giovedì 3 gennaio 2008

Se le banche centrali fanno le pentole ma non i coperchi

Gli sforzi notevoli compiuti dalle banche centrali per evitare che lo scavalcamento della scadenza di fine anno si tramutasse in una nuova paralisi del mercato interbancario, i ripetuti interventi operati dalle stesse banche centrali a sostegno di un dollaro sempre meno in salute, le mani forti e i buy back sul mercato azionario, tutto questo non è stato sufficiente a poter dire che era “passata a nuttata”, tanto è vero che la prima seduta dell’anno sui mercati asiatici, su quelli europei ed ancor più negli Stati Uniti è stata contrassegnata da uno scroscio di vendite sull’azionario ed una correlativa forte ripresa dei corsi dei principali Government Bond.

Il sentimento del mercato era largamente negativo ancor prima che venisse diffuso dall’Institute for Supply Management il dato relativo all’indice manifatturiero in dicembre, che ha registrato un valore di 47,7 contro il 50,8 di novembre, con l’aggravante che, come è largamente noto, i valori posti al di sopra di 50 indicano espansione dell’attività, mentre i valori posti al di sotto di tale soglia indicano la tanto temuta ed esorcizzata contrazione del settore manifatturiero che, anche negli Stati Uniti dove è preponderante il peso del settore dei servizi, potrebbe aprire a breve una vera e propria fase di recessione dell’economia (ricordo che è definita tale quando si registra un valore negativo del PIL per almeno due trimestri consecutivi).

Neanche una microscopica (+0,1 per cento) ripresa della spesa per costruzioni in novembre è riuscita a risollevare gli animi depressi degli operatori, anche perché l’infima variazione del dato complessivo si è accompagnata, come accade ormai da 23 mesi, con una nuova e vistosa flessione della spesa per l’edilizia residenziale (-2,5 per cento) su base mensile, mentre il calo su base annua si colloca addirittura a -17,5 per cento, per un valore assoluto di 484,9 miliardi di dollari.

Non sfugge a nessuno il nesso esistente tra un calo dell’edilizia residenziale ai livelli più bassi degli ultimi venti anni, dopo una crescita ininterrotta durata un quinquennio, l’elevatissimo numero di espropri di abitazioni di mutuatari in ritardo sulle rate del mutuo, l’impennata dei volumi di indebitamento sulle carte di credito dovute in larga parte alle difficoltà nell’ottenere il solito rifinanziamento del mutuo ed il calo dell’attività manifatturiera che già prima dell’ISM era stato segnalato da numerose flessioni negli ordini di beni più o meno durevoli e da un Christmas Spending avaro come non si vedeva da tempi lontanissimi.

Auspicando una ristampa in tempi rapidi di Effetto domino di Mack Reynolds, un romanzo di fantascienza che appare sempre più come un libro di storia contemporanea, credo proprio che stiamo per assistere al cosiddetto effetto elastico, che è poi quello che segue normalmente a massicci, e spesso inutili, interventi distorsivi del mercato quali quelli sopra ricordati delle banche centrali, delle banche normali e di investimento e delle piccole, medie e grandi corporations statunitensi, interventi che, se non sono pertinenti, efficaci e compresi, generano di solito un’ondata di ritorno che spesso sommerge tutti tranne coloro che hanno cercato di mettersi contro vento.

Risparmio ai lettori il bollettino delle perdite spesso ingenti registrate oggi dai corsi azionari delle principali entità che popolano il mercato finanziario globale, per segnalare, invece, la nuova flessione generalizzata del dollaro, una flessione che sembra aprire la strada, anche in questo caso siamo in una situazione da copione, per nuovi assalti dei minimi storici registrati qualche settimana fa e a malapena contenuti dalle centinaia, forse migliaia di miliardi di diverse valute pregiate gettate letteralmente al vento, mentre sottolineo che in pochi settori dell’attività finanziaria, come in quello valutario, l’ondata di ritorno si presenta spesso nella forma di un vero e proprio Tsunami.

E’ doveroso, tuttavia, segnalare che, alle difficoltà crescenti di banche e compagnie impegnate nell’assicurazione dei titoli della finanza strutturata, si stanno sommando in maniera sempre più evidente le difficoltà di finanziamento incontrate dagli hedge fund, sensibili anche per gli organismi che fanno un uso più moderato dell’effetto leva ma letteralmente micidiali per quelli, la maggior parte, che ne fanno un uso aggressivo, restando ferme, per entrambe le tipologie, difficoltà legate al prezzo crescente di quella merce sempre più rara rappresentata dal credito.

Per non parlare del vero e proprio blocco del turnover dei finanziamenti ottenuti mediante l’emissione di carta di vario genere, un blocco che ha determinato non solo un drastico sfoltimento degli stock, ma anche un vero e proprio inaridimento di quei flussi che sino a poco tempo fa sembravano letteralmente inesauribili, il tutto complicato dal superamento dei livelli di guardia delle mase di titoli involontariamente detenuti dalle principali banche che operano nel mercato finanziario statunitense ed in quello globale.

L’abortito tentativo dello yen di tornare al di sopra della soglia dei 115 yen contro dollaro, con un test sempre più convinto verso il basso della soglia dei 110 yen, rappresenta un colpo quasi mortale per tutti i carry traders che avevano creduto, o erano stati costretti a credere, che le banche centrali sarebbero veramente riuscite a riportare il dollaro a livelli tali da sfidare le leggi che traggono alimento dai fondamentali del mercato, leggi inesorabili quasi quanto la ben nota legge di gravità.

Anche se è sempre vero quello che sostiene Rossella O’Hara, alla fine dello sterminato Via col vento, e cioè che”domani è un altro giorno”, non posso esimermi dal ritenere che la prima seduta dell’anno rappresenterà un punto importante nel grafico che, alla fine dei giochi, riprodurrà l’andamento della tempesta perfetta.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Blog interessante e contenuti di pregio.
Vi leggo senza difficoltà, grazie anche alla laurea in economia.
Tuttavia mi sono sempre occupato di marketing, mentre di finanza e di economia politica sono rimaste solo le basi.

Davanti ad uno scenario come quello attuale, non riesco a sviluppare una strategia di portafoglio per il fronteggiamento della crisi. Inutile rivolgermi ai consulenti finanziari che non vedono la realtà dei fatti, o fingono di non vederla, così vi scrivo per chiedervi un parere.

In particolare, ho una seconda abitazione di proprietà e devo decidere se venderla o tenerla.
Ai prezzi attuali e con la tassazione attuale, potrei venderla perdendo circa il 10% del suo valore.

Mi conviene tenere l'immobile o venderlo per detenere liquidità?

Da una parte posso scegliere di mantenere l'immobile.
Nessuno me lo puo' togliere, visto che non è gravato da mutui.
Tuttavia il mercato immobiliare vedrà molto probabilmente un tracollo nei prossimi mesi e perderebbe molto valore. Se mi trovassi nel bisogno di liquidità e volessi cederlo, resterei con un pugno di mosche in mano.

Dall'altra, detenere liquidità puo' essere ancora peggio a fronte di fiammate inflattive (che con il petrolio a 100 dollari al barile sono inevitabili).

Quale scelta potrebbe essere la più conveniente, o almeno quella che minimizza il rischio?

Grazie, cordialità

M.R.