martedì 14 aprile 2009

Lavori in corso ai piani alti del capitalismo a stelle e strisce!


Quella che sta andando in scena in questi giorni a Washington, è un particolare tipo di commedia legata alla ristrutturazione in corso ai piani alti della finanza e di quel che resta delle grande industria dopo il vorticoso processo di delocalizzazione di parte degli impianti dell’industria sporca e pesante verso paesi caratterizzati da legislazioni ambientali più accomodanti, nonché da un costo del lavoro molto più basso e una presenza sindacale molto, ma molto meno aggressiva di quella desistente negli Stati Uniti d’America, dove, almeno fino a qualche anno fa, nel settore dei trasporti, in quello dell’automobile, nel complesso militare-petrolifero, vigevano condizioni che un tempo sarebbero state definite da aristocrazia operaia, condizioni che mal si conciliano con il modello di globalizzazione che ha imperato fino a ventuno mesi fa e che è stato letteralmente squassato dai sempre più alti marosi della tempesta perfetta iniziata il 9 agosto del 2007.

Ovviamente, per dare il via al complesso processo di risistemazione del settore finanziario e di quello industriale a stelle e strisce era ed è necessario un deciso ricambio del personale politico e di governo, quale è quello che si è verificato nel novembre del 2008 con l’Election Day, un ricambio di facce, messaggi e mentalità che è ben incarnato dal nuovo e giovane inquilino della Casa Bianca, quel Barack Obama che rappresenta davvero quanto di più lontano si può immaginare rispetto all’ultimo rampollo della casata dei Bush, una dinastia avviata da quel Nathaniel che bazzicava con armi, petrolio e banche e servizi segreti sin dal conflitto con la Germania nazista, mentre il figlio, George Herbert Bush, aveva completato sia l’ascesa imprenditoriale che quella politica della famiglia, diventando prima il capo della Central Intelligence Agency, familiarmente chiamata The Firm, la ditta, per poi passare da vice presidente a presidente degli USA!

Ma altrettanto interessante è stata la parentesi durata otto anni tra la rivoluzione reaganiana e il ritorno di un altro Bush più giovane e opportunamente inesperto al vertice della grande nazione atlantica, quell’era clintoniana impersonata da un altro giovane pressoché sconosciuto Governatore del piccolo stato montuoso dell’Arkansas, Bill Clinton, appunto, uno che pochi conoscevano prima delle primarie del 1991-1992 che lo videro vittorioso proprio contro Bush Senior nel novembre del 1992, successo ampiamente replicato quattro anni più tardi, quando gli venne opposto uno sfidante repubblicano davvero di facciata!

Come ho avuto più volte modo di ripetere in diverse puntate del Diario della crisi finanziaria, pur nati con la cosiddetta rivoluzione economica messa in atto non del tutto casualmente da un ex attore di serie B del firmamento di Hollywood, i concomitanti processi di finanziarizzazione, globalizzazione e deregolamentazione selvaggia hanno vissuto un momento fondamentale quando i destini degli USA erano apparentemente affidate a un giovane di belle speranze, peraltro facilmente ricattabile per le sue numerose scappatelle sentimentali, anche perché, mentre il presidente era sotto il ricatto dell’impeachment da parte dell’agguerrita maggioranza repubblicana, i suoi due ministri del Tesoro, Robert Rubin prima e Larry Summers poi, picconavano allegramente quel Glass Steagall Act che impediva la nascita delle immense banche universali e rendeva meno agile l’operato di quelle Investment Banks, un tempo note come le Big Five, che ci hanno, sia le prime che le seconde, condotti dritti, dritti nella drammatica situazione in cui siamo.

Sarà un caso, ma l’ente federale che detta legge in materia di redazione dei bilanci delle banche, delle compagnie di assicurazione e delle maggiori corporations a stelle e strisce ha aspettato che Larry Summers prendesse la guida dei consiglieri economici del nuovo presidente per autorizzare le maggiori entità protagoniste del mercato finanziario statunitense a passare dal mark to market al mark to fantasy, un’operazione libera tutti che non era riuscita nemmeno all’ex (?) investment bunker, Hank Paulson che pure sapeva benissimo quanto una simile misura avrebbe potuto trarre d’impaccio i suoi ex (?) colleghi, ma che sapeva benissimo che, favorita dal trio Bush-Paulson-Bernspan, una simile misura avrebbe sollevato una vera e propria sollevazione popolare e che era necessario attendere un clima politico più favorevole per ottenere quello che i suoi amici ardentemente desideravano!

Fatto l’inganno, per via di regolamento e senza nemmeno il bisogno di una legge, è necessario ora dedicarsi a quella specie di intricabile guazzabuglio rappresentato dal settore automobilistico made in USA, un settore che ha visto svilupparsi l’attività finanziaria delle tre maggiori case, anche se la povera Chrysler è stata costretta a servirsi di quella GMAC che anche nel nome ricordava la propria fondatrice e, cioè, la General Motors, ma che ha anche visto il trionfo di un sindacalismo che ha portato il costo effettivo orario, incluso il salario differito e collaterale (previdenza e assistenza sanitaria), a livelli che hanno, insieme alle politiche davvero dissennate messe in atto dai pacatissimi vertici aziendali, le due società a pietre i finanziamenti pubblici, a differenza di quella Ford che, per motivi ancora non del tutto chiaro, ha osato fare il bel gesto di rifiutare i miliardi di dollari messi a disposizione da Bush alla fine dell’anno scorso.

Ebbene, mentre ancora non si sa se la Chrysler riuscirà a dribblare l’opposizione delle banche creditrici nei confronti dell’offerta di matrimonio senza dote fatta da quella FIAT che in America è sempre stata di casa ed è sempre stata ben vista dal fondatore della dinastia dei Rockfeller, è oramai certo che la General Motors, per salvarsi, verrà pilotato verso un percorso fallimentare che la vedrà, sul modello Alitalia, scindersi in una good e in una bad company, alla prima delle quali andranno gli impianti che si deciderà di salvare e quanto di buono c’è a Detroit e dintorni, mentre la seconda verrà fatta affondare, debiti, lavoratori in eccesso e quant’altro dentro, una divisione che non lascerà a bocca asciutta le banche, ma solo i piccoli creditori!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nel sito dell’associazione FLIP all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog