lunedì 13 aprile 2009

Sulle emissioni di titoli del debito pubblico e sul commercio internazionale siamo tornati al 'beggar my neighbour'!


Mentre la maggior parte dei mercati europei e Wall Street hanno osservato la pausa pasquale, quelli asiatici sono rimasti aperti venerdì e stamane professano un certo ottimismo per il nuovo piano di stimolo dell’economia giapponese per un equivalente di 150 miliardi di dollari, nonché per la forte ripresa dei finanziamenti da parte delle banche cinesi che, grazie al mega piano del governo cinese che si è impegnato a spendere poco meno di 600 miliardi di dollari, sono giunti in marzo al livello di 1.900 miliardi di yuan, pari a 279 miliardi di dollari.

Se non fosse stato clamorosamente interrotta da migliaia di dimostranti fedeli all’ex premier tailandese (che, successivamente, hanno dato l’assalto al ministero degli Interni), il numero uno del regime cinese aveva scelto la riunione di Pattaya per annunciare la decisione di istituire un fondo da 10 miliardi di dollari per finanziare le infrastrutture in Asia, una decisione che non dovrebbe essere mutata e che conferma la volontà del governo di Pechino di contendere al Giappone il ruolo di potenza regionale, un ruolo che, nel bene o nel male, le autorità cinesi stanno già esercitando in virtù della crescente potenza economica, ma soprattutto militare, di una immensa nazione che conta, peraltro, poco meno di un quarto dell’intera popolazione mondiale.

Non vi è dubbio alcuno sul fatto che, ancor più dell’area europea, quella asiatica stia subendo i maggiori contraccolpi della tempesta perfetta in corso oramai da oltre venti mesi e della conseguente recessione che sta colpendo i maggiori paesi industrializzati esterni all’area asiatica stessa e destinatari privilegiati di un flusso di esport che, mettendo assieme i flussi della Cina, del Giappone, della Corea del Sud e di Taiwan, è nell’ordine delle migliaia di dollari annui, un flusso nel quale la parte del leone è da tempo svolta dalla Cina, ma che vede ancora una rilevante quota giapponese e non marginali quote per gli altri due paesi citati, un flusso che ha consentito livelli di surplus commerciali che hanno infranto, anno dopo anno, i record precedenti e che hanno consentito l’accumulazione di riserve valutarie assolutamente superiori a quelle vantate dai paesi arabi esportatori di petrolio e che hanno reso questi paesi i maggiori creditori degli Stati Uniti d’America e detentori di una quota molto rilevante dei titoli rappresentativi del debito pubblico a stelle e strisce.

L’enorme aumento del disavanzo del deficit pubblico statunitense, giunto negli ultimi sei mesi a una cifra senza precedenti dalla fine del secondo conflitto mondiale e che, nell’intero anno fiscale, potrebbe superare i 1.500 miliardi di dollari, così come il quasi certo raddoppio dello stock del debito che, grazie anche al consolidamento degli ingentissimi debiti delle nazionalizzate entità principali protagoniste dell’un tempo florido settore del mortgage e degli elevatissimi rischi di AIG, potrebbe in tempi non molto lunghi superare il livello di 15 mila miliardi di dollari, al netto del deficit previdenziale e di quello delle amministrazioni locali, sono tutti elementi che porteranno a livelli altrettanto eccezionali di offerta di Treasury Bonds sia nel corso di quest’anno che del prossimo, un’offerta che per ora trova di fronte a sé buoni livelli di domanda legata alla disaffezione degli americani per il comparto azionario e per le emissioni obbligazionarie delle Corporations di ogni ordine e grado.

Il problema è rappresentato dal fatto che anche i paesi membri dell’Unione europea, così come la maggior parte dei paesi del pianeta, produrranno nel 2009 e nel 2010 flussi di titoli rappresentativi dei rispettivi debiti pubblici in quantità davvero industriali, emissioni che porteranno, peraltro, a un peggioramento generalizzato del livello del rapporto tra stock del debito e PIL, un peggioramento che avverrà sia per la forte crescita del numeratore che per la riduzione del denominatore, una tendenza che ha già portato i cosiddetti paesi virtuosi dell’Unione, quelli che presentavano, cioè, un rapporto compreso tra il 20 e il 30 per cento, a raggiungere d’un balzo il livello massimo previsto dal Trattato di Maastricht (60 per cento), quello dei paesi sostanzialmente in regola nettamente al di sopra, mentre è forte la preoccupazione sia all’interno che all’esterno del paese, per la evoluzione del rapporto tra stock del debito pubblico e PIL dell’Italia, un rapporto che, al momento, è tornato a quel poco meno del 106 per cento del 2005, il che significa che sono già stati annullati i lievi miglioramenti conseguiti a prezzo di quei gravi sacrifici che resero molto impopolare l’allora premier, Romano Prodi, ma ancor invisi furono l’allora ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, e il suo vice, con delega alle entrate, Vincenzo Visco!

Tra quantitativi in scadenza e richieste aggiuntive al mercato, la cifra delle emissioni dei principali paesi industrializzati potrebbe aggirarsi, nel biennio considerato, in un ordine complessivo compreso tra i 12 e i 18 mila miliardi di dollari, un livello davvero astronomico, ma che è del tutto in linea con l’attuale duration del debito e con gli impegni che i governi e le banche centrali hanno assunto negli ultimi mesi e che, al di qua e al di là dell’oceano Atlantico, sono quantificati in 12-15 mila miliardi di dollari, mentre nell’area asiatica si è oramai giunti ad una cifra che si aggira intorno ai 2 mila miliardi di dollari, in gran parte gravanti sulle spalle del governo cinese e di quello giapponese, cifre che non tengono conto dello sforzo eccezionale cui sono chiamati il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, nonché gli altri organismi similari esistenti in aree maggiormente localizzate.

Con notevole tempismo, sin dall’inizio del 2009, sono apparsi sulla stampa specializzata numerosi articoli che mettevano in guardia dalla spietata concorrenza prossima ventura tra i diversi soggetti pubblici emittenti, preoccupazioni ovviamente condite dalla giusta preoccupazione per l’evidente effetto di crowding out che un simile livello di emissioni di titoli pubblici avrebbe avuto sulle richieste di finanziamenti a medio e lungo termine provenienti da un settore privato già alle prese con un rilevante fenomeno di credit crunch e con un calo della domanda interna ed estera che ha certamente messo a dura prova le loro tesorerie interne!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nel sito dell’associazione FLIP all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog