martedì 7 aprile 2009

Lo scandalo dei fondi neri di Larry Summers conferma il patto 'segreto' tra Obama e Big Finance!


Come era stato ampiamente previsto dalla sparuta pattuglia di analisti non embedded alle logiche di Big Finance, il rimbalzo del gatto morto è durato lo spazio di quattro settimane e si sta già infrangendo sugli alti marosi della tempesta perfetta che sta per entrare più forte che pria nel suo ventunesimo mese di vita, il che non deve destare eccessiva sorpresa, in quanto i nodi di fondo che ne hanno permesso l’avvio restano ancora bellamente sul tappeto, né vi è summit del G20/G21 che possa, almeno al momento, scioglierli.

D’altra parte, le notizie che erano giunte giovedì scorso dal dato sulla perdita massiccia di posti di lavoro nel settore privato e, il giorno successivo, da un drammatico dato sul Non Farm Payrolls nel mese di marzo, che non faceva altro che confermare la vera e propria falcidia di posti di lavoro che oramai copre quasi tutti i settori pubblici e privati dell’economia statunitense, con una perdita di 2 milioni di posti di lavoro solo negli ultimi tre mesi e di 4,5 milioni dal gennaio del 2008, non sono certo suonate come musica per i risparmiatori/investitori di quella grande nazione, così come dei loro omologhi basati negli altri paesi del pianeta.

L’ulteriore balzo in avanti del tasso di disoccupazione, passato dall’8,1 per cento di febbraio all’8,5 per cento di marzo, con il suo stock di 13 milioni di disoccupati, non rende che in parte la situazione del mercato del lavoro a stelle e strisce, che, sommando i cosiddetti scoraggiati e parametrando i part time a unità di lavoro equivalenti a tempo pieno, avrebbe, secondo stime molto attendibili, raggiunto un livello che oscilla tra il 15 e il 16 per cento, il che equivarrebbe a dire che le persone espulse dal processo produttivo a vario titolo sfiorano quasi la soglia dei 25 milioni di persone in carne e ossa, un dato davvero eccezionale per gli Stati Uniti d’America e che non può non avere un impatto notevole sul clima delle aspettative e sullo stesso livello della domanda effettiva, innescando un vero e proprio circolo vizioso che ci fa ben capire perché sta aumentando il numero di quanti ritengono che sia molto probabile che la lettera che meglio esprime la recessione attuale potrebbe essere quella a L, ma una lettera elle che ha la parte orizzontale molto, ma molto più lunga di quella verticale!

E’ sin dall’inizio del Diario della crisi finanziaria che ripeto che ha davvero poco senso guardare all’andamento degli indici azionari come se fossero un termometro dell’intensità della febbre della finanza globale, né, tanto meno, costituisce un esercizio utile per comprendere lo stato della cosiddetta economia reale, quella fatta di output produttivi più o meno misurabili fisicamente, di materie prime, intermedie, fattore lavoro e via discorrendo, una convinzione che si è andata via, via accrescendo da quando i molto depressi corsi azionari sembrano più soggetti a ventate speculative ora al rialzo, ma molto più spesso al ribasso, lasciano intuire che a giocare siano oramai solo quasi del tutto le ‘mani forti’, mentre la gran parte dei piccoli e piccolissimi azionisti ha bello che dato forfait.

Non credo sia neanche il caso di sprecare fiato sulle più che interessate argomentazioni a sostegno di un possibile punto di svolta che sarebbe poi rappresentato dai nuovi minimi toccati nel davvero orrido mese di febbraio, un’ennesima illusione patrocinata e messa in atto dai vertici delle maggiori e tecnicamente fallite banche universali statunitensi che già pregustavano la decisione che, grazie a un’intensa e molto dispendiosa (a spese sempre dei contribuenti, ovviamente) attività hobbistica, permetterà loro di nascondere sotto uno spesso tappeto le perdite derivanti dai titoli più o meno tossici che, per migliaia di miliardi di dollari cadauna, gravano ancora sui loro bilanci, e questo nonostante il sistema della riserva federale stia cercando, sempre a spese dei contribuenti e stampando letteralmente moneta a fiumi, con un cucchiaino da caffè di prosciugare l’oceano di carta prodotta dagli apprendisti stregoni delle banche di investimento e dalle divisione di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali!

Il bello è che questo vero e proprio schiaffo alle esigenze di trasparenza dei bilanci delle principali entità protagoniste di un mercato finanziario globale trasformatosi in un gigantesco casinò a cielo aperto viene dopo innumerevoli giuramenti fatti da governanti, banchieri centrali, regolatori di ogni ordine e grado, tutti pronti a dire che il problema principale era quello di fare pulizia e di ripristinare quel minimo di fiducia senza la quale sarà davvero molto difficile favorire il ritorno degli acquisti di titoli da parte dei privati investitori, un obiettivo certo difficile, alla luce di quanto è emerso e sta emergendo, ma davvero impossibile se la risposta su entrambe le sponde dell’Atlantico continuerà a essere quella di un’ulteriore deregulation.

Non ha destato, invece, nessuno stupore in me la notizia che l’ineffabile Larry Summers, capo dei consiglieri di Barack Obama, ha ricevuto milioni di dollari da due hedge funds, anche perché ho scritto in tempi non sospetti di come Summers e Robert Rubin, entrambi ministri del Tesoro nell’era Clinton, sono stati i due maggiori protagonisti della deregulation selvaggia che ha fatto cadere via, via tutte le mura divisorie erette negli anni Trenta per impedire che le Investment Banks operassero come banche ordinarie e che le banche commerciali si trasformassero in banche universali, decisioni efferate che, unite all’operato di Alan Greenspan, vero maestro di Benjamin Bernanke, in arte Bernspan, ci hanno portati dritti, dritti nella drammatica situazione attuale, una notizia che non aggiunge, peraltro, molto a quanto ho scritto in una recente puntata nella quale descrivevo il più che probabile patto ‘segreto’ e i presunti garanti dello stesso, vera e propria conditio sine qua non affinché un giovane di belle speranze quale è il nuovo inquilino della Casa Bianca potesse vincere l’estenuante corsa alla nomination contro la beniamina delle potenti centrali sindacali statunitensi, Hillary Clinton, un patto presumibilmente sottoscritto proprio quando la moglie di Bill era in rimonta nelle primarie del partito democratico!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nel sito dell’associazione FLIP all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog