L’ansia dei mercati per le sorti di due colossi dei rispettivi ma intrecciati settori, Countrywide leader dei mutui più o meno residenziali e MBIA il gigante delle assicurazioni specializzato nelle garanzie sempre più costose alle emissioni di bond di ogni tipo e natura, non è stata placata né dalle ferme smentite di Countrywide in relazione al rumor che la vorrebbe sulle soglie dell’ufficio giudiziario che potrebbe ammetterla alla protezione prevista dalla legge fallimentare, né tanto meno dal piano annunciato dalla pencolante MBIA, un piano volto a ad evitarle un forse letale abbassamento del rating da parte delle sempre più nervose S&P’s, Moody’s o Fitch.
Sono, le ultime giornate, molto faticose per le borse, in particolare per quelle made in USA, con volumi di scambio francamente strabilianti e movimenti di segno opposto nel corso della stessa seduta che non fanno che aumentare una volatilità che non si vedeva dallo scoppio della bolla delle azioni legate ad internet che provocò in pochi mesi il più che dimezzamento del Nasdaq dai livelli record raggiunti in precedenza, evento peraltro al quale la maggior parte degli esperti fa risalire la creazione di una bolla speculativa ancor più grossa che ha riguardato il boom del mercato immobiliare statunitense, ma anche di quello a livello più o meno planetario, un boom che ha avuto la sventura di incrociarsi con un’offerta finanziaria apparentemente senza limiti.
Come ci ricorda sempre Lambertow Dini, grande tifoso di una squadra di base ball di New York, quando il gioco si fa duro i duri entrano in campo e, a dimostrazione di questo profondo assunto, anche se con un po’ di ritardo, l’arrivo di Tony la Tigre al vertice della malandata Sally Mae inizia a dare i suoi frutti e l’azione riprende finalmente quota, grazie alla fama che il sessantottenne Anthony P. Terracciano si è meritatamente conquistato risanando una lunga sfilza di aziende di ogni dimensione, al che però mi chiedo se non sia il caso per il traballante Bush di licenziare Paulson e mettere al suo posto Tony the Tiger.
Parlando di Paulson, viene naturale ricordare che ormai anche la sua sempre rimpianta Goldman Sachs si è autorevolmente unita alla schiera di quelli che vedono la recessione se non già in corso, almeno certamente dietro l’angolo, anche se è un po’ curioso che, poco dopo la diffusione del report di Goldman nella giornata di mercoledì, una Wall Street che sembrava fatalmente destinata a ripetere il sell off di martedì ha ritrovato nelle ultime fasi di contrattazione uno scatto di reni che ha consentito agli indici di chiudere in territorio positivo ed anche in modo alquanto convincente.
D’altra parte, qualche ragione per esaminare in modo dietrologico le uscite pubbliche degli analisti della preveggente e fortunata Goldman gli operatori più smaliziati ce l’hanno, anche perché è ormai di dominio pubblico che, mentre tutto il mondo si strappava letteralmente di mano CDO, LBO, Commercial Papers e finanche gli orridi junk bonds, Goldman, grazie alle intuizioni di alcune tra le sue menti raffinatissime, girava le sue immense posizioni su questi strumenti con almeno dieci mesi di anticipo sul disastro, coprendo con derivati quello che non era possibile liquidare.
Lasciando per un attimo le vicende della finanza globale e ricordato che è sempre in voga il gioco preferito dall’estate in Europa e volto ad individuare la o le entità che resteranno con il cerino in mano, ritengo opportuno volgere l’attenzione a quanto sta accadendo in quel mercato finanziario italiano, o meglio in quel settore creditizio, che non smette di vivere i contraccolpi dell’ultima fase del processo di concentrazione, quella, per intenderci che ha dato vita all’acquisizione del San Paolo di Torino da parte di Banca Intesa e all’annessione di Capitalia da parte di Unicredit.
Non è un mistero per nessuno che entrambe le operazioni, a differenza di quelle che le hanno precedute ed, in particolare, a quelle che avevano dato vita a Unicredit ed Intesa attraverso un processo lento, difficile e molto laborioso, sono state il frutto di intese lampo tra i vertici, poi perfezionate in tempi estremamente rapidi dai rispettivi apparati, così come è largamente noto che si è trattato di operazioni favorite, da un lato, dal cambio al vertice della Banca d’Italia e, dall’altro, dall’intento condiviso di espellere azionisti stranieri sgraditi, sia da Intesa che dal San Paolo, o presumibilmente alle porte, come nel caso delle due entità che hanno dato luogo ad Unicredit Group.
Come segnalato quasi quotidianamente dagli atti e dalle parole di Mario Draghi, il giovane e innovatore Governatore che ha preso il posto di Antonio Fazio, le scelte in termini di governance che i due gruppi hanno adottato suscitano più di una perplessità se esaminate, come si dovrebbe, sotto il profilo dell’efficienza, dell’efficacia e, the last but not the least, sotto il profilo sostanziale dei requisiti di onorabilità e della assenza di impedimenti, requisiti sui quali stanno lavorando sia il Governatore che il ministro dell’Economia, mentre, per quanto riguarda la nomina derivata in Mediobanca, Draghi ha già efficacemente operato mediante espliciti e condivisibili atti.
Ma il problema del giorno è legato all’approccio decisionista e insofferente di vincoli di qualsivoglia natura che caratterizza l’ex golden boy della finanza italiana, Alessandro Profumo, in quanto, a fronte dell’annosa questione della relativa autonomia goduta dal Banco di Sicilia nei lunghi anni di dominio assoluto di Cesare Geronzi sulla controllante Capitalia, deve avere pensato che era possibile per lui quello che era stato impedito all’anziano e plurinquisito banchiere romano.
Pur trovando un po’ eccessivi i titoli che si richiamano a quella rivolta avvenuta in tempi lontanissimi e che prese il nome di Vespri siciliani, sono altresì convinto che l’approccio seguito dai piemontesi del San Paolo e avallato dal duo Bazoli-Passera, sia molto più pagante nel medio e lungo termine di quanto possa esserlo l’approccio sbrigativo e decisionista del banchiere ligure, anche se comprendo bene i motivi del nervosismo che regna al vertice di Piazza Cordusio, anche a seguito degli effetti che la crisi finanziaria sta avendo su un gruppo che ha fatto in passato la scelta di essere un player della finanza molto più aggressivo di quanto lo siano stati gli altri gruppi creditizi italiani, con il doloroso corollario della massiccia vendita dei derivati alla clientela dei segmenti imprese e pubblica amministrazione.
La vicenda degli arresti eccellenti alla Banca Assett di San Marino, ancora pressoché ignorata dalla stampa, ha portato alle dimissioni del Governatore della locale banca centrale (sic).
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