lunedì 20 aprile 2009

Con il passaggio dal mark to market al mark to fantasy, le banche USA rivedono l'utile!


E’ oramai pienamente iniziata la stagione delle trimestrali statunitensi riferite al primo trimestre di questo 2009, una stagione seguita in Europa solo da paesi come la Svizzera e la Gran Bretagna che prevedono un rilascio delle informazioni di bilancio tempestivo quasi come quello statunitense, mentre, almeno se rispetteranno la tradizione, le società quotate presenti in paesi come la Germania, l’Italia e la Spagna si prenderanno molto più tempo per informare gli analisti e il mercato dello stato dei rispettivi loro conti, che, in molti casi, non dovrebbero essere disponibili prima della metà di maggio.

Al di là delle differenze in termini di tempestività o meno dell’informazione societaria, acquisisce grande rilevanza il discorso sulle nuove previsioni in materia di rappresentazione contabile dei fatti di gestione adottate al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico, soprattutto in base alla recente decisione dell’ente federale che si occupa di stabilire i criteri contabili ai quali le società statunitensi, banche e compagnie di assicurazione ovviamente incluse, dovranno o potranno uniformarsi, quella, cioè, che prevede che si possa abbandonare la valutazione mark to market degli assets, titoli più o meno tossici della finanza strutturata inclusi, inaugurando così quel passaggio dal mark to market al mark to fantasy che tanto sta inquietando gli analisti specializzati e le stesse società di rating, che non sanno assolutamente a che santo votarsi per poter esprimere un giudizio appropriato sull’andamento delle società volta per volta da loro esaminate.

I primi risultati resi noti ufficialmente, o anticipati, dalle principali banche statunitensi stanno lì a confermare in pieno le preoccupazioni dei soggetti istituzionalmente chiamati a emettere le relative pagelle, in quanto l’inatteso, anche se generalmente modesto, flusso di profitti è in larga misura frutto di un vero e proprio balzo in avanti dei ricavi, non più gravati, come è avvenuto nei cinque trimestri precedenti, da massicce svalutazioni e relative messe a perdita legate allo squagliamento dei valori di mercato delle montagne di titoli ancora presenti, sopra o sotto la linea, nei bilanci delle entità protagoniste a vario titolo del mercato finanziario statunitense, che resta la costola essenziale del più vasto mercato finanziario globale.

All’occhio esperto e molto attento di un David Mayo di Deutsche Bank, ovviamente, non sfuggono simili trucci e inganni legalizzati, al punto di spingerlo a emettere un giudizio impietoso delle maggiori banche a carattere internazionale ben prima che venissero diffusi i primi dati trimestrali ufficiali, ma immediatamente dopo le inusuali esternazioni degli uomini posti al vertice di Citigroup, J.P. Morgan-Chase, Bank of America, che, ebbri di gioia dal risultato hobbistico conseguito spesso a suon di finanziamento a carico degli ignari contribuenti a stelle e strisce, non hanno proprio saputo o voluto attendere le date previste per le rispettive presentazioni, precipitandosi a commentare i progressi segnati nei primi due mesi dell’anno, con performance davvero degne di quelle messe in scena dai numeri uno di entità oramai defunte come Bear Stearns, Countrywide, Wachovia Bank, Merrill Lynch, Washington Mutual, in molti casi pochi giorni, se non poche ore, prima che le entità da loro guidate venissero salvate da qualche altra banca o, come nel caso di Lehman Brothers, lasciate miseramente fallire!

Ma esistono due grandi entità, fortunosamente salvate mediante apposita nazionalizzazione, che, ancor prima della licenza concessa dai regolatori, si esercitavano appieno nel gioco della sottostima delle svalutazioni e delle messe a perdita, entità che rispondono ai nomi di Fannie Mae e Freddie Mac e che svolgono un ruolo fondamentale e forse insostituibile in quel vastissimo mercato del mortgage a stelle e strisce che presenta uno stock di poco inferiore al prodotto interno lordo statunitense, entità che, peraltro, hanno portato in dote al Tesoro USA qualcosa come cinquemila miliardi di GSE, titoli ora finalmente equiparati, sotto il profilo della garanzia, ai mitici Treasury Bonds e che sono inoltre caratterizzati da un turn over trimestrale pari a qualche centinaia di miliardi di dollari, per non parlare poi di quella American International Group, meglio nota con l’acronimo AIG, che ha aperto una vera e propria voragine nei conti pubblici americani.

Una delle caratteristiche strutturali che da molti decenni affligge gli Stati Uniti d’America, quella dei cosiddetti deficit gemelli, quello commerciale e quello pubblico, ha, peraltro, creato le basi di una somiglianza sinistra con la famosa stagnazione ultradecennale dell’economia giapponese, che, oltre ad essere la rappresentazione reale dell’assunto keynesiano della trappola della liquidità, è anche lo scenario più verosimile per il futuro prossimo venturo dell’economia americana, una prospettiva che rende del tutto risibili i chiacchiericci attuali “sui segnali positivi che lasciano intravedere una possibile conclusione della tempesta perfetta”!

So bene che a questo caro di prefiche benaugurati si è unito, di recente, anche il per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, uno che per molti mesi si è divertito a fare il profeta di sciagure non meno di quanto lo abbia fatto il Dr. Doom e, nel mio piccolo, anche io, ma al quale qualche leader europeo, o lo stesso suo Capo, il per la terza volta presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, deve avere ricordato che non è un comportamento adatto ad un ministro del’economia e delle finanze di un paese più o meno importante dell’Occidente industrializzato quello di sparare a zero, un giorno sì e l’altro pure, sul Governatore della Banca d’Italia o sui responsabili delle altre banche centrali, sui banchieri, sugli assicuratori e sugli altri soggetti che svolgono un ruolo nel mercato finanziario più o meno globale.

Anche se apprezzo la conversione di Tremonti ad un ruolo maggiormente istituzionale, mi permetto di dire che lo trovavo più simpatico e convincente quando, a proposito dei banchieri centrali, utilizzava metafore come quella dei “topi posti a guardia del formaggio”.

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog