L’uscita del CEO di Bear Stearns anticipata nella puntata di ieri si è trasformata in poche ore in una notizia confermata e l’avvicendamento con il saggio senior di Bear è avvenuta nella giornata peggiore vissuta dalle banche e le altre entità del mercato finanziario statunitense dall’inizio di questa lunga e travagliata crisi finanziaria, basti pensare che anche dopo l’arrivo di Tony The Tiger alla guida di Sallie Mae, l’azione di quest’ultima, pur brillando nel disastro generale per il solo fatto di avere il segno più, non ha registrato l’exploit che sarebbe stato lecito attendersi alla luce della meritata fama acquisita dall’anziano uomo d’affari Anthony P. Terracciano.
La giornata si era già aperta alquanto male con la diffusione di voci sul possibile ricorso di Countrywide, incontrastata numero uno nel settore dei mutui residenziali statunitensi, alla protezione offerta dalla legge fallimentare USA, notizia che ha portato ad una sospensione al ribasso dell’azione che, come ricordavo ieri, già si situava a livelli di oltre l’80 per cento inferiori ai massimi di inizio anno, ma che, dopo un tentativo abortito di rimbalzo, ha chiuso la giornata in flessione di oltre il 28 per cento a 5 dollari e 47 centesimi, per poi flettere ancora nell’after hours e realizzando volumi di scambio record.
La sola idea che anche Countrywide, come altre decine di entità del settore, potesse mettersi al riparo dalle richieste dei creditori ha rappresentato un vero e proprio terremoto per l’intero settore finanziario, con conseguenze che si sono sparse a macchia d’olio su tutti i mercati azionari europei ancora aperti e con pesanti ripercussioni sulle compagnie di assicurazione specializzate nel fornire garanzie alle emissioni di bond a carattere più o meno strutturato, ad esempio il colosso MBIA che ha perso oltre il 20 per cento in una sola seduta di contrattazione.
Dalla tempesta non si sono salvati nemmeno i cosiddetti safe heavens, quei porti sicuri come Goldman Sachs che chiude con il segno meno dal primo giorno di contrattazioni del 2008 e la stessa J.P. Morgan-Chase, una banca che ha sinora dimostrato di essere tra le migliori nella gestione di quei rischi ai quali sono particolarmente esposte tante delle sue concorrenti, mentre per Citigroup non si è trattato che di uno dei tanti bagni di sangue che hanno portato ai continui downgrade e l’azione a collocarsi a livelli del 50 per cento inferiori a quelli toccati in quei primi mesi del 2007 che sembrano ormai lontani molti anni luce, per non parlare di Fannie Mae e Freddie Mac, i due colossi semi pubblici indispensabili per il funzionamento per quel mercato dei mutui che vanta, nei soli Stati Uniti d’America, uno stock di 2.500 miliardi di dollari.
Le ulteriori brutte notizie provenienti dal settore immobiliare USA non sono quasi state prese in esame dagli operatori, ormai convinti che, in uno scenario che acquisisce ogni giorno che passa le sembianze di una recessione che nessuno può ragionevolmente sapere quanto durerà e quale sarà la sua profondità, è meglio alleggerire le posizioni e mettersi prudentemente alla finestra aspettando che termini, impiegando, al più, il tempo a fare il conto dei morti e dei feriti, dei CEO e Chairman che escono e di quelli che entrano, anche perché è ormai chiaro che anche le poche o tante volpi esistenti nel mercato finanziario globale stanno seriamente rischiando di essere travolte dalla stessa valanga che hanno in buona parte avviato con le loro mosse preveggenti e anticipatorie, su alcune delle quali, peraltro, è più che prevedibile che si appunterà l’attenzione di inquirenti e autorità di vigilanza.
Se fossi negli inquilini dei piani alti di Wall Street e dintorni, presterei maggiore attenzione alle parole pronunciate nei loro discorsi dai due principali competitor alla nomination del partito democratico per la corsa alla Casa Bianca, in quanto, sia Hillary Clinton che Barak Obama stanno ripetendo come fosse un mantra l’attacco ai comportamenti delle corporations e delle banche americane, per sette anni tutelate nei loro interessi dall’attuale inquilino della Casa Bianca, un appoggio che non è venuto meno neppure di fronte al vero e proprio disastro in corso nel mercato immobiliare e alla vera e propria strage di posti di lavoro che non farà che rendere più acuta la recessione prossima ventura.
Se pensate che tutti questi sono problemi dell’America e degli americani, non avete compreso fino in fondo i concetti di globalizzazione e interconnessione che, pur veri in tutti gli ambiti dell’attività umana, assumono un carattere di vera e propria istantaneità nel mercato finanziario detto, appunto, globale, con il paradosso solo apparente che le tre banche tecnicamente fallite sono basate due in Germania e una in Gran Bretagna e, tutte e tre, sono andate in dissesto nelle prime settimane, se non nei primi giorni, successivi all’ormai celebre 9 agosto del 2007.
Il problema, tuttavia, è rappresentato dal fatto che molti analisti e liberi pensatori sono convinti che, restando nell’ambito europeo, qualcuno stia ancora menando il can per l’aia, con l’aggravante che i loro sospetti non sono concentrati su piccole o medie entità come quelle che sono state salvate o per le quali è ancora in corso il salvataggio, ma che si tratti di protagoniste che vantano una quota significativa di quel mercato da 20 mila miliardi rappresentato dai vari prodotti della finanza, un’ipotesi che vorrei essere in grado di escludere, alla luce delle conseguenze inimmaginabili che avrebbe il default anche solo di una di esse, ma che la vera e propria cortina fumogena esistente da mesi e le insidie degli off balance sheet non consentono né a me né, credo, a nessun altro di poter escludere in buona fede.
Venendo alle piccole questioni italiane, posso solo dire che vi è grande confusione sotto il cielo ma che, non per questo, la situazione è eccellente, anche perché ai problemi legati all’integrazione nei due maggiori gruppi creditizi delle banche acquisite da poco o tanto tempo (basti pensare ai dolori siciliani di Alessandro Profumo), si aggiungono le preoccupazioni di Corrado Passera che non se la sente proprio di rinunciare ad un rilancio su Alitalia in funzione antifrancese, ma nicchia sull’imprescindibile esigenza di mettere sul piatto i soldi, e tanti, necessari, per non parlare del surmenage cui sono sottoposti gli esperti ispettori della Banca d’Italia che sono chiamati a scandagliare nelle banche alla ricerca della verità sui derivati o sui problemi di governance che riguardano anche le banche più popolari.
A quattro giorni di distanza dal lancio dell’ANSA sugli arresti di dieci dirigenti ed amministratori della Banca Assett di San Marino e della sua controllata banca romagnola, continuo a segnalare l’assordante silenzio dei maggiori mezzi di informazione, aggravato dal fatto che la vicenda si è incrociata con un grave fatto di cronaca che ha visto il sequestro a scopo di rapina di un malcapitato frequentatore dello sportello romagnolo e che peraltro non era nemmeno cliente della banca, vicenda accaduta a fine dicembre e che ha avuto ben altro risalto su tutta la stampa e sui tele e radiogiornali.
La giornata si era già aperta alquanto male con la diffusione di voci sul possibile ricorso di Countrywide, incontrastata numero uno nel settore dei mutui residenziali statunitensi, alla protezione offerta dalla legge fallimentare USA, notizia che ha portato ad una sospensione al ribasso dell’azione che, come ricordavo ieri, già si situava a livelli di oltre l’80 per cento inferiori ai massimi di inizio anno, ma che, dopo un tentativo abortito di rimbalzo, ha chiuso la giornata in flessione di oltre il 28 per cento a 5 dollari e 47 centesimi, per poi flettere ancora nell’after hours e realizzando volumi di scambio record.
La sola idea che anche Countrywide, come altre decine di entità del settore, potesse mettersi al riparo dalle richieste dei creditori ha rappresentato un vero e proprio terremoto per l’intero settore finanziario, con conseguenze che si sono sparse a macchia d’olio su tutti i mercati azionari europei ancora aperti e con pesanti ripercussioni sulle compagnie di assicurazione specializzate nel fornire garanzie alle emissioni di bond a carattere più o meno strutturato, ad esempio il colosso MBIA che ha perso oltre il 20 per cento in una sola seduta di contrattazione.
Dalla tempesta non si sono salvati nemmeno i cosiddetti safe heavens, quei porti sicuri come Goldman Sachs che chiude con il segno meno dal primo giorno di contrattazioni del 2008 e la stessa J.P. Morgan-Chase, una banca che ha sinora dimostrato di essere tra le migliori nella gestione di quei rischi ai quali sono particolarmente esposte tante delle sue concorrenti, mentre per Citigroup non si è trattato che di uno dei tanti bagni di sangue che hanno portato ai continui downgrade e l’azione a collocarsi a livelli del 50 per cento inferiori a quelli toccati in quei primi mesi del 2007 che sembrano ormai lontani molti anni luce, per non parlare di Fannie Mae e Freddie Mac, i due colossi semi pubblici indispensabili per il funzionamento per quel mercato dei mutui che vanta, nei soli Stati Uniti d’America, uno stock di 2.500 miliardi di dollari.
Le ulteriori brutte notizie provenienti dal settore immobiliare USA non sono quasi state prese in esame dagli operatori, ormai convinti che, in uno scenario che acquisisce ogni giorno che passa le sembianze di una recessione che nessuno può ragionevolmente sapere quanto durerà e quale sarà la sua profondità, è meglio alleggerire le posizioni e mettersi prudentemente alla finestra aspettando che termini, impiegando, al più, il tempo a fare il conto dei morti e dei feriti, dei CEO e Chairman che escono e di quelli che entrano, anche perché è ormai chiaro che anche le poche o tante volpi esistenti nel mercato finanziario globale stanno seriamente rischiando di essere travolte dalla stessa valanga che hanno in buona parte avviato con le loro mosse preveggenti e anticipatorie, su alcune delle quali, peraltro, è più che prevedibile che si appunterà l’attenzione di inquirenti e autorità di vigilanza.
Se fossi negli inquilini dei piani alti di Wall Street e dintorni, presterei maggiore attenzione alle parole pronunciate nei loro discorsi dai due principali competitor alla nomination del partito democratico per la corsa alla Casa Bianca, in quanto, sia Hillary Clinton che Barak Obama stanno ripetendo come fosse un mantra l’attacco ai comportamenti delle corporations e delle banche americane, per sette anni tutelate nei loro interessi dall’attuale inquilino della Casa Bianca, un appoggio che non è venuto meno neppure di fronte al vero e proprio disastro in corso nel mercato immobiliare e alla vera e propria strage di posti di lavoro che non farà che rendere più acuta la recessione prossima ventura.
Se pensate che tutti questi sono problemi dell’America e degli americani, non avete compreso fino in fondo i concetti di globalizzazione e interconnessione che, pur veri in tutti gli ambiti dell’attività umana, assumono un carattere di vera e propria istantaneità nel mercato finanziario detto, appunto, globale, con il paradosso solo apparente che le tre banche tecnicamente fallite sono basate due in Germania e una in Gran Bretagna e, tutte e tre, sono andate in dissesto nelle prime settimane, se non nei primi giorni, successivi all’ormai celebre 9 agosto del 2007.
Il problema, tuttavia, è rappresentato dal fatto che molti analisti e liberi pensatori sono convinti che, restando nell’ambito europeo, qualcuno stia ancora menando il can per l’aia, con l’aggravante che i loro sospetti non sono concentrati su piccole o medie entità come quelle che sono state salvate o per le quali è ancora in corso il salvataggio, ma che si tratti di protagoniste che vantano una quota significativa di quel mercato da 20 mila miliardi rappresentato dai vari prodotti della finanza, un’ipotesi che vorrei essere in grado di escludere, alla luce delle conseguenze inimmaginabili che avrebbe il default anche solo di una di esse, ma che la vera e propria cortina fumogena esistente da mesi e le insidie degli off balance sheet non consentono né a me né, credo, a nessun altro di poter escludere in buona fede.
Venendo alle piccole questioni italiane, posso solo dire che vi è grande confusione sotto il cielo ma che, non per questo, la situazione è eccellente, anche perché ai problemi legati all’integrazione nei due maggiori gruppi creditizi delle banche acquisite da poco o tanto tempo (basti pensare ai dolori siciliani di Alessandro Profumo), si aggiungono le preoccupazioni di Corrado Passera che non se la sente proprio di rinunciare ad un rilancio su Alitalia in funzione antifrancese, ma nicchia sull’imprescindibile esigenza di mettere sul piatto i soldi, e tanti, necessari, per non parlare del surmenage cui sono sottoposti gli esperti ispettori della Banca d’Italia che sono chiamati a scandagliare nelle banche alla ricerca della verità sui derivati o sui problemi di governance che riguardano anche le banche più popolari.
A quattro giorni di distanza dal lancio dell’ANSA sugli arresti di dieci dirigenti ed amministratori della Banca Assett di San Marino e della sua controllata banca romagnola, continuo a segnalare l’assordante silenzio dei maggiori mezzi di informazione, aggravato dal fatto che la vicenda si è incrociata con un grave fatto di cronaca che ha visto il sequestro a scopo di rapina di un malcapitato frequentatore dello sportello romagnolo e che peraltro non era nemmeno cliente della banca, vicenda accaduta a fine dicembre e che ha avuto ben altro risalto su tutta la stampa e sui tele e radiogiornali.
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