Mentre infuriano, in Francia e nel resto del mondo, le polemiche sulla reale natura, le dimensioni e le conseguenze della gigantesca frode subita dalla seconda banca francese per volumi e capitalizzazione, quella Société Générale fondata con decreto di Napoleone III nel 1864, ad opera di un trader trentunenne non dotato di ampie deleghe operative, nel rovente dibattito entra a piedi pari un furente Nicholas Sarkozy che, ancora indignato con i vertici di Socgen e con il Governatore della Banca di Francia per essere stato informato dello scandalo solo quattro giorni dopo, ha alzato il tono della polemica andando con durezza a quello che è il vero cuore del problema.
“Se è possibile fare grandi profitti nel volgere di poche ore, è anche possibile realizzare enormi perdite” ha sostenuto il presidente francese dall’India dove è in visita ufficiale, aggiungendo che “dobbiamo fermare questo sistema che è impazzito e che ha perso di vista il proprio scopo”, per chiosare che “è ormai giunto il tempo per iniettare un po’ di senso comune in tutti questi sistemi”.
Ancora non ben ripresasi dallo shock, la ministra francese dell’economia, Christine Lagarde, nel suo intervento a Davos, liquida lo scandalo rendendo soltanto noto di essere stata incaricata di redigere un rapporto sulla frode e non trova di meglio da fare che prendersela con il suo connazionale Jean Claude Trichet, il presidente della BCE da tempo considerato germanizzato se non addirittura passato armi e bagagli sulle posizioni della parte templare del Board dell’istituto di Francoforte, un Trichet reo di non adoperarsi abbastanza per realizzare una politica monetaria più accomodante nell’area dell’euro e sordo alle chiare necessità del mercato ormai sempre più immerso nella crisi finanziaria.
Nel frattempo, il giovane Jerome Krevial è stato arrestato sabato scorso dalla polizia e, secondo fonti giudiziarie, starebbe attivamente collaborando con gli inquirenti, mentre i suoi legali passano decisamente al contrattacco, contestando decisamente la versione della banca sulla vera responsabilità delle perdite che sarebbero, a loro avviso, da addebitare alla fretta con la quale Socgen ha liquidato massivamente le posizioni aperte, senza tentare di gestirle in un lasso di tempo più lungo, una posizione, peraltro, che fornisce munizioni a quanti stanno sostenendo che la chiusura pressoché simultanea di derivati sugli indici azionari per 50 miliardi di euro avrebbe determinato non solo i crolli delle prime due sedute della scorsa settimana, ma avrebbe anche influenzato Bernanke e compagni che, presi dal panico, hanno deciso proprio in quelle ore e in teleconferenza il maxi taglio di 75 punti base del tasso sui Fed Funds a pochissimi giorni dalla data prevista per la riunione formale del FOMC della Federal Reserve.
I principali commentatori economici e buona parte dei cervelli presenti al World Economic Forum di Davos danno ormai per certo un financial bailout in favore di Socgen, più per il colpo subito dalla sua credibilità che per lo stesso pur grave impatto economico negativo della frode e dei possibili strascichi legali della stessa, così come tra loro prevale la possibilità che si vada verso quel merger tutto francese di cui si era tanto parlato nei mesi scorsi e che ora vedrebbe Bouton e compagni soccombere alla superiore volontà dell’iperattivo presidente francese e dei ministri economici del suo gabinetto, del tutto ansiosi di voltare pagina e di creare un campione nazionale creditizio non meno forte degli campioni nazionali realizzati in altri settori strategici dell’economia francese.
Lo scandalo Socgen ha letteralmente offuscato le altre notizie provenienti dal sempre più turbolento mercato finanziario globale, ma è il caso di ricordare che, a fronte di un ancora non deciso intervento delle maggiori banche statunitensi in favore delle disastrate compagnie assicurazioni monoline per un massimo di 15 miliardi di dollari, le necessità delle principali sei entità operanti nel comparto, due già degradate e le altre in procinto di esserlo, richiederebbero un afflusso di capitali che va dagli 80 ai 200 miliardi di dollari a seconda della visione più o meno pessimistica degli analisti stessi.
Così come non vanno trascurate le notizie che vedono anche la potente e preveggente Goldman Sachs intraprendere con la sua abituale determinazione la strada del downsizing, che dovrebbe tradursi in un taglio dell’organico che stride un po’ con i risultati record registrati pur in un 2007 disastroso per l’industria finanziaria nel suo complesso, ma che è molto in linea con l’altrettanto forte determinazione di creare le condizioni per realizzarne di altrettanto buoni anche per quello che si profila già come un orrendo 2008, un anno per il quale la famosa vulgata dell’anno bisesto anno funesto sembra, almeno alla luce del futuro prevedibile, quasi come un augurio.
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