L’accordo bipartisan al Congresso degli Stati Uniti d’America ha consentito di operare un efficace restyling del piano di restituzione fiscale reso noto, senza peraltro riscuotere grande successo nell’opinione pubblica e senza che si verificasse la prevista reazione positiva sui mercati finanziari, da George W. Bush, un rifacimento parlamentare che è andato in profondità su questioni non secondarie quali una maggiore concentrazione dell’aiuto alle famiglie, la velocizzazione dei tempi di erogazione, con relativa priorità in favore dei redditi più bassi, la scelta di favorire gli investimenti delle piccole imprese per la quota del piano che riguarda, appunto, le imprese, un’estensione temporanea dei limiti per i mutui erogati da Fannie Mae e Freddie Mac, che dovrebbe passare da 470 mila ad un massimo di 700 mila dollari.
Un più che soddisfatto Henry Paulson, l’ex numero uno di Goldman Sachs e, pro tempore, ministro del Tesoro USA, ha accolto in pieno le modifiche che rendono molto più tempestivo ed efficace il suo piano di fiscal restore, eliminando quell’impostazione reaganiana che tendeva a favorire oltremodo e in modo indiscriminato le imprese e che, per quanto riguarda le famiglie, non teneva conto del numero dei figli, né dava priorità nell’erogazione alle situazioni di maggiore bisogno, così come deve essere stata musica per le sue orecchie l’ampliamento delle possibilità di intervento delle due disastrate entità semipubbliche operanti nell’ancor più disastrato settore del mortgage.
Restano tutti i dubbi espressi un po’ da ogni parte sulla possibile efficacia dell'intervento sul piano non secondario del rilancio dei consumi, in quanto, secondo i primi sondaggi, la maggioranza dei contribuenti beneficiati sarebbe orientata ad utilizzare le somme ricevute dal governo per ridurre il crescente indebitamento, in particolare la parte di esso legata all’utilizzo delle carte di credito revolving, ma non vi è dubbio che, almeno nella formulazione rivista dal Congresso, il piano di fiscal restore potrebbe esercitare un non disprezzabile effetto psicologico sui sempre più inquieti consumatori statunitensi, che, è bene ricordarlo, sono sempre i consumatori più consumatori dell’intero pianeta ed anche i più sensibili alle lusinghe scintillanti dei prodotti superflui.
Sulla velocità dell’intesa bipartisan e sull’accettazione da parte della amministrazione Bush di un vero e proprio stravolgimento della filosofia iniziale del piano hanno certamente pesato i dati diffusi ieri sull’andamento delle vendite delle case esistenti nell’intero 2007, una flessione che, nel caso delle case indipendenti così care al modello americano, ha toccato il 13 per cento, la peggiore flessione dal -17,7 per cento del 1982, ed una flessione del prezzo mediano (badate bene non medio) dell’1,8 per cento che pone tale prezzo a 217 mila dollari, una flessione che non si verificava da ben quaranta anni, per l’esattezza dal lontanissimo 1968.
E’ solo il caso di ricordare di sfuggita che l’attività edilizia ha un peso molto significativo sulla crescita complessiva dell’economia statunitense e che svolge un ruolo fondamentale nel dato aggregato dell’occupazione, così come sono noti i riflessi del valore del patrimonio immobiliare e del relativo servizio del debito su quei consumi delle famiglie e dei singoli individui che pesano in modo assolutamente preponderante sul PIL statunitense e sulle aspettative di esportazione dei paesi asiatici e di quei paesi arabi che fanno la parte del leone nelle esportazioni di prodotti petroliferi.
Venendo alle questioni più attinenti alla crisi finanziaria in corso, non vi è dubbio che anche la giornata di ieri sui mercati posti sia al di qua che al di là dell’Oceano Atlantico ha dato il suo contributo a quell’aumento ormai costante della volatilità che, se fa la felicità degli hedge fund (è di questi giorni la costituzione, da parte della solita Goldman Sachs, di un mega hedge da 7 miliardi di dollari), anche se dagli indici la volatilità si è trasferito sulle quotazioni di singoli titoli, in particolare su quelli delle due assicurazioni monoline ormai da molte sedute nella tempesta e che hanno ieri pagato un pesante pegno all’allungamento dei tempi per un’eventuale ma molto improbabile piano di salvataggio delle stesse che, è bene ricordarlo, sono specializzate nel garantire le emissioni obbligazionarie di ogni specie e natura, incluse, ovviamente, quelle definite come facenti parte della finanza strutturata, dagli LBO ai CDO e quant’altro hanno partorito le fervide e prolifiche menti degli addetti alle cosiddette fabbriche prodotto delle banche globali.
Oltre alle minori probabilità di un piano di salvataggio, MBIA e, ancor di più, Ambac, hanno sofferto per il brusco downgrade subito dalla loro concorrente Security Capital Assurance, “decapitata” da Fitch che ha portato il rating da AAA ad una solitaria ed un po’ desolata A, ricordo che senza la tripla A o giudizio equivalente è di fatto impossibile operre in questo settore e che Ambac è stata da poco degradata ad AA e la controllata Ambac Financial ha ormai una sola A.
Ma la vera notizia del giorno è quella della forte perdita di 7,14 miliardi di dollari su un volume sottostante non meglio precisato annunciata da Société Générale, uno dei due colossi francesi del credito, entrambi molto attivi nel settore della finanza strutturata e che hanno un peso sul mercato da 20 mila miliardi di euro della finanza in senso lato europea che è molto superiore a quello che le stesse hanno nell’aggregato creditizio in senso stretto nell’ambito degli stessi confini geografici, una perdita derivante da quella che il comunicato ufficiale di Socgen definisce una frode ai suoi danni messa in atto da un singolo trentenne operatore, che la stampa individua in Jerome Kervial, dipendente di Socgen dal 2002 e che ora sarebbe latitante, e che ha portato al licenziamento del diretto responsabile ed a quello che è stato definito come il prossimo allontanamento di coloro che erano tenuti a controllarlo.
Nello stesso scarno comunicato, Socgen, rende noto che la banca chiederà al mercato nuovi capitali per 5,5 miliardi di euro (8,02 miliardi di dollari) e che il consiglio di amministrazione ha respinto le dimissioni prontamente presentate dal presidente ed amministratore delegato, Daniel Bouton, rendendo altresì noto che la cosa andava avanti da tempo, ma che è stata scoperta solo lo scorso week end, grazie anche alle pronte chiusure effettuate dal giovane operatore proprio a seguito della volatilità estrema presente venerdì sui mercati azionari statunitensi sui quali operava tramite futures per ammontari nozionali che, ripeto, non sono stati precisati da Socgen.
La notizia è giunta come una bomba sul World Economic Forum riunito a Davos in Svizzera, dove erano presenti anche membri del governo francese e banchieri di peso di quel paese, oltre ovviamente ad una folta platea di banchieri, economisti e ministri dell'economia di ogni parte del mondo, ed è proprio da Davos che sono giunti i primi, autorevoli, dubbi sulla versione fornita dal quartier generale della banca francese, mentre le ormai pronte società di rating hanno annunciato di aver messo sotto osservazione negativa Societé Generale.
Un più che soddisfatto Henry Paulson, l’ex numero uno di Goldman Sachs e, pro tempore, ministro del Tesoro USA, ha accolto in pieno le modifiche che rendono molto più tempestivo ed efficace il suo piano di fiscal restore, eliminando quell’impostazione reaganiana che tendeva a favorire oltremodo e in modo indiscriminato le imprese e che, per quanto riguarda le famiglie, non teneva conto del numero dei figli, né dava priorità nell’erogazione alle situazioni di maggiore bisogno, così come deve essere stata musica per le sue orecchie l’ampliamento delle possibilità di intervento delle due disastrate entità semipubbliche operanti nell’ancor più disastrato settore del mortgage.
Restano tutti i dubbi espressi un po’ da ogni parte sulla possibile efficacia dell'intervento sul piano non secondario del rilancio dei consumi, in quanto, secondo i primi sondaggi, la maggioranza dei contribuenti beneficiati sarebbe orientata ad utilizzare le somme ricevute dal governo per ridurre il crescente indebitamento, in particolare la parte di esso legata all’utilizzo delle carte di credito revolving, ma non vi è dubbio che, almeno nella formulazione rivista dal Congresso, il piano di fiscal restore potrebbe esercitare un non disprezzabile effetto psicologico sui sempre più inquieti consumatori statunitensi, che, è bene ricordarlo, sono sempre i consumatori più consumatori dell’intero pianeta ed anche i più sensibili alle lusinghe scintillanti dei prodotti superflui.
Sulla velocità dell’intesa bipartisan e sull’accettazione da parte della amministrazione Bush di un vero e proprio stravolgimento della filosofia iniziale del piano hanno certamente pesato i dati diffusi ieri sull’andamento delle vendite delle case esistenti nell’intero 2007, una flessione che, nel caso delle case indipendenti così care al modello americano, ha toccato il 13 per cento, la peggiore flessione dal -17,7 per cento del 1982, ed una flessione del prezzo mediano (badate bene non medio) dell’1,8 per cento che pone tale prezzo a 217 mila dollari, una flessione che non si verificava da ben quaranta anni, per l’esattezza dal lontanissimo 1968.
E’ solo il caso di ricordare di sfuggita che l’attività edilizia ha un peso molto significativo sulla crescita complessiva dell’economia statunitense e che svolge un ruolo fondamentale nel dato aggregato dell’occupazione, così come sono noti i riflessi del valore del patrimonio immobiliare e del relativo servizio del debito su quei consumi delle famiglie e dei singoli individui che pesano in modo assolutamente preponderante sul PIL statunitense e sulle aspettative di esportazione dei paesi asiatici e di quei paesi arabi che fanno la parte del leone nelle esportazioni di prodotti petroliferi.
Venendo alle questioni più attinenti alla crisi finanziaria in corso, non vi è dubbio che anche la giornata di ieri sui mercati posti sia al di qua che al di là dell’Oceano Atlantico ha dato il suo contributo a quell’aumento ormai costante della volatilità che, se fa la felicità degli hedge fund (è di questi giorni la costituzione, da parte della solita Goldman Sachs, di un mega hedge da 7 miliardi di dollari), anche se dagli indici la volatilità si è trasferito sulle quotazioni di singoli titoli, in particolare su quelli delle due assicurazioni monoline ormai da molte sedute nella tempesta e che hanno ieri pagato un pesante pegno all’allungamento dei tempi per un’eventuale ma molto improbabile piano di salvataggio delle stesse che, è bene ricordarlo, sono specializzate nel garantire le emissioni obbligazionarie di ogni specie e natura, incluse, ovviamente, quelle definite come facenti parte della finanza strutturata, dagli LBO ai CDO e quant’altro hanno partorito le fervide e prolifiche menti degli addetti alle cosiddette fabbriche prodotto delle banche globali.
Oltre alle minori probabilità di un piano di salvataggio, MBIA e, ancor di più, Ambac, hanno sofferto per il brusco downgrade subito dalla loro concorrente Security Capital Assurance, “decapitata” da Fitch che ha portato il rating da AAA ad una solitaria ed un po’ desolata A, ricordo che senza la tripla A o giudizio equivalente è di fatto impossibile operre in questo settore e che Ambac è stata da poco degradata ad AA e la controllata Ambac Financial ha ormai una sola A.
Ma la vera notizia del giorno è quella della forte perdita di 7,14 miliardi di dollari su un volume sottostante non meglio precisato annunciata da Société Générale, uno dei due colossi francesi del credito, entrambi molto attivi nel settore della finanza strutturata e che hanno un peso sul mercato da 20 mila miliardi di euro della finanza in senso lato europea che è molto superiore a quello che le stesse hanno nell’aggregato creditizio in senso stretto nell’ambito degli stessi confini geografici, una perdita derivante da quella che il comunicato ufficiale di Socgen definisce una frode ai suoi danni messa in atto da un singolo trentenne operatore, che la stampa individua in Jerome Kervial, dipendente di Socgen dal 2002 e che ora sarebbe latitante, e che ha portato al licenziamento del diretto responsabile ed a quello che è stato definito come il prossimo allontanamento di coloro che erano tenuti a controllarlo.
Nello stesso scarno comunicato, Socgen, rende noto che la banca chiederà al mercato nuovi capitali per 5,5 miliardi di euro (8,02 miliardi di dollari) e che il consiglio di amministrazione ha respinto le dimissioni prontamente presentate dal presidente ed amministratore delegato, Daniel Bouton, rendendo altresì noto che la cosa andava avanti da tempo, ma che è stata scoperta solo lo scorso week end, grazie anche alle pronte chiusure effettuate dal giovane operatore proprio a seguito della volatilità estrema presente venerdì sui mercati azionari statunitensi sui quali operava tramite futures per ammontari nozionali che, ripeto, non sono stati precisati da Socgen.
La notizia è giunta come una bomba sul World Economic Forum riunito a Davos in Svizzera, dove erano presenti anche membri del governo francese e banchieri di peso di quel paese, oltre ovviamente ad una folta platea di banchieri, economisti e ministri dell'economia di ogni parte del mondo, ed è proprio da Davos che sono giunti i primi, autorevoli, dubbi sulla versione fornita dal quartier generale della banca francese, mentre le ormai pronte società di rating hanno annunciato di aver messo sotto osservazione negativa Societé Generale.
Post scriptum
Come si premurano di ricordare oggi parecchi quotidiani, la truffa del trader solitario ricorda molto quella che venne perpretata ai danni della Barings, la cosiddetta banca della regina britannica, da Nick Leeson, e che era di "soli" 1,5 miliardi di dollari, sufficienti però a costringerla al fallimento ed alla cessione della stessa alla banca olandese Ing per il prezzo del tutto simbolico di ina sterlina; d'altro canto, le pronte reazioni della Banca di Francia e di due autorevoli esponenti del governo francese, nonché la ben nota attenzione di Nicholas Sarkozy per le vicende economiche, rendono più che probabile la rimessa in cantiere di quella fusione tra Socgen e BNP Paribas di cui tanto si era parlato in tempi non lontani, anche se ora le finalità dell'operazione sarebbero di tipo meno strategico e meno legati all'esigenza di creare un campione nazionale e, ove venisse realizzata, avrebbe più le caratteristiche di un bailout del tipo di quelli che stanno avvenendo nel mercato finanziario statunitense.
2 commenti:
Marco, una frase del tuo preferito si addice al momento ed al tuo Blog: "The market can remain irrational much longer than you can stay solvent"
(John Maynard Keynes)
SOC GEN: AVVOCATI BROKER, NON HA SOTTRATTO UN SOLO CENTESIMO
(ANSA-AFP) - ROMA, 27 GEN - Jerome Karviel, il broker
accusato da Societe' Generale per una maxi-frode, ''non ha
commesso nessuna scorrettezza e non ha sottratto un solo
centesimo ne' ha approfittato in nessuna maniera dei beni della
banca''. Lo hanno dichiarato all'agenzia France Press gli
avvocati del trader accusando la banca di volere sollevare un
polverone per distrarre l'opinione pubblica dalle perdite
accumulate verosimilmente a causa del fenomeno dei
subprime.(ANSA).
TU
27-GEN-08 20:01
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