domenica 5 aprile 2009

Cosa si nasconde dietro l'abolizione del mark to market per valutare le attività finanziarie nei bilanci delle banche?


Inizia oggi il ventesimo mese del Diario della crisi finanziaria, una sorta di giornale di bordo della tempesta perfetta che aveva preso il via poco meno di un mese prima con il blocco totale della liquidità interbancaria che il 9 agosto costrinse un alquanto anonimo dirigente della Banca Centrale Europea a decidere, dopo frenetici contatti telefonici con i membri del Board tutti in vacanza, di immettere nel mercato una liquidità aggiuntiva pari a una volta e mezzo quella iniettata dopo i tragici fatti dell’11 settembre 2001, una decisione cui fecero immediatamente seguito analoghe mosse da parte del sistema della riserva federale statunitense e delle altre principali banche centrali.

Nel primo articolo del 4 settembre 2007, apparso in contemporanea sul sito della UILCA, sul quotidiano ondine Rosso di Sera e su Flipnews, mettevo in guardia dalle analisi superficiali e spesso embedded che, fatte salve poche e meritevoli eccezioni, circolavano sui media e venivano avvalorate dai governi e dalle banche centrali di mezzo mondo, ricordando l’analisi delle cause svolta sin dal 1998 nella mia qualità di responsabile dell’ufficio studi della UILCA, un analisi che vedeva nei concomitanti fenomeni della globalizzazione, della finanziarizzazione e, soprattutto, della deregolamentazione selvaggia le vere cause della proliferazione delle bolle speculative, alimentate da un effetto leva che giungeva, anche nelle banche universali, a valori superiori a 50, una miscela davvero esplosiva che aveva prodotto una montagna di dimensioni davvero mostruose di titoli della finanza più o meno strutturata, nonché di titoli a vario titolo rappresentativi del debito.

Pur avendo faticosamente cercato di fornire una stima di questa montagna che, inclusi i micidiali Credit Default Swaps, dovrebbe aggirarsi intorno a una cifra di non meno di 150 mila miliardi di dollari, pari, cioè, a tre volte il PIL, mondiale del 2007, sono rimasto veramente stupefatto vedendo nel web una piramide rovesciata il cui primo segmento era pari, appunto, a questa già di per sé enorme cifra, ma che riportava, nei segmenti inferiori, altre cifre che portano a un totale pari a decine di volte la ricchezza annualmente prodotta a livello planetario, una cifra assolutamente ingestibile attraverso interventi ordinari e che ben spiega l’attivismo di governi, banche centrali, organismi sovranazionali e delle principali entità protagoniste del mercato finanziario globale, tutti in vario modi consapevoli che questa montagna di carta rischia davvero di sommergerci tutti, poveri o ricchi, abitanti nei paesi maggiormente industrializzati o in luoghi ancora non raggiunti dall’elettricità!

Un segno evidente di questa ‘preoccupazione’ viene dalle decisioni del recente summit del G20/G21 che ho commentato nelle puntate pubblicate nei giorni scorsi, decisioni certamente importanti e, come nel caso della scottante questione dei paradisi fiscali, addirittura impensabili in tempi meno eccezionali di quelli che stiamo purtroppo vivendo, ma anche decisioni che non sono assolutamente all’altezza del problema che ho cercato di descrivere di sopra, decisioni, d’altra parte, prese proprio lo stesso giorno nel quale l’organismo statunitense che detta le regole contabili ha mandato letteralmente in soffitta il cosiddetto mark to market quale criterio obbligatorio per valutare il ‘valore’ delle attività finanziarie possedute da banche, compagnie di assicurazione, fondi pensione e fondi di investimento, hedge funds, divisioni finanziarie delle società industriali o delle utilities e chi più ne ha ne metta, consentendo agli amministratori di valutare questi presunti assets anche al loro valore facciale, ignorando, o fingendo di ignorare, che alcuni di questi titoli potrebbero essere venduti solo a un 10-20 per cento di tale valore, mentre per altri non è assolutamente possibile stabilire un prezzo, per il semplicissimo motivo che i relativi mercati sono del tutto congelati.

Posto che una delle cause principali della tempesta perfetta che sta per entrare pressoché a forza immutata, se non crescente, nel suo ventunesimo mese di vita è data proprio dal prolungato ‘sciopero degli investimenti’ da parte dei risparmiatori/investitori residenti all over the world, non vi è chi non intuisca che una simile misura, peraltro già anticipata nel summit del G20/G21 di metà ottobre del 2008, non consentirà più, nemmeno all’analista più sofisticato e munito della migliore strumentazione disponibile al momento, di esprimere un giudizio quantomeno attendibile sullo stato di salute, o di malattia, di nessuna delle entità menzionate di sopra, una situazione che rischia, peraltro, di rendere del tutto obsoleta qualsiasi decisione si vorrà prendere sulle tre principali agenzie di rating, deputate, tra l’altro, a valutare la qualità dei titoli più o meno complessi rappresentativi del debito.

Non voglio assolutamente sottovalutare il peso delle argomentazioni che militano a favore di tale decisione e che sono, in estrema sintesi, rappresentate dalla considerazione che applicare rigorosamente il mark to market quando il mercato è evaporato condurrebbe a mettere in conto perdite, e conseguenti svalutazioni, assolutamente esagerate rispetto ai prevedibili default sottostanti, un’argomentazione che venne molto utilizzata in Italia qualche decennio fa in occasione dello squagliamento del valore di mercato dei titoli di Stato di lunga durata e che portò alla decisione di consentire la creazione di una posta di bilancio nella quale inserire i cosiddetti titoli immobilizzati che le banche e le altre entità finanziarie si impegnavano a portare sino a scadenza, salvo richiedere alla Banca d’Italia e alla CONSOB, ove quotate, l’autorizzazione a vendere tutti o parte di questi titoli.

Per una strana coincidenza del destino, ero allora alle prese con le accurate dispense di una prestigiosa società di consulenza operante a livello globale sull’Assets & Liabilities Management che spiegavano con dovizia di particolari e chiari esempi numerici quanto fosse errato un simile comportamento apparentemente giudizioso, un ragionamento che allora mi convinse e che mi convince ancora di più alla luce dei trasparenti sforzi fatti in queste settimane dalla nuova amministrazione statunitense volti a spingere i possessori di bonds emessi da società di ogni ordine e grado ad accettare una dolorosa ristrutturazione dei titoli in loro possesso!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nel sito dell’associazione FLIP all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog