La notizia resa nota dalla Banca d’Italia sulla abnorme crescita delle sofferenze legate ai mutui ed ai prestiti bancari alle famiglie rappresenta né più né meno la conferma del grido di allarme lanciato in questi mesi da tutte, o quasi, le associazioni dei consumatori e risparmiatori che segnalavano il forte aumento delle procedure giudiziali mosse dalle banche e dalle finanziarie nei confronti delle famiglie in ritardo con il pagamento delle rate del mutuo, procedure caratterizzate nei mesi presi a riferimento da incrementi vicini al 20 per cento rispetto allo steso periodo del 2006.
In uno scenario che vede un costo dei mutui italiani, sia a tasso fisso che variabile, di un punto percentuale circa superiore a quello praticato in media nell’area dell’euro, un innalzamento dei tassi interbancari euribor legato alla forte crisi di liquidità in corso e che ha visto in dicembre l’euribor ad un mese e a tre mesi (le scadenze più utilizzate nelle indicizzazioni) portarsi anche al di sopra del 5 per cento ed il ricorso sempre più massiccio alle varie forme di indebitamento alle quali le famiglie possono ricorrere, non vi è dubbio che il più 8,5 per cento segnalato, che porta il totale delle sofferenze a ben 11,3 miliardi di euro, rappresenta un dato allarmante,anche perché siamo di fronte ad una crescita che supera di poco meno di tre volte quella relativa alle sofferenze dell’intero settore privato.
E’ necessario, tuttavia, fare un passo indietro e vedere lo stato dell’arte nel credito al consumo, un fenomeno che è destinato ad avere un ruolo sempre più crescente nell’ambito di quel processo ormai inarrestabile di finanziarizzazione, un processo che punta a trasformare in un’attività o passività finanziaria anche le più semplici azioni economiche che caratterizzano la vita quotidiana, ed è in questo processo che si inserisce il crescente ricorso delle famiglie italiane all’indebitamento nei confronti delle banche o delle finanziarie a fronte dell’acquisto di beni durevoli e non durevoli, per sostenere il costo di cure mediche, per le vacanze, per prestiti personali non finalizzati o mediante la cessione del quinto dello stipendio.
La coesistenza di una ricchezza finanziaria delle famiglie cifrabile nell’ordine delle migliaia di miliardi di euro e della quasi triplicazione dell’indebitamento delle famiglie stesse fornisce un’indicazione indiretta dell’aumento della sperequazione nella distribuzione del reddito e dei suoi effetti sul patrimonio che va ad aggiungersi ai risultati delle numerose indagini sulle nuove forme di povertà.
A fronte di una crescita complessiva dell’indebitamento delle famiglie che è più che raddoppiato nel periodo che va dal dicembre del 1999 agli ultimi dati disponibili, si registra, per il comparto genericamente definito del credito al consumo, una crescita di circa tre volte il dato del 1999 e che è solo di poco inferiore alla crescita dei mutui spinti dal più forte ribasso dei tassi dal secondo dopoguerra, fenomeno che si è ormai arrestato ed ha poi invertito la tendenza da almeno due anni e che sta avendo effetti micidiali sui mutui a tasso variabile.
Nell’ambito del credito al consumo, è preoccupante il ruolo sempre più crescente che stanno assumendo i prestiti personali e le carte di credito revolving (quelle che prevedono la restituzione rateale dell’importo dovuto), mentre è adirittura inquietante, la rapida crescita dell’indebitamento a fronte della cessione del quinto dello stipendio, mentre è realtivamente molto più modesta la crescita dei finanziamenti finalizzati, quelli cioè che vengono erogati a fronte dell’acquisto di un’automobile, di un motociclo o di altri beni durevoli.
La particolarità italiana risiede nel fatto che ad erogare il credito al consumo nelle sue varie forme sono due categorie di soggetti: le banche e le società finanziarie, queste ultime a volte banche specializzate controllate da gruppi bancari; le quote di mercato complessive non sono così distanti, ma, per tipologia di prodotto, il discorso cambia, in quanto le banche sono prevalentemente presenti nel segmento dei prestiti personali e nelle carte di credito con restituzione rateale, mentre le società finanziarie operano in quasi solitudine nella cessione del quinto e sono largamente prevalenti nel credito al consumo.
Esistono, tra gli altri, quattro tipi di problemi posti dal crescente ricorso delle famiglie all’indebitamento per scopi diversi da quelli collegati all’acquisto di un’abitazione e sono rappresentati:
dall’assenza di limiti cogenti sul rischio di concentrazione di obbligazioni che la famiglia viene ad assumere accedendo alle diverse forme di finanziamento esistenti (mentre il mutuo viene concesso, in genere, solo se la rata non eccede una certa percentuale del reddito del richiedente), con seri rischi di default;
dalla diversità delle soglie di riferimento per la determinazione del tasso di usura tra banche e società finanziare, incluse le società finanziarie controllate da banche, per cui si giunge a tassi consentiti per determinate tipologie di prestiti elevatissimi ove si abbia come controparte una finanziaria;
dall’esplosione, su tutti i tipi di media, di forme di pubblicità che sarebbe un eufemismo definire ingannevoli e che, nel caso dei messaggi televisivi, forniscono informazioni distorte unite alla completa impossibilità di leggere distintamente i tan e i taeg relativi al finanziamento proposto;
dalla prassi prevalente che prevede l’esclusione delle varie spese a carico del contraente (quasi sempre rese obbligatorie, come quelle per la polizza assicurativa) dal calcolo del tasso effettivo sostenuto dal debitore.
Le prime misure pratiche che potrebbero essere presentate nelle sedi competenti riguardano, da un lato, il superamento dell’individuazione delle soglie di riferimento a seconda del soggetto erogante, per passare a soglie di riferimento riferite esclusivamente al prodotto, o, in alternativa, l’inclusione tra le banche di quelle società finanziarie possedute o controllate da banche.
La seconda misura è rappresentata dall’obbligo dell’inclusione di tutte le spese nel tasso effettivo, una terza riguarda obblighi di informazione del cliente più stringenti, mentre la quarta dovrebbe riguardare l’introduzione di regole più severe sulle informazioni pubblicitarie.
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