Gente che va e gente che viene al Grand Hotel della crisi finanziaria più intensa e più lunga dal secondo dopoguerra, in particolare in quello dislocato in prossimità di Wall Street, luogo magico della finanza arrembante negli ultimi decenni e che negli ultimi mesi ha visto una lunga serie di capitomboli eccellenti di amministratori delegati e presidenti, spesso impersonati dallo stesso individuo, che hanno dovuto precipitosamente e spesso doratamente abbandonare i loro meravigliosi uffici e i loro collaboratori e le loro collaboratrici con scarse prospettive, alla luce dei disastri combinati, di trovare un futuro una collocazione nel mercato finanziario globale.
E’ di ieri la notizia che James Cayne, mitico amministratore della un po’ disgraziata Bear Stearns, sì la banca che si può dire abbia dato il via alle danze con la chiusura in luglio di due suoi hedge funds, lascerà a breve il suo incarico per essere sostituito dall’attuale presidente di Bear, tal Alan Schwartz, un uomo un po’ anziano ma che ha fama di saggezza ed il pregio di essersi sinora tenuto lontano dalla tolda di comando della banca, mentre il CEO sostituito è passato alle cronache per aver trascorso le giornate più calde della sua carriera impegnato a giocare a carte ed a compiere lunghi e certamente pensosi percorsi ad inseguire la sua pallina da golf.
Ma, mentre Cayne e prima di lui Chuck Prince III e tanti altri prima e dopo di lui dovranno decidere se spendere le loro megaliquidazioni in resort esotici o viaggiando per il mondo, si è saputo, sempre ieri, che almeno 86 mila dipendenti del solo segmento creditizio specializzato nei mutui sono stati licenziati senza troppi complimenti da quelle banche e società finanziarie nelle quali hanno trascorso buona parte della loro vita lavorativa, aggiungendosi alle decine di migliaia di dipendenti del settore finanziario che hanno avuto la stessa loro sorte in questi lunghi cinque mesi, ma precedendo le altre decine di migliaia di colleghi che sono previsti nei piani di ridimensionamento di Citigroup e della miriade di banche e finanziaria che, alla luce dei disastrosi risultati conseguiti nel 2007, si stanno preparando al tosto 2008 riducendo i costi all’osso.
Ma per un top manager che se ne va ce ne è sempre un altro che viene, così apprendiamo che alla guida dell’altrettanto disastrata Sallie Mae, l’entità creditizia semipubblica che finanzia gli studi dei giovani americani, un aspetto, insieme alla casa indipendente, del sogno americano che rischia di rivelarsi sempre più costoso per i genitori dei futuri studenti di college ed università, andrà Anthony P. Terracciano, un banchiere sessantottenne meglio conosciuto come “Tony la tigre” e con una lunga storia di successi professionali alle sue spalle.
Sono certo che siamo solo all’inizio di un via vai di banchieri e finanzieri, per non parlare del sempre più probabile processo di concentrazione che si profila per l’industria finanziaria più potente e sofisticata del mondo, con le Big Five che potrebbero verosimilmente ridursi a Big Three, processo che peraltro è già avvenuto nel settore del mortgage che ha già perso decine di società, alcune delle quali svolgevano un ruolo da protagoniste in un mercato, quello dei mutui statunitensi, che presenta volumi nell’ordine dei 2.500 miliardi di dollari, a fronte di gran parte dei quali sta la vera e propria montagna di titoli della finanza strutturata che stentano sempre di più a trovare acquirenti.
La regina di questo settore, conosciuta come Countrywide, ancora dominata da quell’Angelo Mozilo che la stampa specializzata descrive più o meno come una locusta (indagato peraltro dalla SEC e da qualche giudice sospettoso), rappresenta un case study esemplare del settore del credito immobiliare, sintetizzata dallo sterminato numero di dipendenti licenziati, di filiali tristemente chiuse e con l’azione che galleggia poco sopra i 7 dollari e che è in calo di oltre l’80 per cento rispetto ai massimi toccati nei primi mesi del 2007.
D’altra parte, non è certo un caso se la California guida saldamente la graduatoria dei licenziamenti dei dipendenti delle società che erogano mutui con, almeno al momento, circa 16 mila licenziati, non a caso perché la sede centrale di Countrywide è situata a Calabasas in California, così come in questo splendido stato degli USA aveva la sede New Century che in aprile ha chiesto la protezione della legge fallimentare statunitense, riuscendo così ad impedire alle grandi banche di rivenderle miliardi di dollari di mutui che la società con sede a Irvine aveva loro rifilato nei mesi e negli anni precedenti.
Già, perché la maggior parte dei guai di Citigroup e delle altre grandi banche commerciali e di quelle di investimento nasce proprio dal fatto che decine e decine di entità di varia dimensione avevano rifilato alle grandi banche mutui subprime e di altra natura, mutui della cui qualità le banche acquirenti non si erano preoccupate più di tanto, forti di una solida clausola contrattuale che prevedeva che, superata una certa e bassa percentuale di default, avrebbero potuto rispedire i mutui al mittente, eventualità purtroppo sfumata grazie alla velocità ed alla quasi contemporaneità del ricorso alla protezione dei vari capitoli di cui si compone la legge fallimentare statunitense da parte delle società inizialmente eroganti, i cui top manager probabilmente avevano sul comodino proprio quella legge in luogo della desueta Bibbia.
Credo proprio che le quotazioni ai minimi delle maggiori banche USA trovino, tra le altre, una buona spiegazione in questa riproposizione della Grande stangata, splendido film magistralmente interpretato da Robert Redford e Paul Newman, peccato che gli autori del colpaccio non si siano tenuti nei confini nazionali, ma abbiano riempito di questa spazzatura anche i forzieri delle banche europee, anche di quegli extracomunitari degli svizzeri, spingendo anche le azioni di queste a testare con sempre maggiore successo verso il basso i minimi dell’anno e in qualche caso anche i minimi di sempre.
A rischio di essere un po’ monotono ma prosegue il silenzio assordante di gran parte della stampa quotidiana e degli altri grandi mezzi di comunicazione sullo scandalo bancario di San Marino, un silenzio che inizia a farmi pensare che la cosa non sia limitata alla Banca Assett e alla sua controllata romagnola ma possa avere ripercussioni ben più grandi che vedremo solo in un prossimo futuro.
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