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Mentre la decisione di dare vita all’avventura editoriale del Diario della crisi finanziaria è esclusivamente mia, mi sembra giusto confidare ai miei lettori, in particolare a quelli che mi stupiscono e un po’ commuovono per la loro assiduità, che molte delle valutazioni presenti nel testo sono anche il frutto di colloqui che sto avendo con le cosiddette ‘voci di dentro’, donne e uomini impegnati in prima linea nell’investment banking, un settore di attività che ho avuto il privilegio di conoscere personalmente, ma che non mi vede impegnato in prima persona sin dalla notte dell’euro nel maggio del 1998, una data che rappresenta lo spartiacque tra l’attività di economista della tesoreria in valuta e cambi di una importante banca italiana e l’impegno a tempo pieno come responsabile dell’ufficio studi e dell’ufficio stampa presso la segreteria nazionale della UILCA.
Da questi intensi e fecondi colloqui, ho avuto a volte la conferma di idee che mi ero autonomamente fatto, ma anche spunti di riflessione che, a volte istantaneamente, a volte più in là nel tempo, mi hanno consentito una visione diversa dei fenomeni evidenziati dalla tempesta perfetta, anche se, come opportunamente si scrive nella prefazione dei libri, al di là dell’immenso debito di riconoscenza che nutro nei confronti di queste persone preparate, gentili e disponibili, ogni responsabilità per quanto riportato nelle poco meno di 600 puntate del Diario della crisi finanziaria, errori compresi, resta ovviamente soltanto mia.
I lettori che hanno la bontà di ricordare il titolo e il contenuto della puntata di ieri, in larga misura deidcata ai poveri detentori di obbligazioni delle tecnicamente fallite General Motors e Chrysler, si sono trovati di fronte a un esempio di effetto ritardato di una di queste chiacchierate con un esperto, una persona di notevolissima preparazione e acume, il quale, alla domanda su come si esce da una situazione che vede assets problematici e rischi via Credit Default Swaps per una cifra stimabile in 150 mila miliardi di dollari, mi lasciò letteralmente basito, dicendomi con candore che tutto dipende da quanto varrà alla fine quel titolo della finanza più o meno strutturata, esattamente quello che è accaduto con i detentori di bonds GM o Chrysler che riceveranno soltanto una frazionale parte di quanto a suo tempo ‘prestato’ all’una o all’altra casa automobilistica a stelle e strisce!
Confesso che la portata di quella ‘rivelazione’ mi divenne chiara solo molto, ma molto più tardi quando ebbi modo di sentire il per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, dire più o meno le stesse cose, anche se in modo molto meno raffinato, intervenendo alla fortunata trasmissione televisiva di Fabio Fazio, “Che tempo che fa”, una trasmissione alla quale aveva partecipato poco negli anni precedenti, forse perché il cognome del conduttore gli ricordava troppo quello dell’omonimo Antonio, il ciociaro Governatore della Banca d’Italia per tredici anni che Giulio proprio non poteva soffrire, senza peraltro darsi pena di nascondere in alcun modo il suo pensiero né in patria, né quando entrambi erano presenti in importanti incontri e summit internazionali.
Credo sia utile spiegare i motivi alla base della mia così prolungata resistenza di fronte ad un’idea in fondo lapalissiana come quella espostami dall’esperto prima e dal ‘commercialista’ prestato alla politica poi, anche perché essa affonda le radici in una mia forse eccessiva fiducia nel ‘pacta servanda sunt’ o nella necessità intrinseca in un sistema finanziario evoluto di non compiere azioni distruttive allo stesso tempo della ricchezza e della fiducia che è, o almeno dovrebbe essere, cara ai decision makers e a quelle autorità monetarie che un tempo scrivevo con le iniziali maiuscole, ma per le quali si potrebbe ora utilizzare anche un diminutivo!
E’ vero, d’altra parte, che l’interposizione degli Stati e delle banche centrali nel mercato finanziario globale, spesso in sostituzione delle stesse banche universali, commerciali o più o meno globali riduce, e di molto, la necessità di stabilire o ristabilire un clima di fiducia da parte dei risparmiatori/investitori nelle istituzioni finanziarie, una circostanza che spiega anche la virulenza delle affermazioni molto pesanti con le quali leaders politici, banchieri centrali e regolatori di ogni ordine e grado hanno negli ultimi tempi bollato l’operato dei vertici delle diverse entità protagoniste del mercato finanziario globale, consapevoli come non possono che essere dopo aver trascorso buona parte dei fine settimana dell’ultimo anno e mezzo tra vertici e incontri che un ordinato esercizio dell’attività creditizia sarà possibile solo quando si saranno placati gli impetuosi venti della tempesta perfetta e si sarà ridotta almeno della metà l’entità della ‘carta’ attualmente in circolazione.
Non sono assolutamente in grado di intuire la percentuale di recupero che mediamente spetterà a quanti hanno commesso l’errore di investire le proprie ricchezze o i propri risparmi nei titoli rappresentativi del debito delle corporations, delle banche o degli altri soggetti emittenti, né, tanto meno, quanto recupereranno alla fine della fiera i detentori di titoli più o meno tossici della finanza strutturata, ma credo che sia assolutamente necessario che queste perdite non siano addossate alla collettività dei contribuenti, restando convinto della validità del più che noto detto che prevede che “chi rompe paga e i cocci sono suoi”!
Non posso finire questa puntata di ringraziamenti senza citare quegli interlocutori che mi hanno spinto a occuparmi di questioni legate agli aspetti geopolitici della crisi finanziaria e agli aspetti che potrebbero essere sommariamente definiti propri dell’intelligence strategica, questioni che assumono una rilevanza enorme quando si verifica un processo di distruzione di ricchezza di dimensioni inedite come quello prodotto non solo e non tanto dalla tempesta perfetta in corso oramai da oltre ventuno mesi, ma anche, e in misura certamente più incisiva, dalla gestione della stessa da parte dei governi e delle banche centrali!
Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo www.flipnews.org . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog
Mentre la decisione di dare vita all’avventura editoriale del Diario della crisi finanziaria è esclusivamente mia, mi sembra giusto confidare ai miei lettori, in particolare a quelli che mi stupiscono e un po’ commuovono per la loro assiduità, che molte delle valutazioni presenti nel testo sono anche il frutto di colloqui che sto avendo con le cosiddette ‘voci di dentro’, donne e uomini impegnati in prima linea nell’investment banking, un settore di attività che ho avuto il privilegio di conoscere personalmente, ma che non mi vede impegnato in prima persona sin dalla notte dell’euro nel maggio del 1998, una data che rappresenta lo spartiacque tra l’attività di economista della tesoreria in valuta e cambi di una importante banca italiana e l’impegno a tempo pieno come responsabile dell’ufficio studi e dell’ufficio stampa presso la segreteria nazionale della UILCA.
Da questi intensi e fecondi colloqui, ho avuto a volte la conferma di idee che mi ero autonomamente fatto, ma anche spunti di riflessione che, a volte istantaneamente, a volte più in là nel tempo, mi hanno consentito una visione diversa dei fenomeni evidenziati dalla tempesta perfetta, anche se, come opportunamente si scrive nella prefazione dei libri, al di là dell’immenso debito di riconoscenza che nutro nei confronti di queste persone preparate, gentili e disponibili, ogni responsabilità per quanto riportato nelle poco meno di 600 puntate del Diario della crisi finanziaria, errori compresi, resta ovviamente soltanto mia.
I lettori che hanno la bontà di ricordare il titolo e il contenuto della puntata di ieri, in larga misura deidcata ai poveri detentori di obbligazioni delle tecnicamente fallite General Motors e Chrysler, si sono trovati di fronte a un esempio di effetto ritardato di una di queste chiacchierate con un esperto, una persona di notevolissima preparazione e acume, il quale, alla domanda su come si esce da una situazione che vede assets problematici e rischi via Credit Default Swaps per una cifra stimabile in 150 mila miliardi di dollari, mi lasciò letteralmente basito, dicendomi con candore che tutto dipende da quanto varrà alla fine quel titolo della finanza più o meno strutturata, esattamente quello che è accaduto con i detentori di bonds GM o Chrysler che riceveranno soltanto una frazionale parte di quanto a suo tempo ‘prestato’ all’una o all’altra casa automobilistica a stelle e strisce!
Confesso che la portata di quella ‘rivelazione’ mi divenne chiara solo molto, ma molto più tardi quando ebbi modo di sentire il per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, dire più o meno le stesse cose, anche se in modo molto meno raffinato, intervenendo alla fortunata trasmissione televisiva di Fabio Fazio, “Che tempo che fa”, una trasmissione alla quale aveva partecipato poco negli anni precedenti, forse perché il cognome del conduttore gli ricordava troppo quello dell’omonimo Antonio, il ciociaro Governatore della Banca d’Italia per tredici anni che Giulio proprio non poteva soffrire, senza peraltro darsi pena di nascondere in alcun modo il suo pensiero né in patria, né quando entrambi erano presenti in importanti incontri e summit internazionali.
Credo sia utile spiegare i motivi alla base della mia così prolungata resistenza di fronte ad un’idea in fondo lapalissiana come quella espostami dall’esperto prima e dal ‘commercialista’ prestato alla politica poi, anche perché essa affonda le radici in una mia forse eccessiva fiducia nel ‘pacta servanda sunt’ o nella necessità intrinseca in un sistema finanziario evoluto di non compiere azioni distruttive allo stesso tempo della ricchezza e della fiducia che è, o almeno dovrebbe essere, cara ai decision makers e a quelle autorità monetarie che un tempo scrivevo con le iniziali maiuscole, ma per le quali si potrebbe ora utilizzare anche un diminutivo!
E’ vero, d’altra parte, che l’interposizione degli Stati e delle banche centrali nel mercato finanziario globale, spesso in sostituzione delle stesse banche universali, commerciali o più o meno globali riduce, e di molto, la necessità di stabilire o ristabilire un clima di fiducia da parte dei risparmiatori/investitori nelle istituzioni finanziarie, una circostanza che spiega anche la virulenza delle affermazioni molto pesanti con le quali leaders politici, banchieri centrali e regolatori di ogni ordine e grado hanno negli ultimi tempi bollato l’operato dei vertici delle diverse entità protagoniste del mercato finanziario globale, consapevoli come non possono che essere dopo aver trascorso buona parte dei fine settimana dell’ultimo anno e mezzo tra vertici e incontri che un ordinato esercizio dell’attività creditizia sarà possibile solo quando si saranno placati gli impetuosi venti della tempesta perfetta e si sarà ridotta almeno della metà l’entità della ‘carta’ attualmente in circolazione.
Non sono assolutamente in grado di intuire la percentuale di recupero che mediamente spetterà a quanti hanno commesso l’errore di investire le proprie ricchezze o i propri risparmi nei titoli rappresentativi del debito delle corporations, delle banche o degli altri soggetti emittenti, né, tanto meno, quanto recupereranno alla fine della fiera i detentori di titoli più o meno tossici della finanza strutturata, ma credo che sia assolutamente necessario che queste perdite non siano addossate alla collettività dei contribuenti, restando convinto della validità del più che noto detto che prevede che “chi rompe paga e i cocci sono suoi”!
Non posso finire questa puntata di ringraziamenti senza citare quegli interlocutori che mi hanno spinto a occuparmi di questioni legate agli aspetti geopolitici della crisi finanziaria e agli aspetti che potrebbero essere sommariamente definiti propri dell’intelligence strategica, questioni che assumono una rilevanza enorme quando si verifica un processo di distruzione di ricchezza di dimensioni inedite come quello prodotto non solo e non tanto dalla tempesta perfetta in corso oramai da oltre ventuno mesi, ma anche, e in misura certamente più incisiva, dalla gestione della stessa da parte dei governi e delle banche centrali!
Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo www.flipnews.org . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog