Dall’empireo del dibattito sulla durata della crisi e, più in particolare, sulla data di avvio della fantomatica ripresa è sempre necessario tornare ai ‘piccoli’ dati che l’accuratissimo e molto tempestivo apparato statistico statunitense fornisce agli analisti e agli operatori per dare loro modo di orientarsi un po’ meglio sotto gli alti marosi di una tempesta davvero perfetta e che sta per entrare nel suo ventiduesimo mese di vita, senza avere perso un grammo della sua capacità distruttiva di ricchezza finanziaria e capacità produttiva.
Nell’ordine, sono giunte ieri sugli alquanto esausti risparmiatori/investitori statunitensi due notizie che, assieme alla drammatiche recenti stime diffuse nei giorni scorsi dal Fondo Monetario Internazionale, hanno gettato secchiate di acqua gelida sui proclami degli assertori della ripresa perennemente dietro l’angolo e che sono rappresentate dal calo largamente superiore al previsto delle vendite di case esistenti in marzo (un calo del 3 per cento rispetto a un dato di febbraio a sua volta pesantemente rivisto al ribasso) e dall’altrettanto imprevisto balzo in avanti delle richieste settimanali di disoccupazione, giunte a 640 mila, mentre il cosiddetto continuing jobless claims si è portato a 6,1 milioni di unità, un uno due davvero micidiale e che ha, ovviamente, spinto al ribasso i tre principali indici statunitensi sin dalle prime contrattazioni di ieri.
L’inaspettato balzo in avanti nelle richieste settimanali di sussidi di disoccupazione e l’aumento costante dello stock di sussidiati acquisisce un’importanza che va ben al di là del dato in sé, in quanto era stato appena diffuso un rapporto di un economista della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs che vedeva proprio in un calo del jobless claims l’anticipazione, con un lag temporale di quattro-sei mesi della tanto sospirata ripresa, non a caso situata dallo stesso rapporto al terzo trimestre dell’anno in corso, complice una modesta riduzione del dato in questione, una flessione che, in realtà, è già terminata, mentre l’allungamento del periodo previsto per la percezione dell’assegno di disoccupazione ha portato l’ammontare dei sussidiati a quasi triplicarsi in soli dodici mesi, con gli effetti sulla domanda effettiva che è facile intuire anche a un analista o a un cronista embedded alle truppe corazzate della finanza più o meno strutturata!
Come redattore non autorizzato del giornale di bordo della flotta della finanza globale squassata da lungo tempo dai sempre più alti marosi della tempesta perfetta, mi corre l’obbligo di avvertire i naviganti che dopo l’introduzione dei nuovi criteri per la redazione dei bilanci delle banche e delle altre entità protagoniste del mercato finanziario statunitense, innovazioni che li hanno resi molto, ma molto meno attendibili, non è affatto da escludere che qualche innovazione di comodo verrà prima o poi apportata anche a tutto o parte dell’armamentario di informazioni statistiche a cadenza mensile che hanno consentito, almeno sinora, a chiunque di farsi un’idea del meltdown della finanza e del ciclone che ha colpito in pieno, e in parte affondato, l’apparato industriale a stelle e strisce, un tristissimo fenomeno che si è ovviamente propagato a tutte le altre aree del mondo, comprese quella Cina e quell’India che sembravano letteralmente sfidare la forza di gravità e ogni teoria sui cicli economici, macinando, anno dopo anno, tassi record di crescita delle esportazioni e degli avanzi commerciali, ben riflessi in tassi di incremento dei rispettivi PIL anche superiori al 10 per cento, ma che oramai appartengono alla storia!
Pur non sottovalutando in alcun modo lo sforzo compiuto dalla precedente e dall’attuale amministrazione statunitense per contrastare in ogni modo possibile e immaginabile la recessione nella quale gli Stati Uniti d’America e il resto dei paesi maggiormente industrializzati sono immersi, nonché l’attivismo forsennato delle banche centrali degli stessi paesi e, per quanto riguarda i sedici appartenenti all’area dell’euro, della BCE, continuo a sostenere che il divario tra il pur enorme sforzo finanziario sostenuto, al netto delle allucinanti modalità di cui parlavo nella puntata di ieri, e la dimensione del problema rappresentato dai titoli della finanza strutturata e dai micidiali Credit Default Swaps si presenta ancora appena scalfito, con il non piacevole corollario che difficilmente sarà possibile mettere in campo risorse aggiuntive sufficienti senza ‘scassare’ del tutto i conti pubblici degli USA, dei paesi membri dell’Unione europea, del Giappone, mentre rimane drammaticamente aperto e insoluto il problema dei paesi che non sono stati in grado di assicurare né i depositi bancari, né tanto meno crediti e debiti interbancari nelle rispettive aree e quelli esistenti con le banche poste all’esterno delle stesse.
Non voglio assolutamente che siamo tutti immersi in una notte nella quale tutti i gatti sono neri, anche perché basta dare uno sguardo alle variazioni subite dalle quotazioni delle singole entità protagoniste del mercato finanziario statunitense e di quello globale per rendersi conto dell’esistenza di differenze molto sensibili in termini di tenuta e di relativa solidità tra banca e banca, compagnia di assicurazione e compagnia di assicurazione, mi spingerei anche sino a dire che non tutti gli hedge funds si trovano nella identica situazione, con particolare riferimento a quei tre enormi hedge funds statunitensi che, dichiaratamente sono usciti dai diversi mercati più a rischio e hanno parcheggiato la loro quasi intatta massa di risorse sul non troppo redditizio ma sicuro mercato monetario.
Quello che davvero stupisce è il comportamento di quei tanti investitori e di quei piccoli e medi risparmiatori che ancora si sentono più furbi dei tre rodati e rinomati hedge funders di cui parlavo sopra, sicuri, non si sa in base a quali elementi, di poter approfittare dell’attuale situazione per diventare molto, ma molto ricchi; un’ipotesi che non mi sento, invece, di escludere a priori per quanti hanno i nervi d’acciaio e il sangue freddo necessari per fare il surf sulle altissime escursioni delle azioni, anche se mi sento di suggerire loro di dotarsi autonomamente di rigidi limiti sia in termini di take profit che di stop loss!
Ricordo che il video del mio intervento al Convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente sul sito dei dell’associazione FLIP, all’indirizzo www.flipnews.org . Riproduzione della presente puntata possibile solo citando l’autore e l’indirizzo del blog