Dopo aver retto per quasi cinque mesi ai venti impetuosi della tempesta perfetta innescatasi il 9 agosto scorso, i mercati azionari di tutto il mondo hanno iniziato a flettere pericolosamente a partire dalla prima seduta del 2008, ma è stato ieri che l’ondata ribassista, praticamente senza eccezione di fuso orario, ha amplificato la sonora bocciatura espressa dagli operatori economici statunitensi del piano di fiscal restore annunciato in pompa magna da George W. Bush, assistito e quasi sorvegliato dal suo burbero vice Cheaney e dall’ex numero uno di Goldman Sachs e pro tempore ministro del Tesoro USA, Henry Paulson, che sembra ormai sempre più impaziente di lasciare gli inutili e poco retribuiti giochi della poltica per dedicarsi al suo passatempo preferito e ottimamente remunerato di banchiere d’affari.
Non era evidentemente bastato il clamoroso fallimento di quel SIV dei SIV o Conduit dei Conduit, denominato MLEC e tenuto a battesimo dalle tre maggiori banche statunitensi quale escamotage per stabilizzare quell’immenso mercato dei titoli della finanza strutturata ormai chiaramente snobbati dagli investitori che da mesi si rifiutano ostinatamente di avervi nulla a che fare, un fondo che avrebbe dovuto avere una dotazione di 100 miliardi di dollari e che è stato ignominiosamente archiviato sul finire del 2007 per manifesto disinteresse delle banche promotrici, nel silenzio quasi assordante di quella stampa economica embedded che lo aveva salutato con toni entusiastici, dedicando, invece, scarni articoletti al suo mesto de profundis.
Né, forse, era stata sufficiente l’altrettanto ignominiosa fine di quell’altrettanto strombazzato progetto Hope Now, altra brillante pensata del nostro Paulson (rubata peraltro, previo stravolgimento, ad una brillante dirigente di un dipartimento del governo federale), che avrebbe dovuto ridare speranza ad una parte dei mutuatari disperati da un innalzamento pauroso dei tassi previsto dai contratti capestro da loro incautamente sottoscritti e condito dalla pubblicizzazione di numeri verdi del cui malfunzionamento vi è ampia descrizione in numerosi e documentati articoli e reportage televisivi.
Sorvolo, avendo già trattato l’argomento nella puntata precedente del diario, sugli aspetti più controversi di questa mossa azzardata, in parte inutile e certamente fuori tempo annunciata venerdì scorso dall’amministrazione Bush, per concentrarmi sui danni che, a partire dai forti tonfi registrati in Asia, questa trovata geniale ha prodotto sui mercati europei, e qui si è fermata perché, per fortuna, i mercati USA erano chiusi ieri per la festa nazionale in ricordo di Martin Luther King, ma che avranno modo domani di aggiungere pioggia a pioggia.
Noto, solo di passata, che i cali registrati ieri dal FTSE di Londra dal CAC 40 di Parigi e dal DAX di Francoforte, per non parlare dei listini di riferimento di Milano e di Madrid, sono, per gli amanti delle statistiche, peggiori anche di quelli che furono registrati all’indomani dell’11 settembre 2001, anche per ricordare che, sempre con riferimento a quella fatidica e gravida di conseguenze data funesta, anche l’intervento sul mercato interbancario operato dalla BCE il 9 agosto 2007 superava di una volta e mezza quello effettuato in circostanze tragiche sei anni prima dalla stessa Banca Centrale Europea, intervento, peraltro, surclassato dalla miriade di ben più massicce iniezioni di liquidità operate successivamente, per giungere, nel dicembre dell’anno che si è appena concluso, alla mega operazione che superava di ben sei volte quello del 2001, ma, come si sa, a mali estremi estremi rimedi.
Vorrei risparmiare ai lettori il vero e proprio bollettino di guerra rappresentato dai crolli delle quotazioni della banche dell’area euro, di quelle britanniche e di quelle residenti nell’extracomunitaria Svizzera, limitandomi ad osservare che, nella maggior parte dei casi le flessione sono state nell’ordine dell’8-9 per cento e che per quasi tutte le banche e le compagnie di assicurazione i prezzi di riferimento segnati alla fine del bagno di sangue rappresentano nuovi minimi delle ultime 52 faticose settimane, mettendo al contempo la parola fine alle residue speranze di un decoupling tra le entità della finanza basate in Europa e quelle operanti negli Stati Uniti d’America.
D’altra parte una lettura attenta e spassionata del lucido intervento tenuto dal professor Mario Draghi, dalla fine del 2005 Governatore della Banca d’Italia dopo la disastrosa era Fazio, alla riunione annuale del Forex e delle altre associazioni professionali degli operatori della finanza tenutasi a Bari lo scorso week end consente di comprendere la profondità della crisi, la strumentazione e la portata degli interventi messi in atto dalle banche centrali, le responsabilità del modello originate to distribuite, o meglio della scarsa qualità dei prodotti che venivano originati dalle fabbriche prodotto di banche e compagnie di assicurazione per poi essere allegramente distribuiti ad investitori e risparmiatori, nonché ampi cenni alla virata energica impressa all’attività di vigilanza e al sistema dei controlli interni imposti d’autorità ai soggetti vigilati.
Non c’è che dire, una ventata d’aria fresca dopo l’umiliante esperienza da me provata per alcuni anni in quello stesso consesso ad ascoltare il Governatore di Alvito (FR) discettare dell’universo mondo a pochi mesi dalla fissazione delle parità fisse e irrevocabili delle valute candidate a partecipare all’euro, riuscendo l’alvinate a non pronunciare mai la parola euro o far cenno a quella disperata rincorsa che aveva consentito, contro il parere del Governatore medesimo, all’Italia di entrare, sin dall’inizio, in quella avventura.
Detto questo, e me ne rammarico, non posso non sottolineare quello che manca nel discorso di Draghi, con l’aggravante che il curriculum e il cursus honorum del professore sono realmente eccellenti e non consentono di pensare che quello che non vi è derivi da distrazione o, peggio, incompetenza, anche perché credo sinceramente che raramente bagaglio di conoscenze ed esperienze sul campo siano state ben coniugate come nel caso dell’attuale Governatore.
Quello che manca, dopo l’eccellente diagnosi, è l’indicazione di una efficace terapia, che, dispiace dirlo, non è certo questione di tecnicalità, ma del coraggio di individuare nuove regole per i soggetti che operano nel mercato finanziario, sì proprio di quelle regole che vengono viste come il fumo degli occhi dai numero uno superstiti delle grandi banche statunitensi, europee ed asiatiche, persone che ritengono che, al massimo, si può pensare a meccanismi autoregolatori ideati e messi in atto dagli stessi interessati, anche perché, anche se non lo dicono esplicitamente, questo è il mercato, bellezza!
Professor Draghi, non ripeta, quando a marzo sarà chiamato a riferire al vertice del G7, l’errore commesso nel caso degli hedge funds, per i quali, sempre da presidente del Financial Stability Forum, ha escluso la necessità di una regolamentazione, anche perché stavolta ne va del futuro del mercato finanziario nel suo complesso.
Non era evidentemente bastato il clamoroso fallimento di quel SIV dei SIV o Conduit dei Conduit, denominato MLEC e tenuto a battesimo dalle tre maggiori banche statunitensi quale escamotage per stabilizzare quell’immenso mercato dei titoli della finanza strutturata ormai chiaramente snobbati dagli investitori che da mesi si rifiutano ostinatamente di avervi nulla a che fare, un fondo che avrebbe dovuto avere una dotazione di 100 miliardi di dollari e che è stato ignominiosamente archiviato sul finire del 2007 per manifesto disinteresse delle banche promotrici, nel silenzio quasi assordante di quella stampa economica embedded che lo aveva salutato con toni entusiastici, dedicando, invece, scarni articoletti al suo mesto de profundis.
Né, forse, era stata sufficiente l’altrettanto ignominiosa fine di quell’altrettanto strombazzato progetto Hope Now, altra brillante pensata del nostro Paulson (rubata peraltro, previo stravolgimento, ad una brillante dirigente di un dipartimento del governo federale), che avrebbe dovuto ridare speranza ad una parte dei mutuatari disperati da un innalzamento pauroso dei tassi previsto dai contratti capestro da loro incautamente sottoscritti e condito dalla pubblicizzazione di numeri verdi del cui malfunzionamento vi è ampia descrizione in numerosi e documentati articoli e reportage televisivi.
Sorvolo, avendo già trattato l’argomento nella puntata precedente del diario, sugli aspetti più controversi di questa mossa azzardata, in parte inutile e certamente fuori tempo annunciata venerdì scorso dall’amministrazione Bush, per concentrarmi sui danni che, a partire dai forti tonfi registrati in Asia, questa trovata geniale ha prodotto sui mercati europei, e qui si è fermata perché, per fortuna, i mercati USA erano chiusi ieri per la festa nazionale in ricordo di Martin Luther King, ma che avranno modo domani di aggiungere pioggia a pioggia.
Noto, solo di passata, che i cali registrati ieri dal FTSE di Londra dal CAC 40 di Parigi e dal DAX di Francoforte, per non parlare dei listini di riferimento di Milano e di Madrid, sono, per gli amanti delle statistiche, peggiori anche di quelli che furono registrati all’indomani dell’11 settembre 2001, anche per ricordare che, sempre con riferimento a quella fatidica e gravida di conseguenze data funesta, anche l’intervento sul mercato interbancario operato dalla BCE il 9 agosto 2007 superava di una volta e mezza quello effettuato in circostanze tragiche sei anni prima dalla stessa Banca Centrale Europea, intervento, peraltro, surclassato dalla miriade di ben più massicce iniezioni di liquidità operate successivamente, per giungere, nel dicembre dell’anno che si è appena concluso, alla mega operazione che superava di ben sei volte quello del 2001, ma, come si sa, a mali estremi estremi rimedi.
Vorrei risparmiare ai lettori il vero e proprio bollettino di guerra rappresentato dai crolli delle quotazioni della banche dell’area euro, di quelle britanniche e di quelle residenti nell’extracomunitaria Svizzera, limitandomi ad osservare che, nella maggior parte dei casi le flessione sono state nell’ordine dell’8-9 per cento e che per quasi tutte le banche e le compagnie di assicurazione i prezzi di riferimento segnati alla fine del bagno di sangue rappresentano nuovi minimi delle ultime 52 faticose settimane, mettendo al contempo la parola fine alle residue speranze di un decoupling tra le entità della finanza basate in Europa e quelle operanti negli Stati Uniti d’America.
D’altra parte una lettura attenta e spassionata del lucido intervento tenuto dal professor Mario Draghi, dalla fine del 2005 Governatore della Banca d’Italia dopo la disastrosa era Fazio, alla riunione annuale del Forex e delle altre associazioni professionali degli operatori della finanza tenutasi a Bari lo scorso week end consente di comprendere la profondità della crisi, la strumentazione e la portata degli interventi messi in atto dalle banche centrali, le responsabilità del modello originate to distribuite, o meglio della scarsa qualità dei prodotti che venivano originati dalle fabbriche prodotto di banche e compagnie di assicurazione per poi essere allegramente distribuiti ad investitori e risparmiatori, nonché ampi cenni alla virata energica impressa all’attività di vigilanza e al sistema dei controlli interni imposti d’autorità ai soggetti vigilati.
Non c’è che dire, una ventata d’aria fresca dopo l’umiliante esperienza da me provata per alcuni anni in quello stesso consesso ad ascoltare il Governatore di Alvito (FR) discettare dell’universo mondo a pochi mesi dalla fissazione delle parità fisse e irrevocabili delle valute candidate a partecipare all’euro, riuscendo l’alvinate a non pronunciare mai la parola euro o far cenno a quella disperata rincorsa che aveva consentito, contro il parere del Governatore medesimo, all’Italia di entrare, sin dall’inizio, in quella avventura.
Detto questo, e me ne rammarico, non posso non sottolineare quello che manca nel discorso di Draghi, con l’aggravante che il curriculum e il cursus honorum del professore sono realmente eccellenti e non consentono di pensare che quello che non vi è derivi da distrazione o, peggio, incompetenza, anche perché credo sinceramente che raramente bagaglio di conoscenze ed esperienze sul campo siano state ben coniugate come nel caso dell’attuale Governatore.
Quello che manca, dopo l’eccellente diagnosi, è l’indicazione di una efficace terapia, che, dispiace dirlo, non è certo questione di tecnicalità, ma del coraggio di individuare nuove regole per i soggetti che operano nel mercato finanziario, sì proprio di quelle regole che vengono viste come il fumo degli occhi dai numero uno superstiti delle grandi banche statunitensi, europee ed asiatiche, persone che ritengono che, al massimo, si può pensare a meccanismi autoregolatori ideati e messi in atto dagli stessi interessati, anche perché, anche se non lo dicono esplicitamente, questo è il mercato, bellezza!
Professor Draghi, non ripeta, quando a marzo sarà chiamato a riferire al vertice del G7, l’errore commesso nel caso degli hedge funds, per i quali, sempre da presidente del Financial Stability Forum, ha escluso la necessità di una regolamentazione, anche perché stavolta ne va del futuro del mercato finanziario nel suo complesso.
Nessun commento:
Posta un commento