martedì 28 aprile 2009

GM e Chrysler forse si salvano, ma ai bondholders resterà in mano un pugno di mosche!

Tra esattamente dieci giorni la tempesta perfetta compie i suoi primi ventuno mesi di vita ed entra, quindi, nel ventiduesimo e, poiché nessuno pensa a un suo esaurirsi nel volgere di due-tre mesi, è facile scommettere sul tranquillo compimento del suo secondo compleanno il 9 agosto del 2009, anche se credo proprio che saranno in pochi a volerlo festeggiare, in particolar modo quei leader politici mondiali e quei banchieri più o meno centrali che addebitano, a torto o a ragione, allo scoppio contemporaneo delle molteplici bolle speculative che hanno dato origine all’evento più catastrofico mai verificatosi a memoria di donna o di uomo la fine della loro tranquillità, presi come sono da un tourbillon di incontri, vertici, summit, telefonate a tutte le ore del giorno e della notte e intensi conciliabili che non rispettano né le feste comandate né, tanto meno, i più o meno meritati periodi di vacanza e riposo!

Sarebbe troppo facile cavarsela con la battuta che veniva di frequente rivolta al per due volte presidente del consiglio italiano, Romano Prodi, l’unico esponente del centro-sinistra ad avere battuto per ben due volte il coriaceo Silvio Berlusconi, ma anche noto per la sua sincera passione ciclistica, ma è del tutto vero che nessuno costringe, pistola alla tempia, alcuno ad aspirare a raggiungere posizioni di comando, salvo scoprire, sin dal giorno successivo alla vittoria, che il potere reale di un premier è ben scarsa cosa rispetto a quello di cui godono i decision makers di Big Finance, Big Oil, Big Pharma, Big Tabacco, entità che, come ricordavo nella punta di ieri del Diario della crisi finanziaria,hanno oramai raggiunto dimensioni pressoché planetarie e si ricordano dei governi e delle autorità monetarie solo quando sono, come accade di questi tempi, con le pezze al sedere.

Tornando alle ricorrenze e ai futuri genetliaci della tempesta perfetta, mi permetto sommessamente di osservare come, ad onta dei poco meno di quindicimila miliardi di dollari più o meno gettati al vento al di qua e al di là dell’Atlantico e nell’area del Pacifico, poco o nulla è cambiato nel mercato finanziario sia a livello delle singole nazioni che a quello globale, fatta eccezione per i crescenti sacrifici richiesti ai detentori dei titoli della finanza più o meno strutturata, banche, compagnie di assicurazione, investitori istituzionali e in carne e ossa, che continuano a tenersi in mano pezzi di carta il cui valore facciale si è nella maggior parte dei casi letteralmente polverizzato, circostanza che sarebbe riscontrabile sia nei rispettivi bilanci che nelle graduatorie della ricchezza personale stilate da prestigiose e patinate riviste, non fosse che ciò risulta vero e incontrovertibile per le seconde, mentre i primi, con particolare riferimento a quelli stilati dalle entità a stelle e strisce, appartengono oramai più alla letteratura fantasy che a quella contabile!

Non so assolutamente nulla di quello che stanno macchinando, pigramente sdraiati nei loro esclusivi resorts esotici, David Einhorn e quel pugno di billionaires che al giovane finanziere si sono prontamente accodati, anche se credono che stiano alternando la loro vocazione di shortists convinti di tutto quello che ha a che fare con la finanza con speculazioni rialziste basate sulle alquanto sciocche manovre dei regolatori disperati che si ostinano a pensare che sia possibile prosciugare gli oceani della finanza strutturata con un cucchiaino da caffé a testa, una chimera con la quale hanno stregato anche quelle persone più o meno di buon senso e caratterizzate da precedenti esperienze professionali e imprenditorialia assurte al rango di premier e di presidenti delle rispettive repubbliche, ma anch’essi talmente disperati da essere pronti a credere a qualunque favola, ad eccezione di quella che si conclude con il ragazzino sveglio di turno che strilla che il re è proprio nudo.

Nel frattempo, il destino dei colossi industriali orfani dei loro rami finanziari che ritenevano poter essere in eterno quelle galline dalle uova d’oro che erano effettivamente stati per lungo tempo è quanto mai incerto, con file di Chairman e Chief Executive Officer a pietire l’aiuto di quello Stato che per decenni avevano dichiarato dover essere minimo, poco o nulla invadente, delegificatore, il tutto nella beata convinzione che il mercato fosse realmente un luogo perfetto di conciliazione dei più disparati interessi e che davvero il livello dei prezzi relativi venisse fissato dal battere della mazza del mitico banditore immaginato dal fantasioso economista che rispondeva al nome di Marie-Esprit Leon Walras!

Delle tante frasi pronunciate in queste settimane dal solitamente taciturno e prudente numero uno della Fiat, Serge Marchionne, una mi ha profondamente colpito ed è quella riferita alla determinazione del nuovoe giovane inquilino della Casa Bianca, Barack Hussein Obama, uno che, a sentire Marchionne, non fissa certo una scadenza, quella del 30 aprile per risolvere i casi General Motors e Chrysler, una convinzione che mi trova perfettamente d’accordo, anche alla luce del fatto che il nutrito comitato d’affari bipartisan che ha tanto investito sulle elezioni di Obama tutto può permettersi meno che il fallimento dei due terzi del sistema automobilistico a stelle e strisce, per non parlare poi degli storici rapporti che legano la casata degli Agnelli con quella dei Rockfeller, uno dei quali ha fortemente voluto la nascita del Council for Foreign Relations ed è stato animatore della Trilaterale prima e del gruppo Bildberg poi, uno, insomma, che sa benissimo chi è meritevole di aiuti pubblici miliardari e può aspirare a ereditare il fallimentare lascito delle locuste annidate in uno dei più celebri private equity statunitensi e che risponde al nome di Cerberus.

Più immaginifica la possibile soluzione prevista per General Motors, con la creazione della più grande società cooperativista del pianeta, una soluzione che farà pure inorridire i sempre più rari profeti delle qualità salvifiche del ‘libero mercato’ e farà anche rivoltare nella tomba Ronald Reagan e i tanti defunti della cosiddetta Scuola di Chicago, ma è forse l’unica soluzione possibile, anche se non è di poco momento che in un caso come nell’altro a restare con un pugno di mosche in mano saranno i poveri detentori di bonds emessi a piene mani dalle due case automobilistiche!

Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo www.flipnews.org . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog