondo fonti interne, costretta a mettere a perdita nell’ultimo trimestre del 2007 cartaccia per ben 15 miliardi di dollari ed è alla ricerca di fondi sovrani disponibili a venire in suo soccorso.

L’irrompere in modo prepotente dei temi economici che maggiormente preoccupano gli americani nella campagna per le presidenziali, si veda ad esempio la virata in tal senso operata negli ultimi giorni da Hillary Clinton, e l’ipotesi sempre più concreta che il prossimo inquilino della Casa Bianca avrà un approccio molto meno friendly nei confronti di quelli che praticamente tutti i candidati di entrambi i partiti bollano come gli avidi speculatori che minacciano l’American Dream e insidiano le certezze dei risparmiatori e dei consumatori di quel Paese induce ad accelerare la risistemazione di quanto è sistemabile, prima che questo sia reso largamente più difficoltoso da nuove regole e nuove norme che il nuovo Presidente ed il nuovo Congresso saranno chiamati ad adottare a furor di popolo.

Di tutto questo appaiono sempre più consapevoli gli operatori di ogni ordine e rango, che, giustamente, leggono questi salvataggi come il segnale sempre più chiaro che le cose sono addirittura peggiori del previsto e che, come i drogati all’ultimo stadio, appaiono assuefatti alle continue iniezioni di liquidità ed ai tagli effettuati e sempre più promessi da un Bernanke che appare sempre più un clone di Alan Greenspan.

L’ultimo tonfo di Wall Street di ieri, il quarto nelle poche sedute che si sono svolte dall’inizio di questo non esaltante 2008, sta lì a testimoniare plasticamente il peso delle considerazioni appena sviluppate, anche se non vorrei che come europei girassimo la testa dall’altra parte, ignari che “de te fabula narratur” e che vi è un grande divario tra la distruzione creativa statunitense ed i lacci e i laccioli della vecchia Europa, così come di quella Gran Bretagna che sono quattro mesi che non che farsene di Northern Rock, con l’implicito corollario che, a fronte di eventuali situazioni emergenziali, dubito molto nella capacità delle forze sane di farsi carico nei tempi e nei modi necessari di quelle malate.

Nel frattempo, è crollata ai minimi termini la fiducia dei consumatori americani, che in gennaio si è portata a 56,3 dal 65,9 di dicembre (il riferimento è all’indice 100 del 2002, quando è iniziata la rilevazione) e fa un po’ impressione ricordare che era a 95,3 nel gennaio del 2007, dodici mesi che sembrano francamente dodici anni luce, il deficit commerciale USA ha toccato un nuovo record a 63 miliardi di dollari nel solo mese di novembre e l’oro ha finalmente raggiunto la magica soglia dei 900 dollari per oncia (chi si ricorda che, quando il dollaro era convertibile, la parità era fissata a 35 dollari per oncia?).

Venendo alle cose italiane, lo scontro vivacissimo tra il Presidente del Banco di Sicilia, Salvatore Mancuso, ed il numero uno del controllante Unicredit Group, Alessandro Profumo, ha raggiunto livelli che oscurano anche quello che avvenne tra l’anziano Cesare Geronzi e il giovane Matteo Arpe, quella defenestrazione annunciata e mai avvenuta, grazie alla provvidenziale mediazione di Roberto Colaninno, un licenziamento mancato che rischiò di minare la salute dell’avvocato Vittorio Ripa di Meana e che ha giocato un ruolo non marginale nel colpo di fulmine tra Geronzi e Profumo che portò, come il banchiere ligure ha ricordato mesi fa a Washington, ad un blitzkrieg senza due diligence.

Pur sentendo distintamente il frusciare delle carte bollate preparate da agguerritissimi staff di legali ingaggiati dall’una e dall’altra parte, moderna versione di quegli incontri all’alba di fronte al convento delle carmelitane scalze tanto cari alla penna di Alessandro Dumas padre, vorrei provare a suggerire a tutti gli attori della vicenda, ed ai loro comprimari, quel tanto di italica saggezza e di buon senso che mi sembra francamente i più abbiano decisamente smarrito.

L’ormai lunga storia del decisamente faticoso processo di ristrutturazione e di concentrazione dell’industria bancaria italiana ha attraversato diverse fasi, ha richiesto molti compromessi che, a volte, venivano nobilitati con il nome di modelli (qualcuno si ricorda del modello su base federale tanto caro agli antesignani dei due gruppi che oggi vanno per la maggiore e che consentì di mediare anche quello che, almeno sulla carta, non si poteva mediare?) e ricordo che questo non avveniva, o non avveniva soltanto, per motivi indicibili o di bassa lega, ma per il semplice motivo che una banca non è solo una somma di attività e passività, ma è fatta dalle donne e dagli uomini che vi lavorano, da una storia e spesso da una realtà locale che hanno le loro particolarità, da un insieme di relazioni materiali e immateriali che non possono essere trasferite come si fa con un assegno.

Certo, quando i cannoni tuonano e gli eserciti si schierano, le idee ed i ragionamenti passano in secondo piano, schiacciati da una logica che non riesce a vedere che vinti e vincitori, dalla necessità di schierarsi da una parte o dall’altra, ma permettetemi di dire che poche cose buone nascono da questi metodi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Leggo ultimamente spesso il tuo blog e lo trovo ormai insieme a pochi altri illuminante oltre che intellettualmente onesto e puntuale.
Vorrei chiederti un consiglio,su dei prodotti che ho acqusistato qualche anno fa in banca.
Sono obbligazionari con scadenza fra tre anni che sono emesse da una grande banca italiana ma la metà dell'obbligazione è gestita dalla Merrill Linch.
Quello che ti chiedo mi conviene disfarmene prima possibile anche se rimettendo parte del capitale investito in quanto c'è il pericolo concreto che la suddetta banca possa fallire???.
Vorrei conoscere la tua opinione in merito che ovviamente sarà la tua e
avrà solo valore di opinione.
Ti sarei grato se potessi rispondermi anche in privato.
Saluti e ancora complimenti
Emanuele