venerdì 3 aprile 2009

Il summit del G20/G21 dichiara guerra ai paradisi fiscali e rifinanzia il Fondo Monetario Internazionale!


Nelle poche ore di vertice ufficiale, i capi di Stato e di Governo del G20/G21 hanno cercato in tutti i modi di rimpolpare il fragile testo preparato dai loro davvero esausti sherpa, ma, come spesso accade quando si parte da posizioni tanto distanti, il risultato della mediazione è stato alquanto modesto, fatta eccezione per la flebo da 1.100 miliardi di dollari per le casse esaurite del Fondo Monetario internazionale per interventi diretti e garanzie in favore dei paesi che non sono stati in grado di realizzare autonome e credibili reti di protezioni dei propri sistemi bancari e finanziari, misure che includono anche la vendita delle riserve auree detenute da quello che è uno dei pilastri del sistema scaturito dagli accordi di Bretton Woods.

Sono andate letteralmente in soffitta, invece, quell’autorità regolatoria globale fortemente propugnata dall’inedito asse franco-tedesco sostenuto dall’Italia, così come la richiesta americana di soldi veri europei e asiatici in misura almeno pari a quelli messi nel piatto dalla vecchia e dalla nuova amministrazione statunitense, ulteriore conferma di quel patto neanche troppo segreto tra Obama e i massimi esponenti dell’economia e della finanza a stelle e strisce che ha consentito che procedesse senza particolari intoppi la sua corsa alla Casa Bianca, un patto del quale ho dato conto nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria e che, ovviamente, è soltanto frutto di ragionamenti e di quel collegamento tra le informazioni disponibili che sto effettuando sin dall’inizio di quest’avventura editoriale.

Non so se la richiesta della foltissima delegazione statunitense coincida o meno con i cinquemila miliardi di dollari di cui parlano i giornali e gli altri media, ma quello che è certo è che gli stessi sono rimasti bellamente sulla carta, in quanto, come ha sottolineato con scarso tatto il premier italiano, la crisi finanziaria è stata partorita negli Stati Uniti d’America ed è, quindi, da quel grande e potente Paese che devono venire la maggior parte delle risorse volte ad affrontarla, una posizione condita da grandi sorrisi, ma che esprime chiaramente la scarsa volontà europea di mettere radicalmente in discussione i paletti fissati dal Trattato di Maastricht o di costringere la Banca Centrale Europea a seguire l’esempio del sistema della riserva federale, mandando anch’essa le rotative che stampano gli euro a tutto regime, un’ipotesi i neotemplari membri del Board di Francoforte, veri eredi dello spirito della Bundesbank, non prendono, in realtà, neppure in considerazione!

Non voglio sottovalutare, sempre che si passi dalle parole ai fatti, l’estensione della coperta anche ai paesi dell’Est Europa, a quelli minori dell’Asia, ad alcuni Stati dell’America Latina e all’insieme dei paesi africani, anche se nutro qualche serio dubbio sulla sincronia tra le difficoltà di questi paesi e le procedure di rifinanziamento del Fondo Monetario Internazionale, così come della rapidità di intervento di questo organismo iperburocratizzato, anche se penso che, se il suo numero uno, l’ex ministro francese delle finanze, Dominique Strauss Kahn, decidesse di porre a queste questioni la stessa focosità e passionalità che tanti guai gli hanno arrecato nei mesi scorsi, saremmo certamente un passo avanti.
Come ho ripetutamente scritto nei giorni scorsi, tira davvero una brutta aria per quell’esercito di evasori fiscali, bancarottieri di ogni risma, trafficanti di droga e di armi, malavitosi più o meno organizzati e chi più ne ha ne metta, che hanno deciso di portare i loro soldi nei quattro paesi inclusi nella lista nera o nei trentotto indicati nella lista grigia rese note ieri, grazie al pressing del bellicosissimo presidente francese, Nicolas Sarkozy, e della davvero tostissima cancelliera tedesca, Angela Merkel, mentre ho qualche dubbio sull’appoggio a tale posizione dichiarato urbi et orbi dal presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, anche se gli devo dare atto del fatto che, almeno da qualche tempo, parla del tema dell’evasione fiscale e contributiva un giorno sì e l’altro pure, una posizione che stride alquanto con quelle che sul medesimo tema hanno fatto la sua fortuna politica, ma, come auspicava per se stesso il compianto Leonardo Sciascia, forse anche sulla sua lapide vorrà che sia incisa la frase “vissi e mi contraddissi”!

Anche sulle sanzioni e le forti limitazioni agli spostamenti di capitali ‘legali’ verso questo paradisi siamo tutti in attesa di vedere le relative norme scritte nero su bianco, così come vorrei sapere quale è la consistenza dell’esercito o dell’intelligence più o meno strategica a disposizione degli alti burocrati dell’OCSE, ma ritengo francamente che quello deciso ieri a Londra sia un risultato davvero insperabile soltanto qualche mese fa, così come ritengo che stia crescendo esponenzialmente il numero dei governi che mira a mettere le mani su quegli otto-diecimila miliardi di dollari che, secondo stime prudenziali e molto per difetto, potrebbero essere ospitati nei quarantadue porti un tempo sicuri, Montecarlo e Repubblica di San Marino inclusi.

Non so quanto rispondano a verità le sempre più insistenti voci che vedono buona parte di questi capitali più o meno sporchi in volo verso quello che appare l’unico porto relativamente sicuro e che è rappresentato da quella Hong Kong oramai da tempo parte integrante della Repubblica Popolare Cinese saldamente guidata da Hu Jintao, massimo esponente dell’etnia Han e leader indiscusso del potente Partito Comunista Cinese, anche se mi permetto di consigliare ai ‘legittimi’ possessori di quei soldi una qualche cautela rispetto alla più che nota e millenaria propensione cinese alla realpolitik, così come alle ricadute derivanti dall’oramai indissolubile legame che si è creato tra quello che un tempo veniva definito Celeste Impero e quegli stessi Stati Uniti d’America che più di un fine analista ha definito il Nuovo Impero, con il dovuto corollario dell’intelligenti pauca….!

Non mi unisco alla schiera dei tanti che avrebbero preferito che da Londra venisse il liberi tutti in materia di debito e deficit statali o di una nuova stagione di vendite a prezzi di assoluto saldo delle residue partecipazioni statali o di altre quote del patrimonio pubblico, anche perché penso che “chi rompe paga e i cocci sono suoi”.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nel sito dell’associazione FLIP all’indirizzo http://www.flipnews.org/ . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog